Spunti biblici
Benedizione e maternità
La prima lettura si apre con le parole della benedizione per l’intero popolo di Israele. Il tema della benedizione è strettamente legato a quello della maternità: nella mentalità dell’Antico Testamento benedire non è una semplice azione verbale, non è solo “parlar bene” di qualcosa, non va neppure confuso con la semplice lode o il ringraziamento. Benedire significa conferire forza vitale, fecondità, successo. Il più grande segno della benedizione divina è dunque la possibilità di dare la vita ad una nuova creatura. La maternità di Maria è il massimo segno di benedizione, come riconosce Elisabetta: “Benedetta tu tra le donne!” (
Lc 1,42).
La donna-madre partecipa in maniera peculiare della forza creativa di Dio; non solo però in senso biologico, e non in maniera ristretta al nucleo familiare. Il brano del libro dei Numeri ci mostra infatti come l’invocazione della benedizione riguardi tutto il popolo, visto come un’unica grande comunità. Ogni Israelita è chiamato a vivere nella benedizione di Dio, accogliendo da lui il dono della pace.
Prefigurazione: le donne della storia della salvezza
La maternità di Maria è prefigurata nelle donne dell’Antico Testamento: depositarie del dono della vita non solo in senso fisico, ma anche dal punto di vista di una maternità integrale, che implica cura, protezione, senso di responsabilità. Le donne citate nella genealogia di Gesù nel vangelo secondo Matteo (Mt 1) hanno tutte un ruolo notevole per la loro attiva presa di responsabilità nei confronti dell’intero clan familiare: esse intervengono in momenti critici in cui la sopravvivenza della stirpe - o di tutto il popolo - risulta minacciata.
Maternità e salvezza
Con Maria si arriva al massimo grado della maternità salvifica: non secondo la linea dinastica, ma per l’intervento eccedente di Dio. Anche Maria, come le grandi figure femminili dell’Antico Testamento, opera con tutta se stessa a favore del popolo. Ella è madre non solo per la generazione, ma perché continua a prendersi cura e allarga continuamente la sua responsabilità personale.
Appena dopo la nascita, in cui sembra finalmente conclusa la sua attesa e il suo impegno, tutto ricomincia, nel momento in cui “custodisce” tutti i fatti che accadono “meditandoli nel suo cuore” (
Lc 2,19). La gestazione del figlio è conclusa, la gestazione della Parola continua nell’intimo di Maria, producendo frutti di discernimento e disponibilità.
Il bimbo nato è offerto e donato all’adorazione dei pastori e dei magi; è consacrato a Dio nel Tempio, reso partecipe delle antiche promesse; ma quel figlio dice che dovrà compiere “la volontà del Padre” suo (
Lc 2,49).
Anche Maria dovrà comprendere che cosa significa “compiere la volontà del Padre”, prima diventando, in un certo senso, “discepola” del Figlio, e poi seguendolo fino ai piedi della croce. La Madre è espropriata del Figlio, in favore di tutta l’umanità, e trova nel discepolo amato un nuovo figlio: entra così in relazione con tutta la Chiesa, stando al cuore della primitiva comunità di Gerusalemme.
Anche noi figli per la forza dello Spirito
Recuperiamo dunque dal brano evangelico i due gesti fondamentali della maternità di Maria: l’accoglienza della parola nell’intimo, e il donare il Figlio all’adorazione altrui. Essi sono possibili anche per noi: chiamati a custodire la Parola, chiamati a ripresentare il Figlio al mondo, perché possa essere segno di speranza e di pace per tutti.
Agire così è comportarsi da Figli di Dio; ma non è il risultato di una risoluta decisione volontaristica, di uno sforzo personale: occorre diventare partecipi della vitalità dello Spirito. Soprattutto la partecipazione alla liturgia rende possibile l’assimilazione riconoscente del dono dello Spirito di Dio. All’inizio di un nuovo anno, mentre altri moltiplicano buone intenzioni e buoni propositi, siamo invitati con forza a renderci conto di ciò che riceviamo, della benedizione di Dio, la vera risorsa che i credenti hanno da offrire all’umanità.
Mentre si celebra la Giornata mondiale della pace, che rischia ogni anno di essere occasione di sterili ripensamenti e buoni pensieri irrealizzabili, i credenti sono chiamati a riprendere contatto con la promessa di Dio, che abita in noi e si incarna in noi, in un modo simile, anche se inferiore e imperfetto, a ciò che è accaduto in Maria.
Per gli educatori
Alle radici della vita di fede
Chi educa è chiamato a vivere sia la dimensione paterna, sia quella materna. Il recupero degli aspetti che potremmo definire più propriamente materni è certamente di grande interesse per ogni credente impegnato nella formazione: sia per i presbiteri, sia per i laici, per gli uomini come per le donne. Ma la festa della Madre di Dio ci invita ad andare anche oltre, alle radici teologiche della crescita di fede: che non è solo un fatto di educazione, di formazione, di organizzazione di corsi e iniziative, ma è soprattutto un fatto di generazione.
Custodire il dono
Con forza lo ricorda la lettera ai Galati: lo Spirito è la prova che siamo figli, rigenerati, “riscattati" tramite il Figlio di Dio, nato da donna. Lo stesso Spirito che con la sua potenza ha permesso la maternità di Maria, abita in noi e prega in noi: “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà, Padre!” (
Gal 4,6). Chi si propone di formare autenticamente alla fede è chiamato a ripartire costantemente dal dono ricevuto, dalla forza rigenerante dello Spirito di Cristo.
Il dono di un anno, dono del tempo
All’inizio del nuovo anno, ci viene ricordato anche il dono del tempo prezioso che ciascuno ha a disposizione per entrare ad esser parte del Regno di Dio. Ci viene ricordato che la benedizione e la grazia ci raggiungono nel tempo, secondo un dinamismo di incarnazione. Tuttavia in noi si scontrano differenti modi di stare nel tempo: la tentazione ricorrente di inseguire divertimento e felicità nella fuga dalla storia, la tentazione opposta e complementare di misurare, scandire, rendere produttivo ogni istante dell’esistenza; e la proposta di Cristo: imparare a riconoscere il kairos, il momento favorevole in cui Dio ci offre la possibilità di entrare nel Regno. I santi hanno mostrato che cosa accade quando si accoglie l’irruzione di Dio nella storia, la sua forza di novità. Anche all’inizio dell’Avvento l’epistola della prima domenica invitava ad essere “consapevoli del momento”.
Vivere il kairos significa vivere ogni passaggio della nostra vita come benedizione: e chi vive in tal modo, diventa anche capace di educare e trasmettere agli altri la stessa visione, o perlomeno a farne intuire la bellezza. La benedizione di Dio diviene il punto di partenza di ogni attività, anche quella formativa, e il fondamento di ogni riuscita.
L’educatore credente ricorda continuamente che “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”, e supera in tal modo la tentazione di porre un fondamento diverso (per il proprio interesse, o per le proprie utopie), e la tentazione di vivere la propria missione riconducendola a un qualunque lavoro produttivo, a una dinamica aziendale. Generare alla fede è opera di Dio, anche se, come l’apostolo Paolo, possiamo giustamente sentirla come opera nostra.
Come Maria
Come Maria dunque siamo invitati a generare alla fede. Ciò significa educare a partire dall’essere, non soltanto dal fare (anche se poi si arriverà certamente a fare, a faticare, a produrre molto); educare a partire dal radicamento in Dio (anche se poi fioriranno frutti abbondanti di umanità e solidarietà); educare donando Gesù, non producendo azioni ed eventi che mirano unicamente ad una nostra soddisfazione personale. Ci è dato un nuovo anno, un tempo favorevole, una serie di momenti favorevoli: non stanchiamoci di contribuire alla generazione nella fede dei figli di Dio.