“Prendete, questo è il mio corpo”: nei gesti eucaristici di Gesù abbiamo la piena espressività, e la piena verità, insieme. Ed è una vera rivoluzione, oggi come allora.
Ci sono infatti gesti molto espressivi, ma non veri: la donna che riceve un mazzo di rose da un ammiratore sconosciuto non sempre ha modo di sapere se è davvero un innamorato, o un furbo seduttore, colui che le ha mandate. Talvolta addirittura non interessa molto saperlo: neppure il seduttore, o l’innamorato, possono sapere se la risposta positiva di colei che ha ricevuto le rose sia il sì di una innamorata, o di un’astuta calcolatrice.
Alcuni in effetti hanno rinunciato a parlare di verità, non solo nella filosofia, ma soprattutto nella vita: un cinismo strisciante inquina le relazioni, in cui l’apparire e il presentarsi bene, o il salvare la faccia, diventano il fattore determinante.
Ci sono anche gesti molto veri, che però non risultano espressivi: il chirurgo che opera, materialmente taglia e ferisce, anche se si spera che ne verrà una guarigione; ma una volta guarito il paziente sarà disposto a riconoscere l’opera del chirurgo. C'è però chi lavora, si affatica, si sacrifica per la famiglia, per la sua missione, per il bene comune, senza essere riconosciuto. Il bene che fa risulta insignificante.
Il dramma della scissione
“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Osserviamo come l’insegnamento di Gesù coincida inscindibilmente con la sua azione e con i suoi gesti; dall’intima coerenza deriva la sua capacità di porre segni e parabole sempre sorprendenti, pur nella loro quotidianità e ordinarietà. Il gesto servile del lavare i piedi, il gesto simbolico dell’abluzione, ripetuto tutti i giorni in tutte le case degli ebrei, viene portato alla sua massima verità ed espressività.
Nella nostra cultura, non più solo occidentale, ma ormai globalizzata, si sta diffondendo invece una pericolosa scissione tra espressività e verità. La possibilità di manipolare a fini commerciali immagini, suoni, valori, percezioni, unita alla necessità di innovare, di cambiare, di stravolgere, per poter vendere sempre nuovi prodotti, ha prodotto un massiccio inquinamento simbolico.
Ciò che è fondamentale, risulta banale. Ciò che è trasgressivo, superficiale, inconsistente, diviene interessante.
Il nodo educativo
Sono soprattutto le giovani generazioni che pagano le conseguenze: private di valori solidi, rischiano di essere sempre più fragili: alcuni si aggrappano alla violenza autoreferenziale (e nascono il bullismo, le varie forme di razzismo e discriminazione, con cui per affermare se stessi si denigrano altri); altri non reggono al peso di una vita senza riferimenti, e li trovano in qualche forma di compensazione e dipendenza, finendo per distruggere la loro stessa vita. I giovani pagano le scelte degli adulti, che hanno creato o accettato un meccanismo infernale di guadagno, che finisce per corrodere tutte le realtà più positive, preparando per le giovani generazioni un mondo senza futuro. Si ritorna così, paradossalmente, per altra via, alla situazione del mondo antico, dove il potere era confinato unicamente nelle mani degli anziani. La novità di Gesù, la Nuova Alleanza, fa saltare le antiche convenzioni, e fa saltare anche gli ingranaggi diabolici di una economia che genera ricchezza distruggendo i fondamenti dell’umanizzazione.
La nuova alleanza
Ritorniamo dunque ai gesti eucaristici. In essi Gesù attua ed esprime insieme la definitiva spogliazione della sua vita, trasformandola in dono. «Questo è il mio corpo»: con queste parole egli si consegna alla morte. Spezzando il pane, mostra come la sua vita sia spezzata, ma nello stesso tempo donata. «Questo calice è la Nuova Alleanza»: con queste parole egli annuncia il compimento della promessa profetica di Geremia, con cui la Legge di Dio entra nell’intimo dei cuori, supera l’adempimento puramente esteriore; ciò avviene «nel suo sangue», il sangue della sua Passione: Gesù si consegna alla morte, portando a compimento l’offerta della sua vita.
Il termine di un percorso
All’inizio della Quaresima ci siamo lasciati guidare dalle parole del Papa, che invitavano a contemplare Gesù “fatto povero per arricchirci con la sua povertà”; le abbiamo messe a confronto con le parole di Paolo “svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo”, che esprimono la medesima realtà; nei quaranta giorni abbiamo contemplato in Gesù e riscoperto in noi stessi le tappe della progressiva espropriazione di Gesù da se stesso: partendo dalla lotta contro la tentazione, passando per la luce nascosta della Trasfigurazione, avvicinandosi progressivamente all’umanità dispersa nel peccato, ferita dalla malattia, colpita dalla morte. Ora vediamo che l’ultimo avvicinamento che resta a Gesù per essere davvero unito a noi è l’immergersi nella morte. Che però diventa dono, e apertura alla risurrezione.
L’agire rituale
Gesù si esprime nella semplicità del gesto rituale; gesto povero e fragile, eppure profondamente vero. Esso è consegnato alla Chiesa: «Fate questo in memoria di me»: invito a riprendere il rito, invito a riprendere la stessa condotta di Gesù, invito ad unificare profondamente l’esistenza, seguendo le sue orme. La tentazione del mondo contemporaneo, come abbiamo visto, si manifesta anche come incapacità di entrare nel simbolismo, di custodire la semplicità dell’esistenza reale, che naturalmente si apre al mistero di Dio, e che nei gesti eucaristici di Cristo trova una inesauribile possibilità generare azioni e significati. Anche nel racconto evangelico troviamo la stessa tentazione: Giuda, che tradisce per denaro, sembra agire in base a un principio unicamente utilitaristico, che bada al risultato immediato; Pietro, che rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù, sembra invece preso dalla necessità di un simbolismo trionfale, capace di soddisfare il suo ego. Sappiamo che poi, sganciato da questo stato illusorio di emozioni forti ed eroiche, nel freddo della notte, tra gente ordinaria, non sarà capace di rendere testimonianza di Gesù. Poche parole esprimono il suo rinnegamento, basterebbero ad annullare i mesi e gli anni trascorsi con Gesù, se non fosse per la misericordia di Cristo, che anche per Pietro offre il suo sangue.
L’agnello immolato
Il simbolismo del sangue appare evidente nella lettura dell’Esodo: il sacrificio di un agnello, e l’aspersione con il suo sangue, distinguono il popolo dagli Egiziani, e lo preservano dallo sterminio. La liturgia ci invita a riconoscere in Gesù il vero agnello, e nel suo sangue il segno della nostra salvezza, che ci riscatta dai nostri rinnegamenti e tradimenti, ci riconcilia, ci unifica, ed è capace di ridare pienezza alle nostre azioni.
Il Salmo responsoriale ci aiuta ad entrare in una preghiera stupefatta e riconoscente: «Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?»; e in realtà noi non saremo mai in grado di ringraziarlo adeguatamente, né con le nostre preghiere, né con le nostre azioni, e neppure con le nostre celebrazioni. Però, mentre ripresentiamo il sacrificio dell’offerta di Cristo all’interno della celebrazione eucaristica, impariamo ad offrire noi stessi, a dare le nostre stesse vite, ad imitazione di Gesù. Non impareremo mai abbastanza; ma troveremo in lui la luce capace di accendere ogni gesto della nostra vita.