Sussidio Avvento-Natale 2014 - Giovani - 11 aprile - Battesimo del Signore 
11 gennaio - Battesimo del Signore   versione testuale
Resi figli nel Figlio
“Siate santi perché io sono santo” (Lv 11,45). Così recita un verso della Sacra Scrittura che diventa monito per ogni cristiano. Al di là di ogni concezione stereotipata, il santo è colui che vive bene la propria vita. In modo particolare, per il cristiano il termine di paragone per la vita buona è il Vangelo. Vivere la santità vuol dire gustare la bellezza della vita quotidiana, consapevole che ogni istante è unico e non si ripeterà in futuro, vuol dire essere consapevoli che Dio guida la storia ed essere capaci di riconoscerne la presenza. Essere santi vuol dire non scoraggiarsi e non arrendersi, consapevoli di dover spingere sull’acceleratore quando la strada è in salita. Il santo è colui che alla fine della sua vita si rende conto che nessun giorno, nessuna esperienza, nessun momento è stato inutile e ogni istante è stato vissuto in pieno.
 
 
#storiadiordinariasantita

 
“All’inizio volevo dirgliene quattro…
Poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce
su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno J)
Quindi gli ho affidato tutto: me, il piccolo e Anna”.
 
Filippo, 30 anni. È morto poco più di un anno fa a causa di un tumore fulminante che l’ha trascinato via in tre settimane. Una persona come tante. Ingegnere, sposato con Anna, in attesa del primo figlio. Una fede radicata e vissuta nel quotidiano del suo oratorio, quello di San Vittore ad Intra, in provincia di Novara.
Nulla di straordinario fin qui. È proprio questo forse che rende la sua vita un esempio per tutti. Un esempio a cui tendere, da cui imparare. “Un quinto Vangelo, la sua vita – come l’ha definita il Vescovo di Novara Mons. Franco Giulio Brambilla -, una storia che si realizza attorno all’Eucaristia di Gesù e alla passione per i ragazzi dell’oratorio, un’immagine di cristiano semplice, autentico, pieno di entusiasmo e vita”.
 
Una mattina di agosto, dei forti dolori all’addome lo costringono ad andare al Pronto Soccorso. C’è del liquido sospetto e solo una Tac potrà rivelarne la natura. Si tratta di un tumore.
 
La paura assale Filippo e Anna, le loro famiglie, ma anche tutti gli animatori dell’oratorio che si trovano vicino Torino per un campo scuola. E don Fabrizio, il prete dell’oratorio con cui Filippo ha condiviso i momenti più importanti della sua vita; guida, amico e fratello.
 
Dal momento del ricovero, in oratorio comincia una maratona di preghiera e un via vai di visite in ospedale. Tante persone, anche lontane dalla fede, partecipano alle veglie e si riavvicinano alla grande famiglia dell’oratorio solo per pregare per Filippo e per quella fede che ora chiedono anche per sé stessi. Filippo invita tutti a pregare, ma offre il suo dolore per tutti i suoi amici, si preoccupa per loro, per Anna e per il piccolo Luca che sta per venire al mondo. Scrive a Papa Francesco e chiede una sua preghiera perché “qualunque cosa succederà a me, la mia famiglia possa trovare in Gesù la roccia a cui ancorarsi per non essere spazzata dalle difficoltà della vita”.
 
Dopo la sua morte, sono state tante le lettere, i messaggi inviati in parrocchia, gli sms e i post sui social network. Come quello di Francesca, 18 anni, una delle animatrici del Circolo San Vittore: “Adesso è strano entrare nel salone dell’oratorio e vedere la tua foto. Prima vedevo te. So che ci sei. Ci sei sempre stato, ci sei e ci sarai sempre. Forse non te l’ho mai detto, ma... grazie».
 
O come il messaggio di Lucia che, sulla pagina web dell’oratorio, si chiede se sia poi così ‘normale’ dopo un simile responso medico comprendere davvero che “Lui carica la croce su chi può sopportarla”. E continua: “Dio secondo me ci dice che per essere santi non occorre fare cose eccezionali, ma ci vuole insegnare che la santità nasce prima di tutto da un cuore traboccante d’amore per Lui”.
 
La vita di Filippo ha toccato le vite di tanti che si sono lasciati interrogare e mettere in discussione da questa vicenda. Filippo si è affidato al Signore e alla sua fede luminosa per entrare da quella porta che “si fa sempre più stretta” e ha fatto della sua vita un vero  ‘capolavoro’.