Nel giorno in cui “Cristo nostra pasqua è stato immolato” (1Cor 5,7), la Chiesa con la meditazione della passione del Signore e con l’adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che sulla croce intercede per la salvezza di tutto il mondo. In questo giorno non si celebra l’Eucaristia. Il sacerdote e i ministri si recano all’altare in silenzio, senza canto né musica, fatta la riverenza all’altare, si prostrano in terra; questa prostrazione, come rito proprio di questo giorno, assume il significato di umiliazione dell’uomo terreno e partecipazione alla sofferenza di Cristo.
L’evento della Croce è al centro di questo giorno e della celebrazione: la Croce, infatti, è narrata nella liturgia della Parola, mostrata e celebrata nell’adorazione del Legno e ricevuta, quale mistero di salvezza, nella Comunione eucaristica. Davvero essa è l’albero glorioso, carico di frutti gustosi di vita e di amore per ogni uomo.
La celebrazione della passione, se vissuta con calma e nel rispetto delle varie parti, fa emergere proprio questa ricchezza del simbolo della Croce: morte e vita, infamia e gloria.
Tre aspetti, tra gli altri, possono essere oggetto di particolare cura.
La liturgia della Parola di questo giorno ci fa comprendere come il Venerdì santo non è un giorno di lutto e di pianto, ma di amorosa contemplazione dell’amore di Cristo, per purificare e rinnovare nel suo sangue l’alleanza sponsale. Nella prima lettura ascoltiamo il IV canto del servo del Signore, disprezzato e reietto dagli uomini, trafitto dalle nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Ma è soprattutto nel racconto della Passione del Signore secondo il Vangelo di Giovanni che emerge con chiarezza la glorificazione di Cristo, la sua esaltazione regale sulla croce, il compimento dell’Ora in cui la nuova alleanza viene sancita n modo definitivo da Dio nel sangue del vero Agnello pasquale.
Lapreghiera universale da tenersi nella forma tradizionale «per il significato che essa ha di espressione della potenza universale della passione del Cristo, appeso sulla croce per la salvezza di tutto il mondo» (Preparazione e celebrazione delle feste pasquali, 67). La salvezza per l’uomo credente o in ricerca, tribolato ed oppresso, è proprio il frutto che pende dall’albero della croce e che la Chiesa invoca facendosi voce dell’umanità intera. Saggiamente la norma consente la scelta di alcune intenzioni, maggiormente adatte al luogo o alla situazione, pur mantenendo la successione delle intenzioni prevista. Tuttavia, non si trascuri la “forma” di per sé evocativa: un certo numero consistente di intenzioni, tipico della preghiera litanica, e la sequenza intenzione-silenzio-orazione. Anche la postura dei fedeli (in ginocchio o in piedi) esprime il senso di questa grande supplica.
L’ostensione e l’adorazione della Croce da svolgersi «con lo splendore di dignità che conviene a tale mistero della nostra salvezza» (Preparazione e celebrazione delle feste pasquali, 68). In questa articolata sequenza rituale la Croce è co-protagonista con l’assemblea: non è semplicemente un’immagine da guardare, ma in quanto portata, velata e velata, contemplata e baciata, entra in contatto con i corpi e i vissuti dei fedeli. Un’esecuzione veloce e maldestra di questo momento impedirebbe quel coinvolgimento totale della persona che si qualifica come autentica professione di fede, espressa nella pluralità dei linguaggi.