Sussidio Quaresima-Pasqua 2014 - Domeniche - V Domenica di Quaresima 
V Domenica di Quaresima   versione testuale

Michelangelo Merisi da Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1609.
© Su concessione della Regione Siciliana, Assessorato Beni Culturali e Identità siciliana – Dipartimento Beni Culturali e Identità siciliana – Museo interdisciplinare regionale di Messina.

«Per la sua fede nel sole ‒ afferma san Giustino Martire ‒ non si è mai visto nessuno pronto a morire».
Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, “i cui raggi donano la vita”. A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta».
È quanto scrive papa Francesco all’inizio dell’enciclica Lumen fidei. Così come Gesù rispondendo a Tommaso dirà di sé: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), anche nel dialogo con Marta, la sorella di Lazzaro di Betania, afferma: «Io sono la risurrezione e la vita […] chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25-26). Gesù, infatti, è il Verbo nel quale «era la vita» (Gv 1,4), venuto nel mondo perché coloro che credono in  lui abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cf. Gv 10,10). S. Agostino, riprendendo il testo giovanneo: «Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26), si chiede: «Che vuol dire questo? “Chi crede in me, anche se è morto” come è morto Lazzaro, “vivrà”, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Così rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe; non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi (Mt 22,32; Lc 20,37-38). Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi» (Commento al Vangelo di Giovanni 49). È proprio il dono della vita che Gesù partecipa all’amico Lazzaro che si era addormentato e che Egli era venuto a svegliare (cf. Gv 11,11).
Caravaggio ha tradotto in pittura l’episodio evangelico dipingendo a Messina, tra il 1608 e il 1609, una tela di notevoli dimensioni destinata alla Chiesa dei Padri Crociferi.
La scena è animata e mossa da un grande stupore che esprimono tutti i personaggi nell’istante in cui il corpo irrigidito di Lazzaro riprende vita, risvegliandosi dal sonno profondo della morte.
 
Il suo corpo nudo, liberato dalle bende, semicoperto da un lenzuolo, teso in forma di croce, è raggiunto dalla luce soprannaturale che si riflette anche sui volti smarriti dei personaggi che affollano il dipinto. All’estremità sinistra della tela è posta la figura solenne e composta di Gesù con il braccio destro alzato mentre la sua mano è rivolta verso il morto il quale ha già udito le parole: «Vieni fuori!» (Gv 11,43). Sciolto dalle bende e liberato dal sudario, Lazzaro riprende vita. Il suo capo è amorevolmente sostenuto dalle sorelle Maria e Marta. Quest’ultima aveva detto a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora io so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli te la concederà» (Gv 11,21-22). Adesso vede realizzato il suo desiderio e il suo atto di fede in Cristo, vita e risurrezione, trova risposta. Il tutto si consuma in una scenografia che si materializza in un ampio sfondo scuro che sembra incombere sulle figure disposte lungo uno stesso piano, uno spazio vuoto e impenetrabile che viene come squarciato dalla luce divina.
Caravaggio organizza la scena in modo teatrale. La proporzione tra le figure e l’altezza della tela aumenta la percezione del sacro e del mistero che avvolge e sconvolge gli uomini quasi sopraffatti dalla sua rivelazione. Il gioco di luce e di ombra sottolinea ancora di più l’evento pasquale che si sta compiendo quale anticipo dell’esodo da questo mondo al Padre che Gesù avrebbe realizzato da lì a breve a Gerusalemme. Ormai la morte, di cui anche le ossa e il teschio posti in primo piano, è stata sconfitta e fa spazio alla vita.
Nell’uomo raffigurato con le mani giunte e posto dietro l’indice di Cristo, rivolto proprio verso la fonte di luce, quasi alla ricerca della grazia, molti hanno letto l’autoritratto dello stesso Caravaggio. Nel suo volto smarrito ogni uomo che ricerca la verità può riconoscere se stesso.
Ogni credente, infatti, è chiamato ad abbandonare le tenebre della morte e del peccato per lasciarsi raggiungere dalla luce vivificante di Cristo.