10 maggio
VI domenica di Pasqua   versione testuale

In Lui vincitore del peccato e della morte,
l’universo risorge e si rinnova,
e l’uomo ritorna alle sorgenti della vita.
 
Prefazio pasquale IV
 
 
In questa domenica la liturgia della Parola ci invita a vivere e celebrare il mistero dell’amore di Dio per noi «Questo vi comando: amatevi gli uni glia altri» (Gv 15,17). La comunità eucaristia è chiamata a vivere e rendere visibili i segni di questo amore, primariamente attraverso una liturgia ospitale ed evangelizzante attraverso la bellezza dei suoi riti, così infatti ci ricorda l’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG 24).
Anche la comunità parrocchiale è chiamata ad essere una famiglia eucaristica, che vive e cresce grazie a piccoli ed essenziali gesti di accoglienza. Molti di questi gesti costituiscono i riti iniziali il cui scopo, appunto, è quello di ravvivare la memoria battesimale, di rinsaldare le relazioni, di predisporre all’accoglienza della Parola di Dio. Il canto di ingresso, la processione introitale, il segno della Croce, il saluto liturgico, i riti penitenziali, il canto del Gloria e la preghiera della Colletta - come esplicita il Messale Romano - hanno lo scopo di rinsaldare la comunione dei presenti e di predisporli alla celebrazione eucaristica.
In questa domenica, dunque invitiamo a prestare particolare cura ai riti di accoglienza e di ingresso: accogliere i fedeli in un luogo illuminato, pulito, bello nella sua semplicità e nobiltà, nel calore e intensità delle relazioni fraterne.
Si suggerisce inoltre, un saluto liturgico sentito e sincero, con una gioiosa partecipazione al canto, con l’intensità della preghiera che sa farsi carico delle gioie e dei dolori gli uni degli altri, con lo scambio di un segno di pace autentico, con la condivisione all’unico Pane e all’unico Calice.
Infine, si consiglia di valorizzare i riti di conclusione; essi non sono uno sbrigativo congedo, ma un autentico invito a portare a tutti la gioia del Signore risorto. Essi infatti costituiscono un vero e proprio mandato missionario. Così ribadisce anche Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis: «Dopo la benedizione, il dicono o il sacerdote congeda il popolo con le parole: Ite, missa est. In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità “missa”, significava semplicemente “dimissione”. Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione “dimissione”, in realtà, si trasforma in “missione”. Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia” (n° 51).
Non è necessario, dunque, costringere l’assemblea a trattenersi in chiesa con canti di congedo, semmai può essere sufficiente accompagnare l’invio con una gioiosa acclamazione o una lieto accompagnamento strumentale. Il rito infatti, non ama trattenere troppo a lungo, ma desidera congedare e aprire alla vita, trasformata e trasfigurata dalla luce della risurrezione.