25 marzo
Venerdì Santo   versione testuale

«PER LE SUE PIAGHE SIAMO STATI GUARITI»

Letture
Is 52, 13 - 53, 12 Ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi.
Gesù è venuto incontro all’umanità dispersa fino alle radici della sua fragilità.
 
Sal 30 Siate forti, rendete saldo il vostro cuore, voi tutti che sperate nel Signore.
Ogni persona sofferente o devastata dal peccato può ritrovarsi in lui.
 
Eb 4, 14-16; 5, 7-9 Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia.
Gesù si è fatto incontro a noi, per aprirci la porta.
 
Gv 18, 1 - 19, 42 Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?
La vittoria di Gesù non avviene con la forza, ma attraverso la piena assunzione della misericordia del Padre.

In breve
Una nuova famiglia si costituisce ai piedi della croce. Nel Figlio che “consegna lo spirito” al Padre (cf. Gv 19,30), la madre (la “donna”, principio della nuova umanità) trova un nuovo figlio, e il discepolo amato riceve una madre da custodire (cf. Gv 19,26-27). La misericordia, che si esprime nel dono totale da parte di colui che ha donato la sua vita “per riprenderla di nuovo” (cf. Gv 10,17-18), si trasmette alla comunità di coloro che credono in lui, attuando “fino alla fine”, cioè “oltre la morte, al di là della morte” la carità divina.

La spada va “riposta nel fodero” (cf. Gv 18,11): non è attraverso la violenza che può venire la salvezza. Pietro che si sentiva pronto a morire per Gesù, scopre le proprie paure e inconsistenze, arrivando a scoprire l’avverarsi della profezia involontaria del Sommo Sacerdote: «è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo» (Gv 11,50)». La sfida posta dalla croce è mettere in atto una carità disarmata, eppure vittoriosa.

«Per le sue piaghe siamo stati guariti»

La falsa compassione di Pietro
Con amore viscerale Pietro vorrebbe combattere per Gesù. È quella compassione profonda che si sta riscoprendo nel nostro anno giubilare? A malincuore ci rendiamo conto che non è così. Vorremmo potergli dar ragione, ma le parole e i gesti di Gesù ci conducono altrove: i nostri sentimenti, emozioni, ideali appassionanti non necessariamente si identificano con la vera misericordia, che Gesù è venuto a portare.

L’equivoco è in agguato, per noi come per Pietro, tanto più che viviamo nell’era della manipolazione del consenso, della falsificazione mediatica, che porta a prendere per vere e plausibili le opzioni più contraddittorie, che disabitua alla verità, facendo sottilmente leva sulle pulsioni più incontrollabili da parte dell’individuo, e più facilmente manipolabili dall’alto del potere massificante. Il meccanismo non è nuovo: anche contro Gesù viene messa in atto una campagna di manipolazione, per farlo condannare liberando Barabba; inedita è però la determinazione scientifica con cui viene perseguito.

Le armi da deporre
Pietro maneggia la spada, l’arma del suo tempo; per noi oggi si tratta di uno strumento primitivo e superato (almeno in parte: non è passato molto tempo da quando si sono consumati massacri e delitti efferati a colpi di machete e di coltello; del resto l’uso di armi più perfezionate non rende più “civile” la guerra). Non solo abbiamo fabbricato strumenti di morte sempre più raffinati, ma abbiamo perfezionato molte altre tecniche che diventano vere e proprie armi, veri e propri strumenti per la conquista del potere e l’annientamento del nemico, se non fisicamente, almeno moralmente. Pensiamo alla forza della comunicazione, al potere tecnologico che permette di soggiogare la realtà e che oggi può essere esteso anche al controllo della società.
Anche la Chiesa può essere tentata di affidare la sua missione in via primaria a questo genere di risorse: ma tutte le armi e tutti gli strumenti di guerra e di dominio, cruenti e incruenti, rientrano nel fodero di fronte alla Passione di Gesù: dono totale di sé, comprensibile solo nel silenzio e nel raccoglimento, a cui ci invita la liturgia del Venerdì Santo.

Il calice che il Padre ha stabilito
Gesù non ha bisogno di essere sottratto all’arresto e alla sofferenza: egli vuole bere fino in fondo il calice che il Padre gli ha dato (cf. Gv 18,11). Allo stesso modo oggi una compassione istintiva, sentimentale, vorrebbe risolvere il dramma dell’esistenza umana semplicemente eliminando lo scandalo, la sofferenza, rinunciando ad attraversarle, disimpegnandosi dal ricercare il senso di quel passaggio. Noi accettiamo invece di seguire Gesù nella sua Passione: senza ricercare scorciatoie, accettando la nostra croce, o perlomeno stando accanto ai crocifissi del nostro tempo.

La verità nell’insulto
«È conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo» (Gv 11,50; 18,14): ricordando la parola del Sommo Sacerdote l’evangelista invita a rovesciarne il senso, vedendo in essa una profezia nascosta. Gesù realmente è uno solo che muore per tutto il popolo; anche per Pietro, anche per Giuda, anche per i suoi torturatori e uccisori. Non si tratta che dell’unica profezia che si nasconde nei gesti e nelle parole di coloro che si sono costituiti avversari di Gesù.

«Salve, re dei Giudei!» (Gv 19,3): anche nell’insulto dei soldati, come nella soprascritta apposta da Pilato, si nasconde una paradossale verità: Gesù è davvero il re, e davvero regna dalla croce. Così pure la veste strappata, la tunica tirata a sorte, il colpo di lancia inferto dal soldato: uno squarcio di rivelazione si fa accessibile, a coloro che sanno vedere, anche attraverso i gesti di brutalità e violenza. È l’effetto dell’amore vissuto in pienezza e verità, nell’abbandono alla volontà del Padre. Può essere insultato, vilipeso, non riconosciuto, soffocato nelle tenebre: ma proprio così risplende ancora di più.

La verità del nostro amore
Occorre renderci conto, come amaramente avviene per Pietro, che una simile carità ci precede sempre: noi non riusciremo mai ad amare come Gesù; ciononostante, non possiamo fare a meno di confrontarci con lui, per attingere da lui il fuoco, la scintilla inesauribile che ci consente di vivere almeno imitando la sua carità.
Nel racconto della Passione secondo Giovanni, il sentiero sulle orme di Gesù è tracciato dal discepolo amato e dalla madre di Gesù: essi non compiono nessuna azione straordinaria, anche perché impossibilitati a dare qualunque aiuto, ma comunque seguono il crocifisso fino alla croce. Pur non potendo fare altro, almeno accettano di stare con lui, anche nella sua sconfitta.
La verità del nostro amore si misura dunque da questo: se abbiamo la forza, la pazienza, il mite coraggio di continuare a vivere secondo la volontà di Dio anche quando le circostanze si fanno avverse; se abbiamo la tenerezza per seguire Gesù anche nella sua croce. E ancora oggi Gesù è presente nei crocifissi della storia, accanto a chi è escluso dai primi posti nella società e nell’economia, è presente anche nelle sofferenze che saremmo tentati di schivare, là dove siamo chiamati ad amare chi non merita di essere amato.

Il segno della fraternità
A Maria e al discepolo amato Gesù cede il testimone della sua corsa. Atto che apparirebbe puramente sentimentale e inefficace; invece nella visione dell’evangelista è un evento da subito fecondo: «e da quell’ora» (Gv 19, 27), da quel preciso istante il discepolo accoglie la madre di Cristo nella sua casa. È pur sempre un legame di sangue che li lega: non la parentela carnale, ma il sangue versato da Cristo sulla croce, che subito dopo sgorga, insieme con l’acqua, dalla ferita aperta, dal fianco colpito dal soldato con la lancia. Sangue e acqua che rappresentano i Sacramenti della Chiesa, da cui ognuno, anche il nemico, può essere rigenerato e trovare vita nuova.

Riconoscendo il valore profetico e simbolico delle azioni dei soldati, l’evangelista invita a riconoscere la potenza dell’amore portato fino alla fine: il nemico non è destinato a restare sempre tale, l’oppressore potrà diventare fratello, è già dentro il progetto di Dio, per il momento a sua insaputa, forse anche suo malgrado: ma comunque già avvolto nell’abbraccio del Padre, che lo raggiunge attraverso il suo Figlio, consegnato alla morte. «Annoverato tra gli empi» (Is, 53,12) come ci ricorda la I lettura, Gesù si fa incontro all’umanità frantumata dal peccato, offrendo un nuovo centro, una possibilità di ritrovarsi.

La lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, trae tutte le conseguenze: la strada della misericordia è aperta, la via del perdono è accessibile. Basta “accostarsi con fede” alla croce, “trono di grazia”, lasciandosi avvolgere dalla potenza del suo amore. Il “fuoco che arde e non si consuma” di cui si parla nel libro dell’Esodo, a proposito della visione del roveto (cf. Es 3,2-3) resta acceso anche sul Calvario, perfino nel momento in cui sembra spegnersi. Ha incendiato chi lo ha seguito fino alla fine, ed è destinato a esplodere di nuovo e risplendere nella notte di Pasqua.