Spunti biblici
La gloria e lo splendore di Sion
La liturgia della parola si apre con la grande visione profetica dei popoli che convergono su Gerusalemme, città santa, abitata dalla gloria di Dio. Le parole chiave sono “gloria”, “luce”, “splendore”. A Sion i popoli trovano qualcosa di bello e importante, per il quale vale la pena di portare doni.
È da notare che l’atto di portare doni nel mondo antico era un atto di sottomissione, dovuto da parte dei vassalli ai sovrani e ai dominatori. La signoria di Dio che risplende a Gerusalemme è però qualitativamente diversa: coloro che entrano in essa “proclamano la gloria del Signore”. Riconoscono che Dio è il re: un Signore di cui è bello cantare le lodi.
Le tenebre dei popoli
I popoli infatti abitano nelle “tenebre”. Il mistero di Dio, che risplende per Israele, è nascosto alle genti. Anche la seconda lettura mette in evidenza il nascondimento del progetto di Dio. Possiamo però chiederci che senso ha tenere per tanto tempo i popoli nell’oscurità. Certamente, essa è anche il frutto di un cedimento al peccato. Allontanandosi da Dio, l’umanità fa esperienza del vuoto e della tenebra. Cercando una propria libertà indipendente dall’amore di Dio, si cade in molteplici forme di schiavitù. Dio permette questa esperienza, perché ogni creatura possa rendersi conto di cercare qualcosa di più di Erode, di aspirare a qualcosa di meglio rispetto alla nebbia del peccato. Israele è chiamato a rivestirsi di luce non per se stesso, ma come un faro perché i popoli ritrovino la rotta. I Magi sono il modello del ritorno a Dio da parte di tutte le nazioni, che escono dalle tenebre e ritrovano la luce.
Che cosa merita di essere adorato
I Magi cercano il re che è nato “per adorarlo”. Nel loro cammino incontrano tante realtà che sembrano chiedere e meritare rispetto e una sorta di venerazione: la grande città, il re potente, i saggi di Israele, depositari delle Scritture… anche gli uomini e le donne del nostro tempo trovano numerosi miti e divi che attirano fenomeni di vera e propria adorazione. Il progresso della tecnologia e della scienza, i campioni dello sport, i grandi personaggi dello spettacolo, lo strapotere dell’economia e del denaro: ecco ciò che, di fatto, si finisce per adorare. Anche se non lo merita.
I Magi mostrano come sia possibile resistere alla tentazione, allontanandosi da tutto ciò, fino a quando incontrano la madre e il bambino, segni della grandezza che si fa piccola, dell’amore di Dio.
La sapienza operosa
I Magi si presentano come studiosi, sapienti. Un buon formatore è colui che coltiva la sapienza, come i Magi che si presentano come studiosi delle stelle, e quindi tra i più elevati sapienti del loro tempo.
Ma la sapienza, pur se coltivata non basta: i Magi non solo sanno riconoscere la stella, ma si mettono in viaggio per adorare il re che è nato. Ricercando con dedizione la verità, essi sopravanzano il popolo stesso di Dio, che abita a Gerusalemme, che sembra quasi impaurito dalla notizia. Né Erode né i dottori della Legge si spostano, pur conoscendo le Scritture, e pur potendo fornire l’indicazione ai Magi.
Colui che riceve il delicato incarico ecclesiale di educare alla fede, oltre ad essere chiamato lui stesso, se non a un lungo viaggio, quantomeno ad una profonda conversione, si trova ad avere a che fare con nuovi Erodi e nuovi dottori della Legge, oltre che con nuove folle impaurite.
Erode: l’ascoltatore interessato
Erode si mostra interessato alle parole dei Magi. Ma il lettore sa che è solo per paura di perdere il suo potere. Così anche molte persone che frequentano le riunioni e i gruppi ecclesiali, coltivano in realtà interessi laterali, e tenderanno a dileguarsi non appena sarà esaurito il vantaggio che intendevano acquisire. Allo stesso modo possiamo incontrare educatori interessati: persone che esercitano un ministero ecclesiale in vista di un qualche potere e prestigio che esso conferisce. Non potremo mai dirci completamente al sicuro da una simile tentazione. Per tutti però viene il tempo della croce: quando l’agire torbido viene smascherato, e i finti ascoltatori si rivelano persecutori, come Erode, o si dileguano, come Pietro di fronte all’accusa infamante di essere discepolo.
Gli scribi del popolo: l’ascoltatore saccente
Gli scribi non sono presentati come veri ascoltatori della Parola, ma piuttosto come depositari e custodi del sapere. A richiesta essi sanno ripetere la profezia; ma è una consulenza fredda, quasi una prestazione professionale, un’esibizione di cultura che non li spinge all’azione, non li coinvolge nella vita.
Ora, ciò che dovrebbe produrre una profezia è proprio il cambio di atteggiamento, sia emotivo, sia intellettuale, sia morale: chi era depresso riscopre la speranza, chi ha peccato scopre la possibilità del perdono, chi si arroga diritti che non ha entra in una diversa prospettiva, conformandosi alla giustizia di Dio. La profezia che non tocca nel profondo del cuore resta sterile.
La folla paurosa
Come è possibile che Gerusalemme resti turbata di fronte all’annuncio del compimento delle sue attese? Eppure ogni annunciatore sa che può venire quel momento, in cui coloro che si ritenevano eletti si tirano indietro. Ci può essere infatti una fede vissuta come semplice emozione, o evasione rassicurante, come fattore di condivisione comunitaria, che rassicura e conferisce identità. Ma quando la fede si manifesta come qualcosa che tocca la vita, che genera una decisione personale, quando davvero Dio irrompe nella storia, emerge il desiderio di ritrarsi nell’anonimato, di non essere coinvolti fino in fondo. I Magi annunciano che il Re è nato: e quindi qualcosa sta davvero cambiando. La folla reagisce nello stesso modo in cui agirà molti anni più tardi con Gesù: quando le esigenze del vangelo divengono radicali, molti si tirano indietro.
La sapienza perseverante
La sapienza perseverante non si lascia abbattere né dalla freddezza, né dalla malignità, né dall’interesse, né dal cedimento pauroso. I Magi continuano a cercare, e cercando annunciano, senza deviare dal loro cammino, che porta a Betlemme.