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Via Crucis multietnica, segno della Chiesa unita   versione testuale
Nella Diocesi di Roma

(19 aprile 2011) - Non folklore, ma luogo di incontro». La rievocazione della Passione di Cristo nelle strade del quartiere Esquilino, promossa dalle parrocchie di zona, dalla Caritas diocesana e da Migrantes.(Roma sette)
«In questo tempo di sofferenza per coloro che fuggono dai Paesi in guerra, fratelli che hanno fatto una Via Crucis molto più dolorosa di quella che facciamo noi qui stasera, abbiamo visto l'importanza dell'accoglienza». Così monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma si rivolge, venerdì 15 aprile, ai fedeli riunitisi per la ventesima edizione della Via Crucis di piazza Vittorio, organizzata dalle parrocchie di Sant'Eusebio, San Martino, Santa Bibiana e San Vito insieme, quest'anno, alla Caritas diocesana e alla Migrantes con la partecipazione delle comunità etniche della capitale.
Le preghiere, alle diverse stazioni, vengono lette dai cattolici italiani ma anche cinesi, latinoamericani e bengalesi mentre tutto intorno al perimetro della piazza scorre lenta la processione che, nel frastuono del traffico da week-end, accompagna la croce della Missione cittadina voluta da Giovanni Paolo II in vista del Giubileo del 2000 a contrastare la secolarizzazione della città.
Minoranza in Bangladesh, paese con oltre 100 milioni di musulmani su 120 milioni di abitanti, i cattolici sono poco più che un pungo anche a Roma dove si contano in cento, forse centoventi su una comunità di 30mila bengalesi. «Per la quasi totalità sono solo uomini – spiega suor Maddalena Pirodda, delle Missionarie dell'Immacolata (Pime) – anche se cominciano ad arrivare le sposine grazie al meccanismo del ricongiungimento familiare».
E se numerosi sono i latinoamericani, minoritari e duramente perseguitati sono ancora i cattolici cinesi per i quali il Papa invita a dedicare il giorno 24 maggio (memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani) alla preghiera per la Chiesa in Cina, formata da circa 4 milioni di fedeli, sebbene il dato riguardi gli aderenti all'Associazione patriottica cattolica cinese, la sola Chiesa Cattolica riconosciuta dal governo. Secondo la Laogai Research Foundation e altre organizzazioni estere, o non ufficiali (Human Rights Watch, Asia Watch Committee, ecc.), tale cifra non include i cattolici della chiesa "sotterranea", aggiungendo i quali il numero dei cattolici cinesi raggiungerebbe la cifra di 16 milioni. Di questi giorni la notizia che la diocesi di Shanghai può avviare la causa di beatificazione di Paolo Xu Guangqi, che si aggiunge a quella di Padre Matteo Ricci. Difficoltà nella terra natale come pure in Italia, Paese d'arrivo delle lunghe rotte che indirizzano qui tante disperati, rendendo evidente «lo scandalo tra chi sta troppo bene – è detto in una delle stazioni della Via Crucis – e tra chi sta troppo male».
Una disparità che deve essere annullata o perlomeno mitigata con una maggiore giustizia sociale e con una forma di accoglienza «che non sia solo fisica quanto piuttosto evangelica», sottolinea monsignor Ernesto Mandara, vescovo ausiliare del settore Centro della diocesi. «Non solo aperture dettate per convenienza o, ipocritamente, da interessi politici». Ciò che si chiede è altro: «La Via Crucis di questa sera – chiarisce il vescovo –, caratterizzata dalla presenza di tutte le realtà ecclesiastiche e di tutte le comunità straniere non è folklore ma segno di una Chiesa capace di essere luogo d'incontro, là dove il cristianesimo ha fatto propri gli ideali dell’universalismo romano con l'apertura della cittadinanza a tutti gli uomini, dal momento che, secondo la nota affermazione di san Paolo "non c’è più greco o barbaro, uomo o donna, schiavo o libero, perché tutti sono una sola cosa in Cristo"».

Quindi una riflessione su quanto sia molto più importante la continuità che non la spettacolarizzazione: «La Via Crucis è un'occasione in cui si esprimono sentimenti in modo enfatico, cosa che detesto – ammette Mandara –. A rendere bella la vita è invece ciò che è nel cuore. Purtroppo però i sentimenti a volte cambiano, o svaniscono. Penso all'esperienza della morte di una persona a noi tanto cara e alla sensazione di smarrimento che va attenuandosi nel tempo, fino a cessare». «Voglio dire – conclude il vescovo – che senza la costanza dei sentimenti, rischiamo di trovare sepolcri vuoti. In altri termini, che il nostro cammino di vita sia vano».