Rinfrancate i vostri cuori. Uomo vecchio crocifisso con Lui (Cf. Rm 6,6) - Domeniche - 2 aprile - Giovedì Santo 

2 aprile   versione testuale

Giovedì Santo


Ultima cena, formella bronzea, opera proveniente dalla porta della cattedrale della Santissima Assunta di Benevento, Campania. Italia, XIII secolo, Museo Diocesano, Benevento.

Il Giovedì Santo la Chiesa celebra due momenti fondamentali del mistero della salvezza: la Santa Messa del Crisma e la Santa Messa in Cena Domini. Due celebrazioni tra loro strettamente congiunte. Con la Messa nella Cena del Signore, in particolare, essa entra nel cuore dell’anno liturgico, il triduo sacro, e si immerge nella contemplazione e nella partecipazione al mistero pasquale di Cristo. «O grande e santa Pasqua espiazione di tutto il mondo! Io ti parlo come ad un essere vivente», scrive Gregorio Nazianzeno. Gli fa eco, dopo molti secoli, Benedetto XVI: «Con il dono del pane e del vino che offre nell’Ultima Cena, Gesù anticipa la sua morte e la sua risurrezione realizzando ciò che aveva detto nel discorso del Buon Pastore: “Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10,17-18). Egli quindi offre in anticipo la vita che gli sarà tolta e in questo modo trasforma la sua morte violenta in un atto libero di donazione di sé per gli altri e agli altri. La violenza subita si trasforma in un sacrificio attivo, libero e redentivo».
Il cosiddetto Maestro delle Porte del Duomo di Benevento ci ha mostrato questo mistero in alcune delle formelle che costituiscono la grande porta di bronzo, un vero e proprio capolavoro della scultura romanica dei secc. XII -XIII. La Porta, detta la Janua Maior, è un’opera rinata dopo essere stata smembrata in decine di pezzi dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. È composta da 72 pannelli delimitati da cornici in cui sono presentati gli episodi della vita di Cristo, la vera “Porta”, attraverso tutta una serie di figure, di personaggi e di animali. Nel pannello dell’Ultima Cena i discepoli sono come raccolti in semicerchio a formare una sorta di “grappolo”, una sola cosa tra di essi e con Gesù; una sola cosa tra di essi perché una sola cosa con Gesù. I discepoli sono undici perché Giuda è già uscito per consumare il suo tradimento. Gesù è seduto all’estremità sinistra della scena, mentre al centro della mensa l’artista ha posizionato il piatto con l’agnello sacrificale, chiaro rimando al banchetto pasquale giudaico e soprattutto al sacrificio cruento di Cristo sulla croce, di cui la comunione di mensa è anticipo sacramentale. Il loro essere e il loro stare insieme scaturiscono e dipendono dalla presenza di Gesù che spezza il pane per loro. Essi sono una cosa sola in forza dell’essere-con-loro, per sempre, da parte di Gesù. Il pane e il vino fanno dei discepoli “un solo corpo e un solo spirito”, perché nella comunione di mensa si compie il desiderio di Gesù e viene esaudita la sua preghiera al Padre «perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). Per la partecipazione all’unico ed eterno sacrificio di Cristo, i discepoli del Signore, nel mondo di oggi, terribilmente dilacerato da lotte e discordie, segnato da divisioni e da guerre intestine, da scontri di civiltà e perfino di religione, devono risplendere come “segno profetico di unità e di pace” (Prefazio V/d) e devono impegnarsi a rendere il loro irrinunciabile e prezioso servizio favorendo l’unità e la concordia per l’avvento ultimo del Regno di Dio.