Accettazione della corporeità
Nel Venerdì Santo Gesù mostra di accettare pienamente, in tutte le sue dimensioni, la corporeità e il limite creaturale. Ciò significa sprofondare definitivamente nella morte; non senza sofferenza, non senza umiliazione; il corpo di Gesù è prima imprigionato, poi vilipeso, poi torturato, poi forzato ad una pena atroce, sfigurato fino alla morte. La narrazione evangelica non indulge alla descrizione cruenta, ma fa intravvedere il senso profondo di ciò che accade: Gesù vive fino in fondo il suo essere fratello degli uomini, con tutti i limiti che ciò comporta.
La ricerca del corpo perfetto
La nostra cultura attuale, soprattutto nell’ambito della comunicazione mediatica, persegue una ricerca ossessiva del corpo perfetto, della forma fisica curata e custodita; il desiderio di fondo che anima tutta la cura della corporeità non è la semplice custodia e valorizzazione, ma il superamento dei limiti del corpo, che deve apparire giovane, bello, prestante, il più a lungo possibile. Da Gesù apprendiamo una condotta diversa. Pur non disprezzando la bellezza e la salute (nella sua vita nascosta Gesù si dedica al lavoro, nella sua vita pubblica volentieri condivide la gioia della tavola e della vita comune, e si adopera per restituire le persone malate ad una migliore condizione di vita), Gesù mostra che la persona tutta intera, senza distinzioni eccessive tra corpo ed anima, è sempre in grado di stabilire relazioni, di dare e ricevere amore. Ed è questo l’essenziale: il perfezionamento della relazionalità, non la ricerca di un falso splendore dell’esteriorità.
Avevo fame e mi avete dato da mangiare
Proprio nel vangelo di Matteo, l’evangelista dell’anno A, leggiamo la parabola del giudizio, in cui vengono accolti tra gli eletti proprio coloro che si sono preoccupati dei fratelli e dei poveri, a partire dalla cura del loro corpo: “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere…”.
Gesù, attraverso la sua passione, si identifica con l’indigente, con il fratello bisognoso. Difficilmente possiamo escludere la sua presenza nella persona che abbiamo davanti e che chiede aiuto (oppure che è talmente colpita dalla miseria, da non saper più nemmeno come chiedere aiuto). Terribile è dunque il ruolo di chi lo colpisce, lo umilia, lo schernisce. Tanto più sorprendente è dunque l’offerta di perdono e riconciliazione che ne scaturisce.
Sangue ed acqua
Nel brano della Passione secondo Giovanni il soldato che trafigge il fianco di Gesù vede sgorgare sangue ed acqua: segno di una vitalità inesauribile che scaturisce da colui che è crocifisso per essere risorto. Il gesto di offesa e scherno si converte in anticipazione dei sacramenti della Chiesa; colui che credeva di trafiggere per uccidere, non fa altro che svelare che da quella morte scaturisce una nuova vita. Così peraltro avviene in tutta la Passione secondo Giovanni: l’arresto di Gesù diviene la conferma che egli “non ha perduto nessuno di quelli che il Padre gli aveva dati”; l’interrogatorio davanti al sommo sacerdote non fa che confermare la sua innocenza; la sequenza di interrogatori, accuse, torture di fronte a Pilato mostra che lui è il vero re e prototipo di una nuova umanità: “Ecco l’uomo!”. Anche l’iscrizione, che dovrebbe servire da scherno, mette in evidenza la regalità di Gesù, e perfino nella spartizione delle vesti si può rilevare un messaggio che viene da Dio stesso.
Segni di risurrezione
Non solo il vangelo è intessuto di simboli e richiami che, letti in filigrana, alludono alla gloria e alla risurrezione di Cristo; anche la prima lettura, mentre contempla il destino del misterioso “servo del Signore” lascia intuire un significato più profondo in quelle sofferenze. Dio annuncia che la sua ricompensa sarà grande: “vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo sui la volontà del Signore”. Anche nelle nostre sofferenze personali, rilette alla luce della Passione di Cristo, possiamo lasciarci illuminare dalla Parola di Dio per leggere segnali di risurrezione. Il venerdì Santo ricordiamo tutti insieme la solitudine di Cristo, lasciato solo da quelli che più amava; ma nello stesso giorno siamo invitati a non ripetere lo stesso errore. Non abbandoniamo il Cristo che oggi soffre negli ammalati e nei poveri. Non lasciamoci soli nelle nostre sofferenze. Troviamo il modo di sostenerci a vicenda: come dice il salmo “Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore.