13 dicembre
III domenica di Avvento   versione testuale

In breve

Sofonia 3,14-17a: «Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico».
Il profeta annunzia il perdono dopo il tempo della dispersione: Dio viene come re e sposo nella città santa di Gerusalemme.
 
Salmo di Isaia 12,2-6: «Ecco, Dio è la mia salvezza: io avrò fiducia, non avrò timore».
Coloro che hanno accolto la misericordia di Dio possono vivere nella fiducia e nella speranza.
 
Filippesi 4,4-7: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti».
Ogni circostanza della vita può divenire occasione favorevole per sperimentare e accogliere la misericordia di Dio.
 
Luca 3,10-18: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno».
La predicazione del Battista apre strade nuove nella vita dei suoi interlocutori, pone un limite all’ingiustizia che è presente in loro, educa a rinnovare la propria vita per accogliere il dono di Dio.
 
 

Colui che disperde il nemico

Il profeta Sofonia invita Gerusalemme all’esultanza: il Signore “ha disperso il nemico”. L’oracolo del profeta aveva precise risonanze politico-militari: il piccolo regno di Giuda, con capitale Gerusalemme, doveva periodicamente confrontarsi con vicini molto più forti e bellicosi di lui. Ma il popolo saprà fidarsi dell’annuncio del profeta? O si lascerà spaventare dal timore dei nemici? O forse si lascerà prendere dalla tentazione di scendere a patti con il nemico, di trarre vantaggi da un accordo con lui? Di fatto nella storia di Israele, anche al tempo di Gesù, si sono sempre verificate relazioni ambigue con gli avversari, il più delle volte non da parte di tutto il popolo, ma di una sola parte: un popolo diviso però è già in parte sconfitto…
 

Il nemico dentro

Israele dunque non ha soltanto nemici al di fuori di sé: il nemico più insidioso è al suo interno, è la paura che paralizza, impedendo di aderire pienamente a Dio, è l’insieme delle conseguenze del peccato, che grava sul destino del popolo (si parla anche di una “condanna revocata”, cf. Sof 3,15). Il nemico da fuori può colpire solo se il popolo dentro di sé è malato, lontano da Dio, diviso in sé stesso, avvelenato dalle tentazioni dell’ingiustizia.
 

La gioia delle nozze

L’immagine che esprime il rinnovamento di Sion è quella della gioia delle nozze: notiamo infatti all’inizio del brano che Sion è invitata a “gridare di gioia”; al termine Dio stesso esulterà per lei “con grida di gioia”; al cuore del brano sta la promessa: “ti rinnoverà con il suo amore”. Il re-sposo torna nella sua casa nuziale a Gerusalemme; ma Gerusalemme stessa è la sposa; essa è invitata a gioire per lui, egli danzerà di gioia per lei.
 

Verso la conversione

Con grande energia il Battista spinge alla conversione. Le folle accolgono la sua predicazione, compiono il segno del battesimo, iniziano un percorso di discernimento, che si apre con la domanda rivolta al profeta: «Che cosa dobbiamo fare?». Domanda ingenua: chi compie i primi passi nella conversione è simile a un bambino che non sa ancora camminare e ha bisogno di essere guidato. L’esplicita richiesta delle folle attiva la risposta del profeta, che presenta due livelli. Da un lato, Giovanni ha il coraggio di proporre una indicazione pratica. Non è possibile limitarsi a discorsi innocui. D’altra parte, le proposte di Giovanni hanno anche una valenza simbolica: non si tratta di precetti puntuali, ma di sentieri aperti. Chi comincia a percorrerli, non avrà mai finito di crescere nella loro comprensione e realizzazione.
 

Misericordia e concretezza

L’evangelista riconosce e ripropone i consigli del Battista come segno della misericordia divina: essa non è pura e semplice amnistia, condono indifferente del peccato, ma apertura di strade nuove. Non è vera misericordia se non arriva a lambire la realtà, a cominciare ad imbeverla, fino a toccare nel vivo le abitudini, lo stile di vita, le scelte quotidiane di coloro che sono stati perdonati per rinascere a una vita nuova.
 

Vie per l’umanità nuova: educare alla solidarietà

Il primo consiglio che viene dato, a tutti, è un richiamo alla giustizia: dare a chi non ha. La semplicità della formulazione rivela una profonda sapienza: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. Si suppone infatti una presa di coscienza della propria sovrabbondanza e dell’inutilità di una simile eccedenza, primo passaggio indispensabile sulla via del dono. Si suppone poi un contatto diretto tra il donatore e i riceventi. Esso non esclude ovviamente le numerose iniziative di solidarietà a distanza che si propongono nelle nostre comunità cristiane e che possono avere grande valore educativo; ma la massima crescita della carità si ha quando c’è un contatto diretto tra chi dà e chi riceve, tra chi dona e chi accoglie il dono: perché nell’atto stesso del contatto fraterno e solidale si costituisce una reciprocità, una mutualità di riconoscimento, si instaura una relazione. Là dove si stabilisce amicizia e reciprocità, non c’è più chi dà e chi riceve, ma entrambi gioiscono di poter camminare insieme, aiutandosi a vicenda.
 

Vie per l’umanità nuova: educare alla legalità

Ai pubblicani viene consigliato di “non esigere nulla di più”. Per loro, non si tratta dunque di rinunciare al lavoro; non si tratta di rifiutare l’Impero Romano con il suo sistema di tassazione (il problema delle tasse, effettivamente, è molto antico… forse una memoria storica più attiva ci aiuterebbe a ridimensionarlo). Si propone invece di porre un limite alla corruzione, per la quale la riscossione delle imposte diveniva fonte di arricchimento mafioso. Sono cambiati i tempi, sono cambiate le modalità tecniche della corruzione, è notevolmente cambiata la valuta e la finanza; il problema della corruzione resta, pressoché immutato dall’Impero Romano fino ad oggi. Quello che sembra un consiglio piuttosto limitato e scontato è in realtà estremamente impegnativo. Non esigere nulla di più significa raggiungere una notevole disciplina interiore, ed eliminare tutta una serie di relazioni ambigue, che a catena si innescano in un sistema corrotto.
 

Vie per l’umanità nuova: educare al limite

Ai soldati viene consigliato di rinunciare al saccheggio, per accontentarsi delle loro paghe. Solo in apparenza si tratta di una richiesta di poco conto. Nel mondo antico la prevaricazione e il saccheggio erano tacitamente previsti come integrazione ai proventi della vita militare. Si trattava di un costume diffuso dall’antichità e radicatosi nel tempo. Oggi l’istinto di saccheggio e appropriazione non combatte più nell’arena dello scontro militare. Si è spostato (come le guerre, del resto) in ambito economico. Proprio in ambito economico, oggi, sperimentiamo la tentazione a “volere di più”, a conquistare risorse con ogni mezzo, a monetizzare diritti talvolta inconsistenti. I riflessi si vedono nella situazione mondiale: il creato devastato dall’inquinamento, le società minate dalla corruzione morale, la politica in preda ai giochi di potere e alle trame della finanza. È urgente più che mai ritrovare il senso del limite: e con esso, la gioia. Chi è ricco non ha mai abbastanza. I poveri nel Signore hanno la possibilità di sperimentare la gioia della semplicità.