22 marzo
V domenica di Quaresima   versione testuale

Colletta
Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità, che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio...
 
Liturgia della Parola
Ger 31,31-34 Concluderò un’alleanza nuova e non ricorderò più il peccato.
Sal 50 Crea in me, o Dio, un cuore puro.
Eb 5,7-9 Imparò l'obbedienza e divenne causa di salvezza eterna.
Canto al Vangelo  (Gv 12,26) Se uno mi vuole servire, mi segua, dice il Signore, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.
Gv 12,20-33 Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.

In breve
L’uomo vecchio è colui che intende “salvare la propria vita”. Colui che non accetta la possibilità di morire per amore, che ha paura di donarsi. Non possiamo dirci immuni da una simile paura. Il seme di una umanità nuova è solo Gesù: dalla sua morte e risurrezione germoglia la possibilità inedita e inconcepibile di spendersi per gli amici, e ritrovarsi. La Nuova Alleanza si compie in lui, divenendo accessibile a tutti i suoi discepoli: “Dove sono io, là sarà anche il mio servo”.

Descrivere l’indescrivibile
La visione che troviamo nel libro di Geremia  mostra l’attesa della Nuova Alleanza. Un ascolto attento ci mostrerà la difficoltà della situazione del profeta: egli è spinto a descrivere ciò che lo Spirito gli suggerisce, senza averne l’esperienza, senza averne le parole. D’altra parte la Nuova Alleanza può risultare un concetto difficile pure per noi, che abbiamo ricevuto lo Spirito di Cristo, e però a volte lo incarceriamo tra le spire di un egoismo di ritorno, che rischia di annullare la liberazione portata da lui…

Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri
Il profeta dunque ha dallo Spirito l’intuizione fondamentale della Nuova Alleanza, la medita alla luce dell’esperienza passata di Israele, e  la presenta attraverso due immagini: la “legge scritta nei cuori”, e la fine della necessità di insegnamento: “non dovranno più istruirsi” (Ger 31,33-34). Ci soffermiamo sulla seconda, espressa in termini negativi e paradossali: come è possibile che non ci sia più nessun bisogno di insegnamento? In effetti anche Gesù si presenta come Maestro; e tutti noi abbiamo avuto bisogno di qualcuno che ci prendesse per mano, per avviarci alla fede; e tuttora abbiamo bisogno di approfondire il dono ricevuto. C’è però un insegnamento che nessuno può dare, che nessun predicatore può trasmettere da solo, che nessuna strategia comunicativa o comunitaria può da sola infondere: la conoscenza profonda di Dio, il riconoscimento della fede. “Tutti mi riconosceranno, dal più piccolo al più grande di loro”, annuncia Geremia: perché Dio stesso rimuoverà l’ostacolo del peccato, che ingombra lo sguardo, e impedisce di credere.

Il desiderio profondo
Anche nel Vangelo emerge un desiderio profondo di conoscere, di incontrarsi con colui che è immagine del Padre: lo vediamo nella domanda dei Greci “Vogliamo vedere Gesù”. Essi rappresentano l’aspirazione profonda di ogni creatura umana a incontrarsi con colui che è la loro origine e il loro fine. Nello stesso tempo mostrano che il percorso da compiere non è immediato. Essi chiedono  a Filippo, Filippo va a chiamare Andrea, insieme i discepoli si rivolgono a Gesù. Possiamo chiederci in quale punto ci collochiamo di questa catena di relazioni: siamo come i Greci, assetati di verità? Siamo come il discepolo che accoglie la domanda di chi cerca Dio? O siamo come l’apostolo Andrea, che fa da ponte perché il grido di chi cerca arrivi fino a Gesù? In realtà, nessun anello della catena è superfluo: solo se ciascuno si aggancia all’altro, è possibile arrivare fino a Cristo.

La via stretta
La risposta di Gesù potrebbe apparire deludente. Trasporta la questione su un piano totalmente differente. Perché si colloca su un piano che per il momento né i discepoli né tantomeno i Greci in ricerca possono percepire: è la sua “ora”, il momento di essere “glorificato”. La ricerca dei Greci e la catena di trasmissione dei discepoli rischia di essere ambigua, di ridursi a semplice curiosità. Il Gesù che essi cercano, e quello che i discepoli istintivamente propagandano, è il Maestro, il Sapiente, il Profeta, il grande personaggio… ma è giunto il momento in cui l’equivoco ha termine: Gesù si mostrerà come il Crocifisso, il Glorificato, il Risorto innalzato. Non è più decisivo vederlo con gli occhi della carne: ma riconoscerlo con gli occhi della fede, per seguirlo sulla stessa via, la via stretta, che comporta il passaggio attraverso la morte.

Dalla morte il frutto
La parabola del chicco di grano giustifica la necessità della Passione. Una incredibile sproporzione si instaura tra il chicco di grano e il frutto che ne deriva. Ma il passaggio necessario è la morte nel cuore della terra. Ulteriormente moltiplicata è la sproporzione tra l’uomo-Dio Gesù e il frutto che deriva dalla sua morte nella storia dell’umanità: attraverso lui risorge un popolo abbondante, sterminato.

Stare dov’è Gesù
La domanda dei Greci e la domanda dei discepoli ha trovato piena risposta. Per “vedere Gesù” occorre essere inseriti nel suo mistero di amore, essere “suoi servi”, stare dov’è lui, condividere la sua piena adesione alla volontà del Padre. In realtà non è difficile: alle soglie della Settimana Santa già sappiamo chi è rimasto vicino a Gesù fino in fondo. Ai piedi della croce ritroveremo Maria, le donne e i discepolo amato. Stare lì è così semplice, e tuttavia così ostico per chi è chiuso nel suo desiderio di “salvare la vita”. Ma chi pretende di salvare la vita, la perde, oltre a danneggiare le vite altrui. L’umanità nuova riparte da chi sa stare accanto al crocifisso, per risorgere con lui.