L’ingresso umile e glorioso
Gesù si presenta nello stesso tempo umile ed esaltato dal popolo. Il vangelo dell’ingresso a Gerusalemme è una anticipazione della Pasqua eterna, che certamente allude alla gloria futura di Cristo, riconosciuto Signore da tutti i popoli, e nello stesso tempo conferma il suo abbassamento alla condizione di servo: l’entusiasmo che lo circonda dura breve tempo, le forze ostili che lo contrastano finiscono ben presto per soverchiare la voce dei fanciulli che grida “Osanna!”.
La gloria della mitezza
Proprio la mitezza di Gesù è uno degli elementi del suo successo; forse anche il presentarsi come uno che resta al di fuori dei circuiti abituali del potere. Anche a noi capita di restare ammirati da persone semplici e umili, ma dobbiamo poi constatare che si tratta, purtroppo, di una infatuazione di breve durata. Siamo più facilmente sedotti da ciò che si manifesta, da ciò che fa rumore, dal prodotto mediatico raffinato e calcolato, che non lascia nulla di intentato per coinvolgere tutti i sensi e le dimensioni della persona.
Il puledro, figlio di una bestia da soma
La nuova traduzione rende con più accuratezza una particolarità del testo greco: il puledro è “figlio di una bestia da soma”, un animale cioè abituato a stare sotto un carico pesante. Più che le caratteristiche regali dell’animale, già citato nell’Antico Testamento come cavalcatura dei re, si sottolineano le sue qualità lavorative, la sua capacità di stare sotto il peso di ciò che deve portare. Nella stessa celebrazione noi ascoltiamo il racconto della Passione, in cui Gesù porta il peso della croce e dei nostri peccati. La sua regalità si attua secondo questa modalità.
Gesù si presenta così come colui che agisce per compiere le Scritture, pienamente sottomesso al progetto del Padre.
La tentazione di una esaltazione vuota
Il tema della tentazione, che abbiamo ripercorso in tutta la Quaresima, ricorre anche nel brano dell’ingresso a Gerusalemme e nel brano della Passione. Vogliamo sottolineare in particolare la tentazione di un entusiasmo fugace, quello che prende la folla, quello che prende i discepoli, quello che è rappresentato dalla figura di Pietro. Egli si dichiara pronto a morire per Gesù, assicura che non si scandalizzerà mai di lui. Nel racconto matteano non si dice il suo nome, ma sembrerebbe proprio lui quello che estrae la spada, colpendo l’orecchio del servo del sommo sacerdote. Le parole di Gesù lo disarmano. Non si è più in un contesto eroico, quello in cui può sembrare plausibile e perfino bello morire in battaglia. Si tratta di stare vicino a Gesù nella sua croce, quando il clamore e l’esaltazione sono svaniti. Tutti gli altri fuggono subito; Pietro lo rinnega poco dopo.
La tenacia degli affetti profondi
Alcune donne seguono Gesù da lontano, fino alla croce, fino alla sepoltura. Sono coloro che hanno imparato a servire Gesù: non sono dunque trascinate dalla prospettiva di conquistare un posto d’onore, ma fin dalla Galilea sono con lui solo per servire. È dunque comprensibile, anche se resta sempre sorprendente e commovente che proprio loro siano le più tenaci nello stare vicino a Gesù, anche nell’ora della sua morte. Da loro possiamo attingere il giusto atteggiamento di fronte alla Passione: restare nella sua mitezza, assumere su di noi il suo stesso spirito di servizio.