Spunti biblici
La gloria dei genitori
La prima lettura può forse urtare la nostra sensibilità per il richiamo a tematiche che sembrano appartenere ad una mentalità patriarcale e arcaica. Parlare dell’autorità dei genitori rispetto ai figli sembra oggi fuori luogo e fuori tempo.
In realtà l’elemento qualificante della lettura, nell’ottica della liturgia odierna, non è l’autoritarismo, ma l’educazione ad un senso di responsabilità profonda, che conduce ad una reciprocità di rapporti. Un aspetto a prima vista nascosto, che emerge prepotentemente con tutti i richiami all’attualità, è la solidarietà delle generazioni. Il testo biblico afferma che i genitori hanno autorità sui figli, ma proprio qui sta il fondamento della loro responsabilità, a cui non possono sottrarsi. Nell’illusione di combattere la mentalità patriarcale, si è in molti casi educata una generazione di genitori deboli, non solo privi di autorevolezza, ma anche di una reale capacità di dono.
Le giovani generazioni oggi hanno prospettive molto depotenziate di futuro e di crescita: perché la generazione dei loro padri e delle loro madri, sentendosi sganciata da doveri arcaici, si è anche sentita completamente deresponsabilizzata, autorizzata a dilapidare il capitale, materiale e spirituale, che era stato loro consegnato dalle generazioni precedenti.
Nel testo poi si procede con un’inversione: toccherà un giorno al figlio prendersi cura dei genitori, anche se anziani, anche se debilitati nelle loro capacità. Ma già ora si comincia ad intravvedere quale futuro potrà esserci per le generazioni anziane, in un mondo che ha smarrito il senso di solidarietà. Quale affetto, quale reale cura delle precedenti generazioni potrà esserci da parte dei giovani?
L’incontro e lo scontro con il testo biblico fa emergere le grandi contraddizioni della nostra epoca. Si tratta di questioni enormi, che coinvolgono complessi rapporti sociali. Sembra una lotta assolutamente impari. Come può reagire la comunità cristiana?
Superare le difficoltà
Il brano evangelico ci mostra le vicende difficili della Santa Famiglia, minacciata nella sua stessa esistenza dal dispotismo di un sovrano assoluto.
Ritroviamo molti punti di contatto con la nostra attuale situazione: una famiglia credente che risulta debole e disarmata, di fronte a difficoltà che sembrano sproporzionate rispetto alle sue forze. Siamo così portati a correggere la tentazione di rimpiangere un passato felice e solido per la famiglia, lamentandoci dalla negatività del presente: la parola di Dio ci attesta che in ogni epoca della storia realizzare una famiglia credente è stato difficile e problematico, segnato da pesanti ipoteche sociali. Ieri era il patriarcato, oggi la deresponsabilizzazione; oggi è la rottura del patto di solidarietà tra generazioni, ieri era un patto generazionale fin troppo costrittivo.
Tuttavia ieri e oggi, al di là delle difficoltà provenienti dall’ambiente sociale, resta sempre possibile trovare esempi di famiglie che hanno assunto nella loro vita il riferimento sicuro della Parola di Dio, superando le fatiche che di volta in volta si presentavano, irradiando carità e solidarietà intorno a loro. Decisivo dunque non è fare l’inventario degli ostacoli (cosa che di per sé indurrebbe a gettare la spugna e lasciare il campo); è attingere dalla grazia l’impulso per superarli.
Dall’ideale al modello
Molti conservano nel cuore un ideale di armonia familiare, che resta tale, arrendendosi di fronte alle imprevedibili svolte della vita. Più che un ideale però, sarebbe importante avere di fronte dei modelli; considerando non il risultato finale, ma i passaggi che hanno portato ad esso.
La liturgia ci presenta la famiglia di Nazaret come modello di felicità e beatitudine; ma non nasconde che il percorso passa attraverso la persecuzione e la croce, fin dall’inizio. In tal modo essa coglie il senso più profondo dei racconti evangelici, che rileggono in chiave pasquale i pochi dati che la tradizione ha consegnato sull’infanzia di Gesù. Il vangelo di Matteo ci presenta il più drammatico: quando la vita stessa di Gesù è minacciata da Erode.
Sarebbe utile riproporre la stessa domanda a molte famiglie: sotto quale aspetto si è presentata la croce, con quali risorse è stata abbracciata, come è diventata forza di risurrezione.
Erode, l’antifamiglia, e Giuseppe, il custode
Erode ha paura di perdere potere; perciò è disposto ad eliminare il futuro, a togliere di mezzo un’intera generazione. Qualcosa del genere sta avvenendo nella nostra storia attuale: sono soprattutto i giovani a risentire delle drammatiche conseguenze della crisi. Chi non guarda al futuro non ha neppure rispetto per la vita, non ha interesse alla crescita della vita, perché l’unica crescita che lo preoccupa è quella politico-economica-tecnologica. Ma in una visione simile la persona umana non è più al centro.
Si tratta peraltro di processi che hanno dimensioni mostruose, che sfuggono addirittura ai nostri mezzi più potenti di analisi e comprensione.
Giuseppe ci mostra la possibilità di sottrarsi.
Giuseppe è colui che accetta la precarietà della sua condizione: tutore, non vero padre, sposo e custode di Maria, rinuncia al suo presente per salvaguardare il futuro del popolo di Dio. Ma donando la sua vita, egli la perde, secondo il detto evangelico. La sua grandezza sta proprio nell’essersi preso cura di quel bambino, con la stessa tenerezza di Dio.
Dall’Egitto ho chiamato mio figlio
Accanto al nome di Erode, emerge l’immagine dell’Egitto: altra potente figurazione di un potere oppressivo, che è disposto a distruggere il futuro di un popolo, pur di conservare il potere. La profezia che viene ricordata acquista così una valenza potente: il mistero pasquale della liberazione dall’Egitto diventa storia delle nostre famiglie, anch’esse minacciate da strutture di male, anch’esse chiamate a sfuggirvi, non con la violenza, ma lasciandosi guidare dalla carità divina. Nel nascondimento avvengono quotidianamente miracoli di carità: madri che continuamente stanno come presenza positiva accanto ai figli, padri responsabili, figli capaci di dedizione, comunità familiari che resistono alla disoccupazione, alla tensione di ritrovarsi sull’orlo della povertà; amici che intervengono e che aiutano. Sono tanti piccoli focolari di carità, che non possono aver riscontro nei mezzi di comunicazione (troppo impegnati a seguire lo strepito di una piccola percentuale di fatti di cronaca nera), ma stanno al centro del cuore di Dio.
Per gli educatori della pastorale familiare
Una famiglia con problemi
La famiglia di Nazaret, se ci è consentito dirlo, si può definire una famiglia con problemi: anche se è la famiglia del Figlio di Dio. La perfezione della carità non evita la malvagità di Erode, non toglie la fragilità di essere disarmati, non sottrae alla fatica del lavoro e della quotidianità.
Il primo compito dell’animatore di pastorale familiare è dunque aiutare le famiglie a superare i problemi, senza sostituirsi ad esse, senza illuderle di poter fuggire. A volte è addirittura controproducente presentare esempi positivi di vita familiare, se in essi appare solo il risultato finale. Ciò che va annunciato non è l’ideale, non ce n’è bisogno: ogni coppia di fidanzati, ogni coppia di sposi all’inizio della sua esperienza, ma anche chi è coinvolto in una nuova unione dopo il fallimento del primo matrimonio, tutti costoro hanno attese e ideali altissimi sulla vita di coppia. Non si va in sofferenza perché mancano ideali, il più delle volte la coppia entra in fibrillazione perché non si riesce a riconoscere i problemi, non si sa affrontarli, o si viene logorati.
Aiutare nei cambiamenti, a vivere la fedeltà immutata
La liturgia della Santa famiglia ci offre una felice suggestione: l’angelo che di volta in volta appare in sogno a Giuseppe, aiutandolo nella fatica del discernimento. Esso non va inteso come una presenza magica: è il segno della presenza amorevole di Dio, che suscita e consolida la responsabilità di Giuseppe. Prima e dopo il sogno rivelatore, la fatica della ricerca e il peso dell’esecuzione ricadono sulle sue spalle; la sua responsabilità non è tolta, anche se continuamente cerca di conformarsi al volere di Dio.
Gli animatori della pastorale familiare, soprattutto le coppie, potrebbero configurarsi come “angeli”, capaci di affiancarsi alle famiglie nei momenti più difficili del discernimento e delle trasformazioni. La precarietà che affligge molte persone oggi si riverbera negativamente sulla famiglia, e chiede persone che aiutino a restare saldi, a non perdere la speranza, a rendersi conto dei valori fondamentali.
Aiutare, come l’Apostolo, a vivere positivamente la reciproca sottomissione
La seconda lettura offre un concreto esempio di come nella prima Chiesa l’autorità apostolica interviene nella vita delle famiglie. Si intrecciano consigli pratici, dettati dalla particolare situazione dell’epoca, con i valori fondamentali della coppia cristiana, che costituiscono un’ispirazione di fondo ancora oggi valida.
La nostra mentalità moderna è urtata dal vocabolario della “sottomissione” che però è qui usato in senso cristologico, non solo culturale: il marito, la moglie, i figli trovano in Gesù il loro riferimento, lui che si è fatto servo, che si è fatto ultimo, che si è fatto dono per tutti. Modellarsi su Gesù significa dunque essere reciprocamente disponibili a sacrificarsi gli uni per gli altri, in una circolarità senza intoppi. Non ci può essere un approfittatore dentro la famiglia. Anche questo accordo fondamentale ha bisogno di essere educato, di trovare persone non solo capaci di viverlo e testimoniarlo, ma anche capaci di renderne ragione: la mentalità individualista dominante tende a ricondurre tutto al piacere e all’interesse del singolo, per cui anche la famiglia diventa uno strumento a disposizione della propria felicità.