3 aprile
Venerdì Santo   versione testuale

Colletta
Ricordati, Padre, della tua misericordia;
santifica e proteggi sempre questa tua famiglia,
per la quale Cristo, tuo Figlio,
inaugurò nel suo sangue il mistero pasquale.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
Letture
Is 52,3 - 53,12 Egli è stato trafitto per le nostre colpe.
Sal 30 Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.
Eb 4,14-165,7-9 Cristo imparò l’obbedienza e divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono.
Canto al Vangelo (Cf Fil 2,8-9) Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.
Vangelo  Gv 18,1 - 19,42 Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni.

 
In breve
Con fine ironia l’evangelista invita a cogliere il senso nascosto delle parole di Pilato. “Ecco l’uomo” (Gv 19, 5): quel Gesù flagellato e percosso e insultato oltre ogni limite è una vera, imprevedibile immagine dell’uomo, dell’uomo di ogni tempo, di tutta l’umanità.
È un’umanità segnata dal dolore, dalla sofferenza; una sofferenza che è frutto dell’odio, dell’ingiustizia, di una sorda malevolenza che cresce lentamente, fino a esplodere. Nel volto di Gesù, sfigurato dalle percosse, vediamo l’uomo: sia l’innocente, il giusto, colui che dona la vita; sia, di riflesso, l’umanità coinvolta nell’odio, resa schiava dal meccanismo infernale che lei stessa mette in moto, perdendone il controllo.
 
L’uomo dei dolori
Nella prima lettura abbiamo la profezia di una possibilità inedita di realizzarsi come persona, di vivere il proprio essere uomo: il “servo di Dio” avrà “successo”: non però nella modalità della vittoria che sbaraglia il nemico, ma attraverso un paradossale annientamento, da cui scaturisce una imprevedibile risurrezione.
In un crescendo impressionante è descritto l’annientamento di un misterioso personaggio, che subisce atroci sofferenze nel disprezzo generale. Un coro di spettatori descrive la scena: “Noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato” (Is 53,4). Il brano è tutto impostato sulla loro sorpresa, sulla scoperta di doversi ricredere di fronte al progetto di Dio: “vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore” (Is 53,10). Il servo del Signore, considerato maledetto, oggetto del castigo di Dio, si rivela come strumento di salvezza per la moltitudine.
 
Il senso nascosto degli eventi
Anche nella Passione secondo Giovanni l’evangelista mostra a più riprese la stessa dissociazione, tra la visuale superficiale e il senso profondo, che appare solo a chi guarda con fede. Alla guardia del sommo sacerdote Gesù risponde: “Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Gv 18,23). Mentre viene percosso, Gesù appare come l’innocente perseguitato, che realizza la figura del Servo sofferente annunciato dai profeti. Anche il cartello “il re dei Giudei” posto sulla croce, che per Pilato è un modo di umiliare il popolo vinto e assoggettato, risulta profetico: dalla croce Gesù regna ed è glorificato e glorifica il Padre; così pure lo sfregio dei soldati, che trafiggono il fianco di Gesù, creduto morto e inerte, fa sgorgare sangue e acqua, anticipazione dei sacramenti della Chiesa, segno di vitalità perenne, destinata ad espandersi in tutto il mondo.
 
Una strana vittoria
Gesù risulta in tal modo vittorioso sull’insulto e sulla furia omicida. Il mondo vorrebbe schiacciarlo, ma al contrario non fa altro che manifestare in lui l’amore del Padre, che ha mandato il Figlio del mondo non per condannare, ma “perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. “È meglio che un uomo solo muoia per il popolo” (Gv 11,50-51) aveva detto il sommo sacerdote: senza accorgersi che le sue parole erano una profezia, pienamente avverata dagli eventi successivi.
 
La nostra vittoria
Anche per noi però, ritrovare l’uomo nuovo passa per la via della croce: quando invece di lasciarsi trascinare nella spirale mostruosa della violenza, della ripicca, della vendetta, si è resi capaci, dalla carità di Gesù, di perdono, di dialogo, di ricerca del bene. Non ci è richiesto però necessariamente di salire sulla sua croce: lo ha già fatto lui per noi. Per noi potrebbe essere sufficiente stare ai piedi della croce, come Maria, come il discepolo amato.
 
Stavano presso la croce
Perché stare presso quella croce? A che cosa serve il tempo speso vicino al condannato a morte, che certamente non vivrà? Eppure Maria e le altre donne sono vicino a Gesù, anche nell’ora della morte, quando non c’è più nulla da fare. Esse, seguendo Gesù nell’intuizione del loro cuore, già camminano verso il rinnovamento dell’umanità, che passa per la riscoperta della preziosità di ogni vita e di ogni momento della vita.
Non è tempo perso quello che si passa a fianco dell’ammalato, del sofferente, non è inutile la compassione verso chi soffre, anche se non si hanno i mezzi per risolvere i problemi. Il mito dell’efficienza e della produttività, che si instaura come un idolo quando si travalicano i confini di una sana razionalità del fare, rischia di annientare la persona. Ma finché ci saranno persone capaci di perdere tempo a fianco di un fanciullo, di un anziano, di un familiare, di un amico, sarà possibile resistere alla tentazione della produttività assoluta. Che non appartiene all’uomo: ma solo alla macchina.
 
Ordinò che fossero portati via
Il corpo di Gesù e dei condannati è d’ingombro. Infastidisce il “giorno solenne”, quel sabato che stava al culmine delle celebrazioni della Pasqua. Con brutale efficienza si dà il comando di spezzare le gambe e toglierli di mezzo. Meccanicamente i soldati obbediscono. Chi dà il comando e chi ubbidisce sono ingranaggi della stessa, bestiale, macchina. Chi dà il comando si sente a posto in coscienza: ha fatto ciò che le circostanze chiedevano. Non è obbligato a vedere le conseguenze del suo gesto. Chi ubbidisce si sente altrettanto a posto: ha eseguito gli ordini. La società si sente ugualmente a posto e raccoglie il frutto amaro della violenza: non ci saranno fastidi per la festa. Qualcuno però ne subisce le conseguenze: sono gli “scarti”, tolti di mezzo nell’indifferenza generale.
Tra coloro che sono considerati “scarti” della storia si colloca anche Gesù, l’innocente. Stando tra i rifiutati, tra coloro che “disturbano la festa”, Gesù inaugura una festa nuova, dove nessuno è escluso, neppure il peccatore. Nel messaggio della Quaresima del Papa si invita a non cedere alla “cultura dello scarto”. Non per ragioni puramente sociali e umanitaristiche (che rischiano di essere spazzate via alla prima difficoltà. Ma per ripetere ciò che Gesù ha fatto. È troppo per le nostre forze? Probabilmente: ma non per la forza che viene da lui.
 
Sangue e acqua
Dal fianco di Gesù esce sangue e acqua. Colui che si credeva morto diviene fonte di vita. Colui che sembrava un condannato, un rifiuto, diventa il nuovo tempo, dal cui lato sgorga il fiume della vita. Una umanità nuova può ripartire da lui. Il primo segno è nella nuova familiarità che unisce la madre e il discepolo. Dalla croce, vissuta in prima persona da Gesù, vissuta di rimando da chi lo ha seguito passo dopo passo, fino alla fine, si costituisce una nuova comunità; la vediamo nel suo embrione, nella madre che scopre di avere un nuovo figlio, dal discepolo che accoglie con sé la madre di Gesù.