La liturgia della VI domenica di Pasqua orienta il nostro sguardo al grande dono che la Chiesa riceve dal Risorto, lo Spirito Santo: “
Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi sempre”.
Questa parola di Gesù accresce la nostra gioia pasquale, consola la nostra radicale solitudine e ci spiega la promessa fatta da Gesù mentre ascende al cielo:
“Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (
Mt 28,20). Egli rimane con noi mediante lo Spirito. Anzi, ora non è solo “presso di noi” ma “in noi” come ci ricorda il Vangelo di questa domenica.
L’evangelista Giovanni usa il termine “Paraclito”. È un’espressione pregnante dai molteplici significati, tutti utili a descrivere l’azione dello Spirito Santo nella vita del credente come difensore contro il male, sostegno nel momento della prova, forza nella testimonianza della verità.
Il termine “Paraclito” è attinto dal linguaggio giuridico e designa colui che si mette accanto all’accusato per aiutarlo a difendersi. In questo senso è usata anche in
Gv 14,26;
15,26 e
16,7. Occorre pensare alle molteplici e grandi difficoltà che hanno dovuto affrontare i primi discepoli di Gesù per dare prova della loro fedeltà al Vangelo. In situazioni di forte ostilità e di persecuzione si comprende in modo tutto particolare la necessità di un “avvocato” divino per affrontare le persecuzioni, la lotta per la verità e rimanere saldi nella fede.
Ma ancora oggi Dio Padre, per la preghiera di Gesù, continua a mandare lo Spirito Santo. Anche oggi non mancano le persecuzioni a causa della fede e i martiri che versano il loro sangue per portare il Vangelo e rimanere fedeli a Cristo non sono meno numerosi dei primi tempi del cristianesimo. Ma, come ricorda l’Apostolo Pietro nella seconda lettura, occorre essere sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è noi. Presenza, luce, forza: sono doni dello Spirito ai credenti sempre necessari, per tutti. Ma ci sono stagioni della vita nelle quali il bisogno di sentirsi difesi, aiutati e incoraggiati è ancora più urgente.
«
Voglio continuare a credere in un disegno di bene» mi diceva Gianfranco pochi giorni prima di morire per un tumore ai polmoni, «
ma ho paura di non farcela.
Non lasciarmi solo».
La sofferenza è un’esperienza che, se da un lato può indicarci ciò che nella vita è essenziale e vero, dall’altra può intristirci e abbrutirci.
È un’esperienza seria per la quale non occorrono parole consolatorie ma necessita di vera consolazione.
“
Il dolore isola assolutamente – scrive il filosofo E. Levinas –
ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro”. Le pagine dei vangeli sono piene di racconti nei quali Gesù mostra attenzione e predilezione ai malati e ai sofferenti. Talvolta li incontra casualmente, altre volte lo cercano, altre ancora glieli portano davanti per farli guarire. E Gesù non ha fatto mai mancare il segno della solidarietà, della compassione e della comunione; talvolta della guarigione, sempre della cura.
Ai discepoli mandati dal maestro a continuare la sua missione egli affida principalmente due attenzioni: annunciare il vangelo e guarire/curare i malati (cfr.
Lc 9,17). Effusa dal dono dello Spirito anche la Chiesa è chiamata a portare la consolazione di Dio per sostenere i malati e difenderli dal male. Il ministero dell’apostolo Filippo narrato dagli Atti degli Apostoli nella prima lettura di questa VI domenica di Pasqua ne è un esempio. Con la potenza dello Spirito egli va in una città della Samaria per annunciare il Cristo, e la sua predicazione è accompagnata da segni, gli stessi che avevano accompagnato quella di Gesù: la guarigione degli indemoniati e di molti storpi e paralitici. Per la potenza dello Spirito che accompagna il ministero dell’Apostolo, vengono operate guarigioni nel corpo e nello spirito di molti. Sono segni, come opportunamente li chiama il libro degli Atti degli Apostoli, da leggersi alla luce della Pasqua del Signore che abbiamo celebrato solennemente e che in ogni domenica si rinnova. Sono i segni della salvezza definitiva portata da Cristo morto e risorto. Sono i segni della guarigione definitiva che ci sarà donata nella risurrezione del nostro corpo mortale.
Papa Francesco ricevendo nel novembre scorso i volontari dell’UNITALSI, associazione nata per accompagnare i malati a Lourdes ma che nel tempo ha moltiplicato il suo impegno a favore delle persone sofferenti con un’attenzione che va ben oltre i pellegrinaggi, ha esortato ad essere perseveranti nel portare segni di resurrezione e ha definito la cura dei malati “ministero della consolazione”.
«
La vostra associazione – ha detto papa Francesco -
si dedica alle persone ammalate o in condizioni di fragilità, con uno stile tipicamente evangelico. Infatti, la vostra opera non è assistenzialismo o filantropia, ma genuino annuncio del Vangelo della carità, è ministero della consolazione … Siete uomini e donne, mamme e papà, tanti giovani che, mossi dall’amore per Cristo e sull’esempio del Buon Samaritano, di fronte alla sofferenza non voltate la faccia dall’altra parte. … Al contrario, cercate sempre di essere sguardo che accoglie, mano che solleva e accompagna, parola di conforto, abbraccio di tenerezza. Non scoraggiatevi per le difficoltà e la stanchezza, ma continuate a donare tempo, sorriso e amore ai fratelli e alle sorelle che ne hanno bisogno. Ogni persona malata e fragile possa vedere nel vostro volto il volto di Gesù; e anche voi possiate riconoscere nella persona sofferente la carne di Cristo».
Proprio quel giorno Rita, una ragazza disabile e malata, ha voluto testimoniare la trasformazione avvenuta in lei per la presenza di amici che, nel nome del Vangelo, hanno voluto rompere la sua solitudine e l’hanno aiutata a ritrovare dignità e voglia di vivere: «
Era tempo ormai che più nessuno considerava la mia persona: io ero la mia malattia e la mia carrozzina. Ma non ero considerata e trattata come una persona»
. E dopo aver descritto la sua amarezza che si rinnovava ogni volta che veniva guardata con sentimento di falsa compassione ha concluso: «
ho ricominciato a vivere quando sono stata accolta e trattata dagli amici dell’Associazione non come una malata ma come una persona, non per la mia disabilità ma per la mia dignità di persona. Mi hanno chiamato per nome»
.
Rita è ancora sulla sua carrozzella e la sua malattia va avanti ma, come testimonia lei stessa, «
mi sono sentita raggiunta dall’amore di Dio attraverso il cuore di questi amici che mi hanno ridonato una famiglia, una dignità, la forza di andare avanti e persino la gioia di essere al mondo»
.
«
Il Padre vi manderà un altro Paraclito», ha promesso Gesù. È lo Spirito consolatore che ci raggiunge e ci dona presenza di Dio, luce e sostegno. È lo Spirito che mediante la Chiesa, la Parola e i Sacramenti ci dona la salvezza ed è lo stesso Spirito che ancora oggi suscita ministri di consolazione.
Ha scritto Benedetto XVI nella
Spe salvi: «
Accettare l'altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c'è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell'amore. La parola latina con-solatio, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine» (38).
Cambiano i nomi delle malattie ma restano i malati; cambiano le povertà ma restano i poveri. Dobbiamo solo guardarci attorno per vedere dove portare i semi della Pasqua che anche in questa domenica abbiamo celebrato.