10 aprile - III domenica di Pasqua    versione testuale

«PASCI LE MIE PECORE»

Letture
At 5,27b-32.40b-41 Siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono.
Lo Spirito anima la Chiesa e la abilita alla testimonianza.
Sal 29 Cantate inni al Signore, o suoi fedeli: la sua collera dura un istante, la sua bontà per tutta la vita.
La comunità dei credenti vive nella gioia e nella lode.
Ap 5,11-14 I quattro esseri viventi dicevano «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.
La liturgia fa entrare in una dimensione cosmica e universale.
Gv 21,1-19 Benché fossero tanti, la rete non si spezzò.
Accoglienza per tutti, senza paure.

In breve
Vivere il Giubileo: interpellati sull’amore
«Mi ami?» (Gv 21,16): la domanda di Gesù a Pietro lo aiuta a porre unicamente nell’amore autentico, con tutte le sue sfaccettature, la fiducia e le attese. Dopo un tentativo fallito di riscoprirsi pescatore, Pietro ritrova, dalle mani e dalle parole di Gesù, la missione di pastore. Ma è un pastore ben diverso da colui che era pronto a sacrificare la propria vita e la vita dei compagni per la lotta contro il nemico: ora è pronto a donarsi unicamente per amore. Un amore che solo Gesù, il Figlio misericordioso del Padre, conosce a fondo: perfino nel cuore di Pietro. Perfino nel nostro.
Prepararsi al Congresso Eucaristico: il Risorto ci viene incontro nell’esperienza della comunione

La dimensione comunitaria permea profondamente tutte le letture: sia l’esperienza del gruppo degli apostoli, che di fronte al tribunale hanno il coraggio di testimoniare ciò che il Risorto e lo Spirito hanno loro affidato, sia la grandiosa visione dell’Apocalisse, che abbraccia addirittura tutto il cosmo in una solenne liturgia di lode, sia l’esperienza del gruppo dei discepoli, riconfermati nella loro missione dall’incontro con il Risorto. Ogni testimonianza, ogni iniziativa di missione, ha bisogno di instaurarsi in un contesto di profonda comunione. Che non significa essere forzatamente perfetti: si tratta anzi di accettarsi con i propri limiti, e di accettarli negli altri, consci che la forza decisiva che muove la storia di salvezza oltrepassa infinitamente l’iniziativa personale dei singoli.

«PASCI LE MIE PECORE»

Pescatori delusi
Erano stati chiamati ad essere pescatori di uomini. Ora tornano all’antico mestiere, come se non fossero mai stati chiamati da Gesù. Più volte si è parlato della fatica del riconoscimento, della lentezza dei discepoli nell’entrare definitivamente nella missione del Risorto. È da notare peraltro che la scena appartiene probabilmente ad uno strato più tardivo del vangelo di Giovanni: nel riflusso narrato riguardo ai discepoli, si riflette probabilmente lo stato d’animo delle comunità della seconda o terza generazione cristiana, forse tentate anch’esse dalla disillusione, da un sentimento di inutilità. Anche noi oggi sentiamo molto vicino a noi il brano della pesca, prima fallita, poi miracolosa. Anche noi ci chiediamo talvolta se per caso duemila anni di cristianesimo non siano stati tutto sommato inutili.

Testimoni convinti
La prima lettura mostra il gruppo dei discepoli in un atteggiamento totalmente diverso: Pietro, a nome di tutti, rifiuta di cedere alle minacce, rifiuta di piegarsi ad una volontà puramente umana, quando davanti ai suoi occhi è ben chiara la volontà di Dio, trasmessa attraverso lo Spirito. Questo brano forse ci è più estraneo; ma allargando gli occhi al di là di una prospettiva troppo centrata sull’Europa, troviamo che in molte parti del mondo decine di persone, ancora oggi, anche a rischio della vita, hanno lo stesso coraggio dimostrato da Pietro e dai discepoli.

Lode, onore, potenza
Ciò che sta in primo piano tuttavia non è la qualità più o meno eroica, più o meno timorosa, della testimonianza; ma il suo radicarsi essenzialmente sulla carità. Come più volte è stato fatto notare, Gesù non interroga Pietro sulla sua disponibilità eroica, sulla sua coerenza morale, e neppure sulla sua consistenza dottrinale. Il punto fondamentale è se davvero ama Gesù. L’amore gratuito e gioioso, testimoniato da una intera comunità, è il vertice della testimonianza e della responsabilità. La lettura dell’Apocalisse, aprendo uno squarcio su una realtà che resterà sempre inattingibile dalla nostra prospettiva terrena, mostra che «nel cielo» (Ap 5,13) l’attività fondamentale dei santi, dei beati, delle creature angeliche, in unione al cosmo intero, è la lode gratuita. La lode che nasce dalla condivisione della carità.

Interrogarsi sull’amore
Conviene dunque partire dalle parole di Gesù per farsi un vero e proprio esame di coscienza, diverso da una semplice verifica dell’efficienza, della produttività, dei risultati effettivi. La domanda non è esclusiva di Gesù: anche la sposa e lo sposo si chiedono, reciprocamente, “Mi ami davvero?”. Anche i figli ai genitori, i genitori ai figli, gli amici, i fratelli di fede… in ultima analisi chiedono solamente questo: “Mi ami?”. Anche i poveri (i veri poveri) non chiedono tanto denaro, aiuto, sostegno a basso prezzo, ma chiedono la vera carità, che nasce non solo da un vago sentimentalismo, ma dalla tensione verso il bene e la promozione della persona. Mi ami tu? Mi ami davvero? Potremo rispondere solo se, come Pietro, manteniamo vivo il rapporto con Gesù Risorto, vera fonte della carità: «Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,16).

Essere conosciuti da Dio
Decisivo dunque non è quanto noi ci riteniamo o sappiamo di essere capaci di amare; ma il restare in relazione, l’affidarsi alla conoscenza di Dio. Si esce così da una prospettiva autocentrica, in cui l’individuo è protagonista del suo proprio amore, che viene, per così dire, imposto agli altri, alla società, alla persona amata… e si entra nel circolo virtuoso: ci scopriamo amati da Dio, e da lui chiamati ad amare; scopriamo l’amore del Padre nel volto del Figlio, e in lui rileggiamo la vocazione personale ad un amore unico.

Custodire la comunione
Il bene prezioso della comunione è dunque un valore da custodire: anche Pietro riceve da Gesù l’ordine: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). E pascolare è essenzialmente sorvegliare, bloccare, incanalare, talvolta impedire che una mossa improvvida di qualche pecora distratta la metta in pericolo, e con lei tutto il gregge. Non si tratterà però di un fatto poliziesco, di una imposizione feroce: chi esercita il servizio della custodia del popolo di Dio deve viverlo come un momento di amore; lo stesso faranno i genitori verso i figli, i sani verso gli ammalati, i forti nei confronti dei deboli: nel contesto della comunità cristiana ogni incarico asimmetrico, educativo o di cura, può essere vissuto nel nome del Signore. Ma può essere vissuto solo se permane una forte relazione con Cristo. Altrimenti avremo un “prendersi cura” che si esprime unicamente nelle forme dell’organizzazione, dell’efficienza, della costrizione. Il legame con Gesù, crocifisso e risorto, divenuto accessibile nella Comunione Eucaristica, è indispensabile per costruire altri legami di comunione autenticamente cristiani. Al legame con Gesù andrà riferito ogni altro aspetto della comunione ecclesiale. Lo si vede in maniera icastica nella prima lettura: la cura della comunità avviene senza forzature e senza costrizioni: semplicemente gli apostoli si mettono in prima fila, anche nelle persecuzioni, e tutti li seguono. Sapremo anche noi costruire una simile unità?