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Costruire la chiesa

 Rudolf Schwarz

» Leggi l'intervista all'Arch. Mario Botta
"L'evoluzione dell'architettura delle chiese"
 
 
15/03/2012
15/03/2012
15/03/2012
15/03/2012
15/03/2012

15/03/2012
Titolo: “Costruire la chiesa”
Autore: Rudolf Schwarz
Editore: Morcelliana
Numero pagine: 284
Prezzo: 21,00 euro
 
15/03/2012
Riflessioni su quel che viene “prima” del progetto di una chiesa: un iter di pensiero che solleva questioni fondanti riguardo allo spazio per il culto.
 
15/03/2012
Rudolf Schwarz (1897-1961), architetto, è tra i più prolifici costruttori di chiese del XX secolo, essendosi occupato di 39 di esse in Germania (tra nuove edificazioni e riedificazioni) in particolare nel secondo dopoguerra. Noto è il suo lungo sodalizio con Romano Guardini e il suo impegno nel movimento giovanile cattolico Quickborn, nel cui ambito tra l'altro si sperimentarono le proposte elaborate dal movimento liturgico. Quale Generalpläner (responsabile del piano generale) ebbe un ruolo importante nella ricostruzione postbellica della città di Colonia. Fu amico di Mies van der Rohe (una cui notazione è pubblicata come premessa) ma, a differenza di questi, scelse non non lasciare il paese negli anni oscuri della dittatura. Cominciò la stesura di questo scritto nel 1938.
15/03/2012
“È possibile che un giorno le nostre chiese sorgano interamente dall'azione sacra. Al principio non vi sarebbe alcuno spazio e alla fine non ne resterebbe alcuno: esso sorgerebbe e tramonterebbe al tempo stesso col procedere dell'azione che, se sacra, è in verità un avanzare spaziale, la cui processio è legata e una sede fissa e, da questa sede, l'altare potrebbe dispiegarsi come una processio di peregrinazione nello spazio. Ciò che nei più antichi edifici di culto era conseguito col trapasso da uno spazio a un altro, qui sarebbe eseguito mediante la trasformazione dello spazio che scaturisce dall'interno... Sarebbe solo un ultimo passo, quello di rinunciare interamente a uno spazio edilizio fissato, prendere l'edificio ormai solo come mezzo, per rappresentare scenicamente lo spazio in una libera creazione. Allora la liturgia sarebbe un «duomo» non solo per la sua struttura segreta, ma l'intero sarebbe anche edificato visibilmente ogni giorno. Tali idee oggi non sono troppo lontane da noi. Il senso profondo dell'azione liturgica per noi s'è tornato a ridestare”. (pag. 217)
15/03/2012
Il sottotitolo del volume è “Il senso liturgico nell'architettura sacra” e questo rivela il punto di vista da cui parte l'Autore, e anche la sua finalità. L'argomentazione si dipana partendo da alcune constatazioni attinenti alla necessità di ridare “corpo” alla chiesa edificio e all'azione liturgica, intese come aspetti non scindibili. Schwarz è sicuro che nel medioevo si sapessero costruire chiese, proprio perché corporeità e spiritualità non erano viste come scisse. Così egli si propone di rifondare una corporeità “radiosa” come quella che si ravvisa nelle immagini dei santi aureolati, o nelle chiese nelle quali gli antichi artefici raffiguravano il corpo del Signore tramite modalità quali l'abside leggermente angolata rispetto all'asse principale dell'edificio, così come il capo di Cristo resta reclinato nella morte in croce. “Personalmente crediamo – scrive Schwarz – che la sacra oggettività di queste antiche idee sia vera e che noi dovremo convertirci a essa”. Allo stesso tempo Schwarz accetta convintamente che l'architettura contemporanea non possa esprimersi con un linguaggio simile a quelli delle epoche passate, poiché si basa su tecnologie diverse e più avanzate: a partire dai vantaggi offerti dalla possibilità di usare l'acciaio in funzione strutturale, che consente di resistere alle tensioni oltre che alle pressioni, in tal modo permettendo realizzazioni diverse (luci maggiori, pareti più sottili, ecc.).
Nel contesto mutato della sensibilità contemporanea, astratta e più lontana dal senso religioso, Schwarz vuole “rinnovare le antiche dottrine sull'opera sacra, col cercare di riconoscere ed esporre il corpo, quale esso è per noi realmente, come creatura e rivelazione, reinsediarlo nella sua dignità” così che lo si possa riconoscere come “corpo sacro”.
Di qui, l'analisi si sposta sull'occhio e sulla mano: il primo legato alla luce e quindi alla sua origine nel sole, e la seconda capace di accogliere, toccare, operare. Queste due espressioni, la luce e e la capacità di sentire la vicinanza fisica dell'altro, accompagnano tutta l'esposizione, che ha come punti cardine sette “tipi di progetto”: l'anello, l'anello radioso, il calice, il cammino, la parabola, la volta, il duomo. Ognuno di questi “tipi” è espresso, raccontato, elaborato con l'ausilio di disegni schematici. Questi non costituiscono vere e proprie proposte progettuali, bensì linee guida esemplificative, occasioni per ragionare su come la forma corrisponda a un modo d'essere della chiesa. L'attenzione dell'A. è sempre volta alla comunità celebrante e al significato che assume, nelle diverse configurazioni, il disporsi di questa rispetto all'altare e al presidente: non come qualcosa in sé compiuto, bensì come modo di mettersi in relazione col Padre.
Così il primo “tipo”, “l'anello , è indagato come lo spazio in cui le persone stanno tutte attorno al centro in cui si trova l'altare, in tal modo realizzando ciascuna un contatto visivo diretto con questo e allo stesso tempo riconoscendosi come abbraccio comunitario.
 Mentre il secondo tipo è quello dello “anello aperto”, in cui l'apertura stabilisce un orientamento e una via di connessione diretta tra il luogo della celebrazione e l'infinitamente altro, l'inattingibile fonte della luce, grazie alla cui forza il moto centripeto verso l'altare, compiuto a partire dall'opaca gravità dell'essere terreno, può trasfigurarsi.
Il terzo tipo, il calice, prende in considerazione la cupola come espressione del cielo. Ma sempre si parla di rapporti tra persone e spazio, non di concreti progetti edificatori, infatti, avverte l'A., “l'arte del costruttore non è geometria, bensì l'atto con cui plasmare il proprio destino” e “oggetto di questo progetto è la lotta primordiale tra l'uomo e la terra, e in essa l'uomo sta dalla parte della levità, della luminosità...”.
Il quarto tipo è quello del cammino: le persone disposte su file guardano tutte in una sola direzione e si trovano come “esuli sulla terra”. Qui la presenza dell'abside dietro all'altare dà il senso del rapporto con quel che sta “al di là” del visibile.
Il quinto tipo, la parabola, somiglia al secondo tipo, in quanto anello aperto, ma risente maggiormente della gravità e della oscurità dell'essere terreno.
Anche il sesto tipo, la vòlta, riprende il concetto dell'anello che racchiude la comunità riunita, e qui si evidenzia uno “stare” appagato che non necessita di “porsi in marcia”.
 Il settimo tipo è il duomo, inteso come espressione della completezza, edificio “che unisce in sé tutto il corso del tempo e rende presenti tutti i suoi stati”.
Infatti nel discutere i vari “tipi” presentati, l'A. li considera non solo in relazione alle loro potenzialità di dar forma alla comunità celebrante, ma anche li esamina come modelli esperiti nel corso della storia, dai primordi del cristianesimo a oggi.
Pur nell'elaborare il suo scritto come qualcosa di simile a un manuale di architettura, Schwarz esorta l'architetto di chiese a porsi come l'iconografo, che si fa strumento per esprimere nella forma un segno che gli proviene dall'alto, realizzando un'opera non sua: “La grazia non si può estorcere, non si può insistere per averla, non v'è procedimento che la procuri”.
 
 
 
 
15/03/2012
Rudolf Schwarz è colui il quale ha restaurato il castello di Rothenfels, che fu acquisito dal movimento Quickborn che aveva in Romano Guardini la sua guida spirituale. E in quel castello, nel corso degli anni '20 e fino alla sua soppressione a opera del regime nazista, i giovani cattolici celebravano nella “sala di cavalieri” semplicemente disponendo in varie configurazioni i loro sgabelli attorno alla mensa.
Quel genere di celebrazioni di una comunità di amici è evidentemente il “luogo” che Scwharz ha come momento di riferimento, fondante per il suo pensiero liturgico-spaziale. E il suo argomentare ha il grande pregio di mettere assieme liturgia, teologia, architettura come un tutto inscindibile. “Costruire la chiesa” è una pietra miliare dell'architettura del luogo di culto, non perché indichi concreti progetti, ma perché introduce a un modo ragionato (e anche ben informato) di porsi nei confronti del progetto della chiesa. Questa è il più complesso degli edifici, per il semplice fatto che non è un semplice edificio. Al punto che, come sostiene lo stesso Schwarz, la chiesa ideale non ha pareti: è il semplice atto del celebrare in comunità. Non dà soluzioni né suggerimenti, per quanto alcune delle chiese realizzate nella Germania postbellica abbiano soluzioni evidentemente ispirate a queste pagine. Oggi il pregio del volume sta nell'aiutare a porsi di fronte al progetto della chiesa in modo problematico, a distogliere da soluzioni superficiali, ad approfondire tutti gli aspetti implicati in esso. A non considerarlo un progetto alla stregua degli altri. Egli avanza descrivendo con linguaggio a volte poetico il diverso configurarsi di una chiesa di persone, di “pietre vive”, per le quali l'ipotetica forma del costruito è momento di mediazione con l'indicibile, spazio che, più che avere una forma, è un segno scaturente da un rapporto con l'infinitamente altro che, pertanto, a questo riconduce. Lo spazio della chiesa è inteso come atto di fede. Schwarz in vari punti avverte contro i rischi del riduzionismo, delle facili semplificazioni, delle distorsioni che possono facilmente avvenire se quelli che descrive come “tipi” di spazio ecclesiale, sono presi semplicemente come vuota forma. Per Schwarz costruire una chiesa vuol dire cercare l'occasione dell'incontro ultimo, definitivo: sapendo che non riuscirà a trovarlo in virtù delle proprie forze. C'è chi ha assimilato il suo scritto a una preghiera. Certamente è l'indagine seria di un uomo di fede che intende risacralizzare la chiesa, in un'epoca di lacerante travaglio, come luogo del silenzio e della contemplazione.
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