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La Chiesa patria dei migranti   versione testuale
Giovanni Paolo II e i migranti

(3 maggio 2011) - Possiamo raccogliere solo alcune briciole del Magistero di Giovanni Paolo II sui migranti, durante il lungo pontificato dal 16 ottobre 1978 al 2 aprile 2005.
Le parole più ripetute risultano essere: accoglienza, tutela della dignità di ogni persona nel lavoro, nella famiglia, rispetto, integrazione. Nella visita a Canale d’Agordo, il 26 agosto 1979, la terra di Albino Luciani, suo predecessore, Giovanni Paolo II ricordò come quella terra, dopo la prima guerra mondiale fu “una terra di perdurante e sempre triste necessità dell’emigrazione, sia essa permanente o stagionale”. Nel suo primo discorso all’ONU, il 2 ottobre 1979, ricordò tra i diritti fondamentali della persona, “il diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna”. Nella prima enciclica, la Laborem exercens, nel novantesimo della pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII (1981), Giovanni Paolo II ribadirà, al n. 23, come “l’uomo ha il diritto di lasciare il proprio paese d’origine per vari motivi – come anche di ritornarvi – e di cercare migliori condizioni di vita in un altro Paese”. Nella stessa enciclica sottolineerà che “Nel rapporto di lavoro con il lavoratore immigrato devono valere gli stessi criteri che valgono per ogni altro lavoratore in quella società. Il valore del lavoro deve essere misurato con lo stesso metro, e non con riguardo alla diversa nazionalità, religione o razza”. Sempre nel 1981, nell’esortazione apostolica Familiaris consortio, il Papa sottolineava il necessario impegno che si deve dare a diverse categorie “di famiglie di migranti per motivi di lavoro; di famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali ad esempio i militari, i naviganti, gli itineranti d’ogni tipo; delle famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati” (n.77). E concludeva: “Le famiglie dei migranti…devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa la loro patria. E’ questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità”. Quello della famiglia emigrata è il tema anche del Messaggio per la Giornata mondiale del 1987, dove il Papa ha un ricordo particolare – e di grande attualità – per “le drammatiche condizioni di vita delle famiglie relegate nei campi profughi, dove è impossibile progettare il futuro per tutti i membri della famiglia”. Tra i tanti Messaggi ricordiamo ancora quello del 1985, dove Giovanni Paolo II riprende il tema della Chiesa patria dei migranti, quando scrive che “a tutti coloro che, per qualsiasi motivo, si trovino a dimorare fuori della patria e della propria comunità etnica, le Chiese particolari sanno di dover dare la debita considerazione per la loro integrazione ecclesiale, nel rispetto dell’esercizio del diritto di libertà (G.S. 58)”. Nella lettera enciclica Redemptoris missio, al n. 37,Giovanni Paolo II rileva come le migrazioni sono “fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo” e producono un fatto nuovo: “i non cristiani aggiungono assai numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e scambi culturali, sollecitando la Chiesa all’accoglienza, al dialogo, all’aiuto e, in una parola, alla fraternità”. Una cura per i migranti, una accoglienza aperta, soprattutto per i più disperati, che è molto presente nell’omelia della beatificazione del vescovo Giovanni Battista Scalabrini (1997) e nei discorsi e nel messaggio del Giubileo del 2000, fino ad arrivare al suo ultimo Messaggio per la Giornata mondiale del migrante del 2005, quasi un testamento sulle migrazioni, dedicato al tema dell’integrazione interculturale, che rifugge da ogni forma di assimilazione, per essere “un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini”. Una parola che non passa. Anche oggi.
 
Mons. Gian Carlo Perego, Direttore Migrantes, per "Avvenire"