Dopo l’attesa silenziosa la Chiesa si appresta a vivere la veglia pasquale, madre di tutte le veglie cristiane. In questa notte tutto ciò che sembrava sconfitto dalla potenza del male rinasce per la potenza di Cristo risorto: «Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace» (preconio pasquale, Messale Romano, p. 167).
È davvero la gioia del Vangelo che permea questa notte e questo tempo, la gioia di una Buona Notizia poiché «coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Francesco, Evangelii gaudium, 1).
Celebrare nella verità e nella bellezza questa Veglia significa rispettarne la struttura rituale e i ritmi, pur nel debito adattamento alla reale assemblea che viene a formarsi.
In particolare:
· Si celebri veramente di notte: la notte stessa, vinta dalla luce del Signore risorto, è il primo simbolo che parla efficacemente all’uomo immerso nelle tante notti esistenziali e in ricerca della vera luce.
· I grandi simboli e i linguaggi impiegati possano veramente “parlare” evitando ogni riduzione minimalistica e pratica: il fuoco e il cero pasquale, il preconio pasquale in canto, le letture bibliche nella loro ampiezza e il canto dei salmi, l’acqua battesimale o lustrale, il pane e il vino per la liturgia eucaristica.
· Si ricorra ad un numero sufficiente e preparato di ministri per il servizio liturgico, la lettura della Parola di Dio, la distribuzione della comunione eucaristica, il canto e la musica, la predisposizione di tutto ciò che è necessario.
· Non si trascuri, seppure breve, una sapiente omelia che raccordi i riti al vissuto della comunità aiutando i fedeli a gustare la gioia della risurrezione che invade e rinnova tutta la vita.
Con la Veglia si entra nel terzo giorno del Triduo, dove la Chiesa, stupita e lieta, intesse il dialogo con Maria di Magdala: «Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?».
Ciò che Maria ha visto al mattino del primo giorno della settimana “ritorna” nella celebrazione della Chiesa, e in particolare, nella celebrazione eucaristica domenicale.
· Pertanto, anche le Messe del giorno di Pasqua siano celebrate con la dovuta solennità, nel canto e con l’impiego dei vari ministeri. Il canto non sia affidato soltanto al coro, ma si instauri un dialogo tra coro e assemblea. Se possibile si canti la sequenza Victimae paschali, obbligatoria in questo giorno.
· In questa e in ciascuna delle altre domeniche del tempo pasquale si dia inizio alla celebrazione eucaristica con il rito per l’aspersione dell’acqua benedetta nella Veglia a memoria della prima Pasqua dei credenti nel Battesimo (cfr. Messale Romano, pp. 1034-1036). Si faccia in modo che il rito non indulga a significati penitenziali (soprattutto nel canto che accompagna l’aspersione) e che sia autentico: colui che presiede passi in mezzo ai fedeli per aspergerli in modo che l’acqua effettivamente intercetti i corpi. La novità di grazia, così, passa attraverso un corpo segnato dall’acqua battesimale.
· La professione di fede in queste domeniche può essere compiuta con il testo del Simbolo apostolico, antica formula battesimale che, in modo conciso, richiama il tesoro di fede della Chiesa.
· Questo giorno può essere lodevolmente coronato dalla celebrazione dei Vespri battesimali (cfr. Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 213): durante il canto dei salmi è opportuno muoversi in processione al fonte battesimale alla stregua degli ebrei che, nel giorno successivo alla notte della liberazione, tornarono sul lido del mare per lodare il Signore (cfr. Es 15 e Sal 105). La conclusione del Triduo è così contrassegnata dalla lode per la risurrezione del Signore e per la rinascita dei credenti dall’acqua e dallo Spirito.