Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella misericordia - Domeniche - 6 dicembre - II domenica di Avvento 

6 dicembre   versione testuale

II domenica di Avvento


Gruppo artistico DAST, Desert breath, 1990-1997
 
Nel vangelo della seconda domenica di Avvento la liturgia, dopo averci ricordato che il Figlio dell’uomo in un imprevedibile giorno ritornerà, ci riporta ad un momento preciso dell’azione storico-salvifica di Dio: l’anno quindicesimo di Tiberio Cesare. Circa trent’anni prima, una fanciulla di Nazareth aveva detto il suo «» incondizionato all’angelo mandato da Dio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola (in greco: rema)» (Lc 1,38). Ora quella stessa parola (rema, Lc 3,2) si posa su Giovanni Battista nel momento in cui comincia la sua predicazione del deserto. E’ il compimento della profezia di Isaia. Il deserto deve diventare la strada attraverso cui possa manifestarsi la salvezza per l’umanità. Anzi quel deserto é l’umanità stessa,  bisognosa di redenzione.
«Dio stava per venire in quel deserto, da sempre impervio e inaccessibile, che era l’umanità», dice Eusebio di Cesarea nel suo Commento al profeta Isaia. Luca infatti proclama: «Ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (v. 6) e usa il termine «carne» (sarx) per indicare la condizione peccatrice dell’uomo; in questo modo egli dice due cose a cui tiene molto: che Gesù é il segno della misericordia del Padre verso i peccatori e che questa misericordia non ha limiti di tempo e di spazio. La strada che si apre in questo deserto é dunque l’umanità assunta da Cristo, non più impervia e inaccessibile a causa del peccato, ma destinata a diventare una fertile pianura. Per questo egli dirà di essere «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), che riconduce al Padre. La sua venuta abbasserà i monti su cui si innalza la superbia umana e colmerà i burroni in cui precipita ogni mortale angoscia; e l’umanità, dal suo esilio, potrà raggiungere la terra promessa della nuova pace con Dio in un deserto in piena fioritura. Infatti il Signore «cambierà il deserto in un lago d'acqua, la terra arida in zona di sorgenti» (Is 41,18).
C’é una grande opera d’arte nel deserto egiziano che, su un territorio vasto quanto dieci campi di calcio, esprime simbolicamente questi significati che scaturiscono dalla predicazione e dall’azione battezzatrice di Giovanni Battista nel deserto. Questa suggestiva opera di Land Art si chiama Desert breath (Respiro del deserto) ed é stata realizzata dall’artista greca Danae Stratou in collaborazione con Alexandra Stratou e Stella Konstantinidis negli anni tra il 1990 e il 1997.
Da un punto focale, che in realtà é un bacino pieno d’acqua perfettamente circolare, partono due spirali verso la stessa direzione, ma dai punti opposti del suo diametro. Questo diametro ha la lunghezza di 30 metri, cioé 3x10, la perfezione del 3 verso tutte le direzioni geografiche e temporali del 10. Il centro d’acqua é un punto “sorgente,  generatore della doppia spirale, costituita da coni pieni a formare delle colline e coni vuoti a formare dei burroni. La spirale evoca lo sviluppo della vita, indica estensione e progresso della creazione che si espande all’infinito. Non a caso é la forma tipica delle galassie. Non pochi fossili preistorici mostrano uno scheletro a spirale e il girasole si volge verso il sole disponendo i suoi semi su linee curve spiraliformi. Alcune culture antiche indicano con la spirale il cammino dopo la morte. Dunque l’acqua del centro alimenta lo sviluppo infinito delle spirali sul cui tracciato il tempo va abbassando i coni pieni e va riempendo i coni vuoti. Le colline vengono abbassate e i burroni colmati, mentre la doppia spirale continua ad avvolgersi protendendo la nuova creazione verso l’infinito dello spazio (tutti i popoli) e del tempo (l’eternità).