20 dicembre
IV domenica di Avvento   versione testuale

In breve

Michea 5,1-4a: «Egli stesso sarà la pace!».
La pace desiderata non è uno sviluppo, un progresso sociale, un’impresa titanica: si identifica in una persona, nella presenza speciale di Dio.
 
Salmo 79: «Proteggi quello che la tua destra ha piantato, il figlio dell’uomo che per te hai reso forte».
 
Ebrei 10,5-10: «Siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre».
Ciò che salva è il corpo, l’umanità di Gesù. Non un ideale astratto. Gesù è più che un progetto politico.
 
Luca 1,39-45: «Appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo».
Nel saluto di Maria, attraverso la forza dello Spirito, Elisabetta e suo figlio ricevono una prima anticipazione del Vangelo.
 

Misericordia incarnata

“Egli stesso sarà la pace!”, dice il profeta, sotto l’azione dello Spirito. Parla così perché conosce bene lo spettro della guerra e dell’infelicità; parla così perché si rivolge ad un popolo che ha subito l’oltraggio della violenza. Partendo dall’esperienza del profeta e dei suoi contemporanei, lo Spirito conduce a riconoscere che la pace non potrà essere portata né da circostanze economiche favorevoli, né da alleanze con i potenti della terra, né da un’accresciuta potenza militare. Si annuncia una pace che si identifica con una persona, con l’inviato, l’eletto di Dio.
 

Personalità ambigue

Non si tratta di un desiderio esclusivo di Israele, né di un’intuizione esclusiva del profeta. I grandi dittatori hanno sempre sfruttato l’istintivo desiderio di sicurezza delle masse, e la loro tendenza a identificarsi in un personaggio ritenuto autorevole e degno. Solitamente poi, una volta conquistato il potere, i dominatori delle masse si sono sempre rifatti agli istinti peggiori: desiderio di conquista, orgoglio nazionale, fanatismo razziale, fanatismo religioso. Dopo la seconda guerra mondiale, dopo la caduta del muro di Berlino, sembrava impossibile tornare all’idolatria del capo. Ma molti segnali indicano il contrario: la comunicazione mediatica internazionale si concentra prevalentemente e acriticamente sui leader, le antiche ideologie si sono dissolte per lasciare il posto a movimenti di pensiero ancora più vaghi e volatili, anche in Italia stiamo ancora assistendo ad una pericolosa personalizzazione della politica, che rende più disagevole un dialogo autentico sui grandi temi che esigono scelte e prese di posizione.  In un simile contesto risuona l’annuncio del profeta:  colui che deve venire “sarà egli stesso la pace”. Sarà dunque un altro dittatore? Un altro conquistatore? O una superstar mediatica?
 

Lo spazio dell’attesa

La profezia riapre uno spazio di attesa e di desiderio, che possiamo recuperare - anche se ne conosciamo già l’adempimento - per riconoscere che in Cristo essa si avvera in maniera inedita e sempre rinnovata e trasformante. Il Tempo di Avvento ci riporta ai tempi dell’incompiutezza, per smantellare le nostre pretese di possedere e ingabbiare Gesù. È lui la nostra pace, e noi lo sappiamo; ma dandolo per scontato, ce ne dimentichiamo. Noi non siamo ancora pienamente nella sua pace, ma rischiamo anche di dimenticarci della distanza che si separa da lui e dal suo futuro avvento; dandola per scontata, dimentichiamo di essere ancora in cammino.
 

Un nascituro

Un nascituro, piccolo e fragile, nel grembo materno, porta la pace a casa di Elisabetta. Così si manifesta la misericordia divina. Gesù non viene da Elisabetta come una superstar, ma nascosto in Maria, nel segreto della maternità. Maria ed Elisabetta, nel loro incontro intimo e domestico, mostrano la via della vera pace, la pace fatta carne, che può invadere la quotidianità, che può entrare in ogni casa. Gesù è pace proprio nella sua piccolezza e vulnerabilità, che accende di un calore nascosto l’incontro di due donne, due future madri, anch’esse piccole e vulnerabili. Nel Vangelo di Luca, possiamo considerarla come la prima manifestazione di Gesù e degli effetti positivi del suo avvento nella carne, e potremmo dire che la pace messianica comincia nella casa di Elisabetta. La casa dove le due donne si incontrano, si scambiano il saluto, si riconoscono reciprocamente visitate dalla grazia divina, avvolte dallo Spirito, ciascuna secondo la sua vocazione particolare, è la prima tappa di quella “corsa della Parola” che si compie nel Vangelo e che prosegue nella storia della Chiesa, fino ai giorni nostri.
 

L’immagine della piccola città

Anche il profeta aveva invitato a non lasciarsi fuorviare dalle categorie troppo umane di grandezza e piccolezza. L’immagine di Betlemme, la piccola città, quasi troppo piccola per stare tra le città di Giuda, ci guida a riconoscere la presenza del Regno, l’irruzione dello Spirito anche nei luoghi e nelle persone che, secondo il criterio mondano, giudichiamo irrilevanti. Due nascituri non ancora pienamente formati, due donne prive di particolari poteri, la casa di Elisabetta, la piccola città… il Dio dell’incarnazione si fa presente lì e non altrove.
 

Vie verso l’umanità nuova: uscire a riconoscere Gesù

Là dove il Figlio di Dio ancor oggi si manifesta, siamo invitati ad “uscire”. Nel nostro contesto tecnologico, ci illudiamo a volte che uscire possa voler dire “navigare” nella rete mediatica e comunicativa. Può essere vero, ma si richiede un discernimento. La televisione ci mostra immagini di profughi, di guerre, di persone che soffrono… possiamo guardare, posso commuovermi, ma non siamo ancora “usciti” incontro a loro. Possiamo certamente percepire in quelle immagini una chiamata a smuoverci dall’indifferenza. Ma non ci siamo ancora smossi. Possiamo anche intuire che lì, in quelle persone, in chi li aiuta, c’è una certa presenza di Gesù, così come lui era presente nell’incontro tra Maria ed Elisabetta. Ma finché non ci si mette in viaggio, non si è ancora realizzato ciò che il Vangelo suggerisce, a imitazione della Madre di Gesù. Per mettersi in viaggio, occorrerà solitamente uscire dalla rete, farsi incontro di persona, stare in una casa, stare in una piccola città, in una qualche periferia dimenticata dalla storia: lì può ripetersi l’incontro fraterno, lo scambio reciproco di carità e di grazia.
 

Vie verso l’umanità nuova: uscire e portare Gesù

Nella quarta domenica di Avvento entriamo in una dimensione del tutto speciale della misericordia, che non ha a che fare con il peccato, con il perdono, con la cancellazione di un torto subito. Maria non ha nulla da perdonare ad Elisabetta, né Elisabetta ha qualcosa da eccepire nei confronti di Maria. Ciascuna porta la pienezza del suo affetto, che tende a crescere e manifestarsi sempre di più. Come quando in un coro non ci si preoccupa più di non sbagliare le note, di non sapere la linea melodica, ma unicamente si tende alla massima sintonia, a fondere le voci fino a raggiungere un’unica armonia. Maria ed Elisabetta si preoccupano unicamente di “crescere e sovrabbondare nella carità”. Stiamo idealizzando troppo la scena evangelica? Forse no: ci è dato di sperimentare, almeno in alcuni momenti della vita, una simile comunione di spiriti e di intenti. Il momento critico sta nel tempo: quando è il momento di disperdersi, quando lo Spirito chiama altrove. Anche quando si vive nella più sorprendente bellezza della gioia fraterna, verrà sempre il momento di uscire. Lo Spirito di Gesù, che ci concede di vivere nella sua pace, non permette mai che diventi un nido egoistico; impone che sia il trampolino di lancio per uscire, verso una nuova missione, verso una nuova condivisione, per portare Gesù e la sua gioia a chi ancora non la conosce. Perché per quanto forte sia il legame di carità che si può sperimentare qui, sulla terra, è sempre di passaggio. Una diversa pienezza, per sempre, ci attende al di là della vita terrena…