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 Sussidio Avvento-Natale 2011 - IV Domenica, 18 dicembre - Approfondimento: Vita affettiva (1ª parte) 
Approfondimento: Vita affettiva (1ª parte)   versione testuale
Avvento: la speranza in una nuova identità
La pretesa di felicità
 
Giustamente oggi si riconosce che la realizzazione della persona passa necessariamente per la sua vita affettiva. Ma all’importanza teorica non corrisponde l’esperienza esistenziale: la vita economica e il clima sociale tendono a ostacolare, piuttosto che favorire, la formazione di legami stabili; il valore che emerge nel contesto mondiale è il denaro, il profitto, piuttosto che la persona, con i suoi affetti e le sue relazioni, che diventano tutt’al più significative nel momento in cui sono sfruttabili economicamente; lo sviluppo esponenziale delle tecnologie comunicative scava appunto nel bisogno, tipicamente umano, di comunicare, di relazionarsi, fornendo strumenti che apparentemente rendono l’incontro più facile. Le tecniche di persuasione pubblicitaria si avvalgono abilmente del bisogno di relazione, per associare ai prodotti l’immagine di una persona attraente e seducente. Il problema è che, come avviene nell’ecosistema ambientale, anche nel mondo affettivo un eccesso di sfruttamento porta all’inquinamento. Il mondo delicato delle relazioni umane non sopporta di essere asservito per altri scopi: ha bisogno di gratuità, di purezza, di autenticità, e anche di spirito di sacrificio; la felicità non si può pretendere, non si può comprare, non esiste nessun prodotto che garantisca la capacità di amare. Forse, per questo, tante persone, al termine di un tratto di vita, si ritrovano insoddisfatte; per molte il progetto di vita matrimoniale fallisce; per altre non si apre nessun progetto; altri ancora si accontentano di relazioni di mutuo sostegno, non vedendo nessun’altra possibilità. L’affettività, in questo contesto, tende ad appiattirsi sulla sessualità, perdendo la sua ricchezza, la sua estensione, la sua profondità.
 
 
La figura di Davide: alla scoperta del dono
 
La figura di Davide, che ci è presentata dalla liturgia odierna, può essere un buon punto di riferimento: egli, in quanto re, dotato di piena autonomia e libertà, può ben rappresentare anche le tensioni dell’uomo moderno. La sua generosa illusione di poter costruire una casa per Dio mostra lo stesso slancio che anima tanti progetti attuali: ma nessun profeta si presenta a contestarli (o nessun orecchio è disposto ad ascoltarli). La pretesa illusoria è di poter fabbricare la felicità, di poterla equiparare ad un risultato, ad un ricavo, a un prodotto calcolabile. Invece la felicità resta dono, sorpresa, frutto da coltivare, che però nasce per forza propria. Così anche l’amore va custodito, accolto, favorito, ma non si può manipolare. Esiste anche, però, la pretesa opposta: che l’amore sia colpo di fulmine, destino arbitrario, che talvolta raggiunge la persona, attimo irripetibile da cogliere assolutamente nel momento in cui si presenta; inutile dire che anche questa pretesa va incontro ad un sicuro fallimento. L’Avvento, donandoci la capacità di attendere, di aspettare, e anche di progettare e costruire un futuro, permette alla nostra affettività un percorso più sicuro e più vero. Il Padre ci restituisce la libertà: che viene negata sia da chi pretende di potersi fabbricare la felicità, sia da chi la attende come un destino capriccioso.
 
 
La trappola dell’identità
 
Il dramma è tanto più forte quanto più l’identità delle persone viene a legarsi all’esperienza affettiva, invece di precederla. Si sente di valere solo se si ama e si è amati; si pretende che questo amore sia sempre passione travolgente; e quando inevitabilmente questo tipo di relazione affettiva trova il suo termine, si innesca il fallimento di tutta l’identità della persona: e ci si ritrova di nuovo esposti ad un nuovo bisogno, ad una nuova relazione capace di far percepire identità e valore. La fede ci dice che noi esistiamo perché Dio ci ha voluti, amati e creati, prima di ogni pensiero, prima di ogni nostro moto del cuore. Il bisogno affettivo, la passione, il sentimento non vengono negati, ma trovano il loro posto.
Di fronte a Dio esistiamo e troviamo il nostro valore: non c’è bisogno di inseguire relazioni schiavizzanti, solo per sentirsi importanti per qualcuno... Siamo suoi figli, siamo chiamati ad essere nella Chiesa, sua sposa, siamo chiamati a vivere la fraternità. Partendo dal riconoscimento della paternità di Dio si aprono per il discepolo di Cristo tante relazioni significative, profonde, liberanti: non c’è bisogno di inseguire identità alternative. L’Avvento, aiutandoci a recuperare la paternità di Dio, aiuta a costruire identità solide, aperte alla speranza, e a costruire comunità in cui sia possibile respirare un clima affettivo non inquinato dallo strapotere tecnologico, non dominato dall’ansia di identità.
 
 
Lo scoglio del tradimento
 
Anche nelle nostre comunità cristiane tuttavia (e la Parola di Dio ci avverte), non mancherà mai, in una forma o nell’altra, il momento della rottura, del tradimento, del peccato. Si è sempre pronti ad amare, a parole. Si è anche capaci di mostrarlo, con i fatti, quando tutto va bene, finché regge un clima positivo. Prima o poi però compare, in ogni relazione affettiva, l’ombra della negatività.
Essa può presentarsi sotto forma di ostilità, di amicizie deluse, di dissapori e contrasti all’interno della comunità cristiana, nel matrimonio può prendere la forma estrema dell’infedeltà, o la forma più insidiosa di una progressiva chiusura, che solo al termine di un lungo periodo porta alla rottura.
Il clima culturale da cui siamo circondati non sembra dare più tanta importanza a questa realtà, se non per motivi scandalistici. I mezzi di comunicazione sembrano assuefatti alla violenza verbale, alla mancanza di etica e fedeltà nei rapporti quotidiani e anche istituzionali, all’infedeltà coniugale: come se tutto ciò fosse inevitabile. L’indifferenza culturale rende tanto più forte lo schiaffo personale: solo nel momento in cui si sperimenta la delusione sulla propria pelle, appare l’inganno.
Non si può giocare con i sentimenti e con i valori più profondi, illudersi di sanare un animo ferito e sanguinante con iniezioni di freddezza e cinismo. La Scrittura indica un’altra via; in essa si parla spesso di tradimento: l’amore di Dio viene disatteso proprio dai suoi. Nell’ascolto della Parola si scopre di essere partecipi dell’infedeltà originaria, e che questa è la radice di ogni chiusura all’amore; ma si scopre anche la forza dell’amore divino, che non si arrende, neppure di fronte al rifiuto più radicale. Il tempo di Avvento, mostrandoci la fedeltà di Dio anche di fronte al tradimento del suo popolo, ci mostra la possibilità di amare senza misura, ci dona la forza di ricostruire, con pazienza, anche le relazioni spezzate. L’Avvento ci restituisce ad una storia, che ha un punto di partenza e un punto di arrivo, e che non si lascia scoraggiare dagli ostacoli che trova sul cammino.
 
 
Le figure dell’Avvento: Maria, Giuseppe, Erode
 
Maria è immagine per eccellenza della capacità di amare; accanto a lei la Liturgia della Novena di Natale pone Giuseppe: entrambi accettano la chiamata di Dio a prendersi cura di quel bambino, ciascuno secondo i propri ruoli. Maria ama perché è capace di ascoltare; Giuseppe ama, perché è capace di ubbidire. Un’altra figura però emerge tra le righe: si tratta di Erode, il re spaventosamente attaccato al suo potere, emblema di un’affettività onnivora, che tende a bruciare e consumare persone ed esperienze. Egli non ama, perché troppo impegnato a comandare e custodire il suo potere. L’Avvento, tempo della speranza, ci invita a ritrovare la gioia di donare amore, superando la tentazione egoistica del potere e del possedere.