Al termine del percorso
La festa del Battesimo del Signore, che conclude l’esperienza liturgica dell’Avvento-Natale, pone una domanda e chiede un discernimento al termine del percorso. Si è partiti dall’invito forte di Paolo: «È ormai tempo di svegliarsi dal sonno». Ora ci chiediamo: che cosa si è risvegliato in noi? Quale sonno si è concluso? Quale risveglio è avvenuto? Quale nuova responsabilità è nata dall’ascolto della parola divina, dalla celebrazione dell’Avvento del suo Figlio, dalla memoria pasquale della sua incarnazione in mezzo a noi?
I tanti aspetti del sonno
Abbiamo visto diverse modalità di “sonno”: l’oscuramento della coscienza nel tempo di Noè e nel tempo di Gesù (e anche, in modi diversi, nel nostro tempo); la deresponsabilizzazione operata dal peccato (che si verifica anche ai nostri giorni); il dubbio e lo scandalo nei confronti della salvezza di Cristo, apparentemente troppo debole e fragile; la fatica del discernimento, prima di assumersi una responsabilità importante, vissuta da Giuseppe; questi tuttavia vive anche una valenza positiva del “sonno”, e una modalità particolare di risveglio, perché proprio nel sonno egli riceve la rivelazione divina, e può risvegliarsi e accogliere la sua nuova missione di tutore di Gesù.
Tante possibilità per il risveglio
Abbiamo poi visto nel tempo natalizio molti modi del risveglio: i pastori, che si rimettono in cammino come un popolo, attratti dalla bellezza che risplende a Betlemme; la Santa Famiglia, che lotta contro chi vuole sopprimere la speranza e la vita; la Madre di Dio, che si realizza pienamente nel dono; la comunità dei Santi, dei figli amati da Dio, che accoglie anche la ricerca dei popoli, rappresentata dai Magi.
Ma quale risveglio è avvenuto in noi? Quale svolta ci è offerta? A questa domanda ogni credente, ogni comunità, potrebbe dare una risposta diversa e personale.
La figura del Servo
La prima lettura ci presenta uno dei cosiddetti “canti del Servo” che appaiono in una ben specifica sezione del libro di Isaia, tra il capitolo 40 e il capitolo 55. Si tratta di poemi forgiati nell’esperienza dolorosa dell’esilio di Babilonia, tempo di fallimento, tempo di ripensamento, tempo di rinascita.
Ciò che emerge a quei tempi è una nuova visione del destino del popolo, insieme ad una nuova possibilità di esistenza personale: essa viene condensata nell’immagine del “servo del Signore”. Tutto il mondo circostante vive nell’esaltazione della potenza del sovrano di Babilonia, divenuto padrone del mondo (uno scenario non troppo differente circonda noi oggi, nell’era della globalizzazione, in cui non appare più un trono imperiale, ma si sperimenta il crescente dominio dei detentori del potere economico e tecnologico). In un contesto di propaganda altisonante, di affermazione smisurata del potere, il profeta propone il comportamento del servo.
Costui non si impone alzando la voce, lanciando denunce feroci, proponendo condanne per chi è stato vinto; egli si impegna con paziente fermezza finché la giustizia di Dio si diffonda sulla terra.
Un nuovo stile
Il Servo del Signore vive uno stile inedito: rinuncia alla prepotenza e alla rivalsa, si prende cura dei deboli, non infierisce su chi ha già ricevuto la pesante punizione della storia, diviene, attraverso la sua opera paziente, sostenuta dalla forza di Dio, “luce delle nazioni”. La liturgia applica la visione profetica a Gesù, Battezzato nel Giordano da Giovanni, insieme ai peccatori, compiendo in questo modo il primo gesto significativo del suo ministero profetico.
Difficoltà di comprensione
Giovanni sembra non capire la portata del modo di presentarsi di Gesù. Probabilmente è ancora troppo condizionato da una visione puramente retributiva della giustizia, in base alla quale deve avvenire una sorta di “vendetta” contro i malvagi, per manifestare in tempi brevi un totale rovesciamento di sorti. Gesù propone a Giovanni di adempiere “ogni giustizia”: in una visione più ampia della giustizia, quale appare nel vangelo di Matteo (ad esempio nel discorso della Montagna, nei capitoli 5-7), ciò che si richiede è un’attiva solidarietà, che va incontro alle persone e trasforma in profondità le situazioni.
Il peccatore, il nemico, non viene distrutto, ma viene trasformato: attraverso il perdono e una sorprendente e gratuita carità, può essere risvegliato dal sonno del peccato e restituito alla fraternità dei figli di Dio.
Anche noi, servi del Signore, figli amati
Avviene dunque un risveglio in Gesù: la potenzialità insita in lui, che fino a quel momento era rimasta nascosta, si dispiega e appare in piena luce; la missione che gli è affidata dal Padre può avere inizio. Egli è nello stesso tempo il compimento della figura del Servo, nella forma sorprendente del Figlio: pienamente disponibile al Padre, perché una cosa sola con la sua volontà e la sua carità.
La festa del Battesimo ci ricorda che se siamo figli siamo anche chiamati ad essere servi, come Maria; la disponibilità generosa, fino al dono della vita, è implicita nella relazione, carica di affetto e benevolenza, che ci lega al Padre. D’altra parte per noi non potrà darsi nessuna missione, nessuna capacità di servizio, se non si risveglia in noi la coscienza di essere figli amati, uniti da Cristo all’amore del Padre, forti della forza dello Spirito.
Per gli educatori:
dalla parte dei peccatori
La tentazione della tabula rasa
Una tentazione educativa che viene da molto lontano si è rivelata sempre più fallace negli ultimi decenni. Si tratta della convinzione di poter ripartire da zero, trascurando chi si è perduto. Ogni anno nelle nostre parrocchie nuove schiere di bambini e ragazzi vengono battezzati, educati alla fede, e ricevono i sacramenti. Ma ogni anno altrettanti, appena cresciuti, se ne allontanano. Accade un po’ come nella parabola evangelica, per il seme cresciuto in terra arida, che si secca per mancanza di radici.
Cercare chi era perduto
È certamente importante una proposta di fede che parte dalla più tenera infanzia; è senz’altro indispensabile coltivare i gruppi selezionati di chi resiste nell’adesione alla proposta di fede. Ma lo stile di Gesù, il cuore del suo messaggio, ci comunicano e ci annunciano la capacità e la possibilità di riavvicinare chi si era perduto, da qualunque esperienza provenga.
La coscienza del peccato
Ogni credente, d’altra parte, sa di essere un peccatore perdonato. Se si oscura la coscienza di ciò, si rischia davvero di entrare in una pericolosa presunzione spirituale, e di fare enormi danni in nome di Dio. Ogni credente impegnato nell’azione educativa dovrebbe d’altra parte sperimentare, prima o poi, la propria fragilità, e imparare a fondarsi sulla forza di Dio. Allora è pronto ad accostarsi ai fratelli, a seguirli anche là dove li portano sentieri deviati, a diventare voce del Risorto, che da Emmaus riconduce al cuore della fede e della comunità, a Gerusalemme. Ci si mette al servizio di Gesù, venuto a “cercare e salvare quello che era perduto”.
Maturità educativa
La maturità di fede e di capacità educativa che ricerchiamo trova uno dei suoi vertici proprio nella disponibilità ad accostarsi, senza pregiudizi, con misericordia, a chi ha peccato: facendo comprendere che restano figli amati, che resta il legame con Dio, che resta il legame con la Chiesa. La maturità di responsabilità educativa che cerchiamo permetterà anche di sopportare il fatto che in molti casi non sarà così evidente l’esito possibile della nostra azione: occorre fidarsi dello Spirito di Dio, capace di risanare in profondità quello che sembrava irrimediabilmente corrotto. Gesù compie la sua decisiva maturazione e ingresso nella missione ricevendo il battesimo insieme ai peccatori.
La sua missione è di combattere il peccato, non distruggendo chi ne è coinvolto e travolto, ma trasformando, facendo recuperare lo status e l’identità di figlio.