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Nella musica di Alessio Greco la Lampedusa dei miti e delle storie   versione testuale
Voci e volti delle Pelagie (6)

(14 maggio 2013) - Le canta a tutti con un sorriso beffardo. Le canta soprattutto ai lampedusani, che delle sue canzoni sono protagonisti, vittime, ispiratori. I 23 anni di Alessio Greco sono anni di concerti, passione e sconcerto. Sono anni nei quali, dal fondo del suo sarcasmo, affiora una voglia benevola di comprensione per quell’umanità “laterale che popola Lampedusa e che alla fine è possibile incontrare anche sulla terraferma”. Ma solo se lo vuoi. Se, come Alessio sulle orme di De Andrè, cammini in direzione ostinata e contraria.
“Una volta – ricorda Alessio – su un articolo fatto da un amico su un giornaletto regionale, scrissero che le mie canzoni sono delle volgari ballate deliranti di prostitute, ubriaconi e anarchici… in sostanza concordo, anche se è un giudizio che sminuisce il mio lavoro”.
E del resto, non è l’applauso a tutti i costi che Alessio insegue, anche se lo scorso anno ha aperto il “Lampedusa Film Festival” e “O Scià”. Alessio cerca e il privilegio dei suoi anni verdi vuole viverlo fino in fondo e quando prova ad accostarsi all’anima dei “suoi” isolani, lo fa da un punto di vista poco ordinario: “Vi dirò... a Lampedusa mi ha sempre stupito vedere gli abitanti che la pensano come i venti che la abitano! Le mie canzoni parlano di giocatori sfortunati, di ultimi, strozzini, ragionieri falliti, amori non corrisposti e il più delle volte di singole persone che non provano più ad arrampicarsi sugli specchi, che alla rassegnazione hanno trovato un antidoto che però è la via di un falso benessere”.
“Da bambino – confessa ancora Alessio – amavo molto di più Lampedusa… terra selvaggia, con abitanti semplici e felici! Purtroppo con il turismo si sta quasi estinguendo la virtù che tanto caratterizzava Lampedusa e che lasciò ammaliato Modugno: la capacità di vivere e godere di quel che c’era. Ora tutti vanno rincorrendo l’affollata Rimini del mare, inseguendo un consumismo sfrenato, inseguendo il denaro. Una sera, parlando con il vecchio amico Luciano, l’anarchico dell’Isola, gli ho detto che Lampedusa era bella quando era nuda come una donna che porta un velo turchese ai fianchi: semplice e bella. Ora, invece, è mal vestita, piena di mascara, l’unica cosa che è rimasta selvaggia sono gli occhi che ricordano il colore del mare”.
Tuffarsi in quell’azzurro cobalto è sempre un sogno, eppure l’Isola ha perduto quel vantaggio controverso che era la sua splendida solitudine, l’indifferenza per la modernità. Turisti da una parte, migranti dall’altra hanno finito per strapparla al suo isolamento, ma non a integrarla del tutto nel tessuto di un’Italia e di un’Europa entrambe attraversate da costanti crisi di personalità.
Il rimedio allo spaesamento, però, Alessio lo ha trovato e lo canta a voce alta con un pizzico di orgoglio. Lo ha trovato dentro di sé e nel vissuto della gente delle Pelagie: “Abitando a Lampedusa – spiega – mi è sempre piaciuto ascoltare le storie dei pescatori e le più belle le ho sentite al solito bar che affaccia sul mare, dove, fra una birra e l’altra, si ascoltano i racconti delle avventure di un tempo passato”.
(Nino Arena – Ufficio Migrantes Messina)