Nino Taranto: il gusto della memoria
Voci e volti delle Pelagie (5)
(31 gennaio 2013) - È la memoria storica dell’Isola. Nino Taranto, ormai da anni, passa al setaccio gli archivi di mezza Penisola, in cerca di tracce che possano svelare stralci finora nascosti della storia di Lampedusa. È un lavoro difficile questo, reso ancora più ostico dall’isolamento geografico che complica tutto, anche le attività più banali per chi abita sulla terraferma. La ricerca, tuttavia, è una passione che rende avidi di notizie, di reperti, di episodi. Da qui le diverse scoperte di notevole interesse storico, come un’antica tavola in legno raffigurante la “Madonna di Lampedosa”, ritrovata di recente in un museo londinese. O ancora, il ritrovamento di un censimento risalente al tempo della dominazione araba in Sicilia, che ha permesso di accertare la presenza sull’isola, nel 994 d.C., di un migliaio di abitanti, tutti di fede musulmana. Col tempo la sua galleria, ricca di foto e stampe d’epoca, è diventata un cenacolo di curiosi, di nostalgici, di appassionati cultori dell’identità isolana. “Il mio impegno – spiega Taranto – è sempre stato rivolto a far conoscere l’interessante storia di Lampedusa, a raccoglierne foto, documenti, testimonianze, e a mettere tutto a disposizione della comunità, per una presa di coscienza del valore del passato e delle sue radici storiche e culturali”. Il popolo lampedusano è alquanto giovane. Per rintracciare le sue origini stabili bisogna risalire ai primi dell’800, ai primi insediamenti colonici. La storia dell’Isola, invece, vede un intreccio di bandiere che hanno toccato le sue coste, di flotte che vi hanno stazionato, di popoli che per periodi più o meno lunghi hanno piantato le tende su questo scoglio baciato dal sole. Di tutte le presenze questo fazzoletto di terra conserva testimonianze di inestimabile valore. Le si trovano nella necropoli che sorge sul porto, ora violentata dal cemento di un residence, oppure nei “timpuna”, misteriosi cerchi di pietra, disseminati su una vasta fetta del territorio, che gli studiosi fanno risalire al Neolitico. Poi, ci sono i reperti dimenticati negli scantinati di sovrintendenze e sedi istituzionali, lasciati ad ammuffire assieme alle scartoffie da destinare al macero. Sono questi i tesori più difficili da far venire alla luce, risiede nella burocrazia il vero ostacolo alla valorizzazione del patrimonio di Lopadusa. Taranto, però, non si scoraggia di fronte alle resistenze dei gattopardi, né al senso di rassegnazione che talora avvolge anche i suoi compaesani. Per questo rilancia, ora intenzionato a “movimentare culturalmente l’Isola”. Il suo ultimo progetto prevede la nascita dell’Archivio Storico Lampedusa, un’associazione culturale che possa diventare un punto di incontro e di aggregazione per quanti hanno a cuore le sorti della più grande delle Pelagie e, al tempo stesso, possa costituire un elemento di traino per l’economia e lo sviluppo turistico dell’Isola. “Si tratta – spiega – di un tentativo per non disperdere il difficile lavoro compiuto in questi anni e rendere più incisiva l’azione di recupero e valorizzazione del nostro patrimonio storico, archeologico e culturale”. Ci sono i vecchi fortini militari da scoprire e valorizzare, c’è un museo archeologico per la cui realizzazione battersi, ci sono i preziosi dammusi da tutelare e far conoscere al mondo. Un patrimonio, questo, che permetterebbe di agganciare saldamente il futuro delle Pelagie al loro passato più remoto; di scoprire, insomma, le profonde radici delle “isole d’alto mare”. Prima che il cemento le seppellisca definitivamente. (Luca G. Insalaco - Avvocato e giornalista) (Foto articolo)
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