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Il porto e la città come una casa: dalla evanescenza all'accoglienza (G. Martino)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/04


IL PORTO E LA CITTÀ COME UNA CASA:DALL’EVANESCENZA ALL’ACCOGLIENZA
di Giacomo Martino
Il mondo come una casa: un titolo perfetto per definire il mondo marittimo da sempre globalizzato e da sempre straziato nei sentimenti familiari. L’uomo di mare, straniero in ogni porto, si trova a vivere quotidianamente il disagio dell’uno fra i tanti. Se, come dovrebbe essere, ogni porto fosse davvero accogliente, focolare, anche solo per le poche ore del transito delle navi e dei marittimi, avremmo davvero realizzato la “casa lontano da casa”.E il motto della Stella Maris, espressione dell’Apostolato del Mare come centro di accoglienza e formazione oltre all’assistenza per tutta la gente di mare.Un po’ di storiaGià prima del 1900 esistevano diverse iniziative missionarie cattoliche per fornire assistenza spirituale, sociale e materiale agli equipaggi che facevano scalo nei porti di Londra, Bootle, Montreal, New York, New Orleans e Sydney. Ma fu solo agli inizi degli anni ‘20 che l’attività dell’Apostolato del Mare internazionale, così come lo conosciamo oggi, venne ufficialmente approvata.Fu nel porto di Glasgow che il Rev. P. Egger, gesuita, fondò il primo ramo dell’Apostolato del Mare, sotto l’egida della Società dell’Apostolato della Preghiera. Nel corso dei primi otto anni di attività (1899-1907), furono ammessi a far parte dell’Apostolato del Mare oltre 200.000 marittimi. In qualche anno, quello che era nato come un movimento di laici volontari molto zelanti, era diventato un’organizzazione mondiale per la pastorale e il servizio sociale. Alla fine della seconda guerra mondiale, esistevano 80 centri attivi e un Consiglio internazionale con sede a Roma.Mondo globalizzato e ingiustoNavi sicure, protezione dell’ambiente, lavoro tutelato: punti dolenti nel settore della navigazione. Raccomandazioni, trattati e codici non hanno finora impedito il ripetersi di disastri ecologici, l’affondamento di vecchie carrette del mare e lo sfruttamento dei lavoratori. Probabilmente non c’è altro settore così “globale” come quello marittimo: migliaia solcano giorno e notte gli oceani, varcano i confini nazionali e ormeggiano nei porti dei cinque continenti. Cosa trasportano? Petrolio, rinfuse secche e liquide, containers. Coppie in viaggio di nozze, ricchi pensionati e profughi in fuga. E poi ci sono i marinai. Centinaia di migliaia di marinai. Esiste un rapporto che si intitola: “Ships, slaves and competition” - Navi, schiavi e competizione. Tre parole secche, chiare, lapidarie. Tentiamo una parafrasi: i marinai che lavorano sulle navi mercantili e passeggeri sono spesso trattati come schiavi. Non si tratta di un diario di bordo di fine ottocento, bensì della denuncia formulata lo scorso marzo dall’autorevole Commissione Internazionale sulla Navigazione (Icons), presieduta da Peter Morris, Ministro dei Trasporti australiano dal 1983 al 1990. Pagine e pagine di denuncia sulla condizione di vita e di lavoro dei marinai, provenienti in prevalenza da Paesi quali le Filippine, l’Indonesia, la Cina, l’India, il Bangladesh, la Russia, l’Argentina, il Brasile, il Messico. Filippine e India forniscono rispettivamente 200 mila e 80 mila lavoratori alle Compagnie di navigazione. (Oggi sono circa 7 milioni i lavoratori filippini all’estero: 2.100 persone emigrano ogni giorno dalle Filippine, l’anno scorso sono stati 729.000 di cui 196.000 marinai).Accoglienza: una missione per rompere la diffidenzaI centri di accoglienza per i marittimi nei porti sono stati tradizionalmente chiamati “Missioni per i Marittimi” (Seamen’s Missions). Anche quando i marittimi stranieri che facevano scalo nei porti erano meno numerosi di ora, la dimensione missionaria di questo apostolato già esisteva. L’Inchiesta dell’ICMA (International Christian Maritime Association) del l987 conferma che una notevole percentuale dei marittimi che arrivano nei porti non sono cristiani, e che molti di loro sono aperti all’annuncio della Buona Novella, che sentono forse per la prima volta. e necessario quindi che quanti sono impegnati nel ministero marittimo siano coscienti della possibilità e della responsabilità di essere testimoni della Buona Novella e di evangelizzare il mondo marittimo.Una caratteristica del mondo moderno è la solitudine. Possiamo dire che essa è uno degli elementi della vita in mare. Per questo, il ministero marittimo sarà enormemente contrassegnato dalla preoccupazione dell’ospitalità e dell’accoglienza, in nome della comunità cristiana locale. Le visite a bordo sono un’espressione di questa ospitalità, che esige che si lascino le proprie abitudini per ricevere con tutta cordialità gli equipaggi che arrivano.La virtù dell’ospitalità è ingrediente essenziale della pastorale marittima poiché, malgrado la nostra pretesa apertura nella società di oggi, siamo ancora riluttanti, come individui o comunità, ad accettare lo straniero e particolarmente alcune categorie di essi. I marittimi sono sempre stati degli emarginati come gruppo professionale, qualunque sia la loro origine nazionale o culturale. Dobbiamo ancora spendere buona parte delle nostre energie per educare e condurre i fedeli delle chiese locali a riservare una più pronta accoglienza ai marittimi in visita e a considerarli individui comuni, con un lavoro di responsabilità, che li porta ad essere molto spesso separati dalla propria famiglia e comunità ecclesiale.Un esempio concreto di accoglienzaUna forma concreta di ospitalità praticata in numerosi porti è quella che viene chiamata “Progetto di accoglienza familiare”. Questo piano comporta la partecipazione di famiglie selezionate che accettano di ricevere a casa loro, di tanto in tanto, dei marittimi in scalo, offrendo loro, ad esempio, un pasto in famiglia, una visita turistica a bordo della loro macchina, un invito ad una grigliata familiare o parrocchiale, ecc...L’idea ha ovviamente dei limiti e di solito può essere posta in pratica soltanto durante i fine-settimana; ma anche in questo caso, le possibilità offerte sono immense. Non in tutti i porti ci sono centri di accoglienza. Si tratta di un apostolato basato sulla famiglia, che coinvolge persone le quali, altrimenti, non avrebbero alcuna occasione di partecipare ad una serata sociale presso un Centro, per esempio. Quest’ultimo aspetto occupava tempo addietro un vasto spazio nel programma di ospitalità del porto ma, non si sa per quale ragione, ora è sempre più in declino. Oltre ad essere espressione tangibile dell’accoglienza riservata al marittimo da parte della società locale, offriva un’occasione unica per creare contatti personali e, quindi, esercitare un’influenza cristiana.La casa davvero di tutti: dialogo ecumenico ed interreligiosoLa pastorale marittima nel mondo di oggi si effettua sempre più in un contesto ecumenico ed interecclesiale. Ciò riflette una maggiore apertura da parte delle Chiese nel mondo, frutto senza alcun dubbio del Concilio Vaticano II. Vogliamo citare qui il Documento del Concilio dal titolo “Decreto sull’Ecumenismo”, cap. II, n. 12, che non soltanto dà il via, ma incoraggia positivamente la collaborazione tra i cristiani:“Siccome in questi tempi si stabilisce su vasta scala la cooperazione nel campo sociale, tutti gli uomini sono chiamati a questa comune opera, ma a maggior ragione quelli che credono in Dio, e più ancora tutti i Cristiani, essendo essi insigniti del nome di Cristo. La cooperazione di tutti i Cristiani esprime vivamente quella unione, che già vige tra di loro. Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare, come gli uni possano meglio conoscere e maggiormente stimare gli altri, e come si appiani la via verso l’unità dei cristiani”.Possiamo senza dubbio affermare che esistono pochi, se non addirittura nessun esempio di collaborazione ecumenica, dell’ampiezza e della portata di quel che si è andato sviluppando nel corso degli ultimi anni nel ministero cristiano a favore ed in nome dei marittimi. In particolare, la stessa creazione nel 1969 dell’Associazione Internazionale Cristiana Marittima (ICMA), che riunisce in libera associazione le principali organizzazioni internazionali cristiane di assistenza, è frutto di una collaborazione pre-esistente. Il ministero interecclesiale nel mondo marittimo è divenuto la norma piuttosto che l’eccezione.Una casa sempre accogliente senza distinzioniIl Papa, nel Motu proprio “Stella Maris”, definendo il popolo del mare allarga questo concetto e comprende in esso non solo i naviganti ed i marittimi, anche pensionati, ma anche i loro familiari, gli allievi degli Istituti Nautici, coloro che lavorano nei porti e coloro che collaborano stabilmente con l’opera dell’Apostolato del Mare.Non credo che si debba forzare molto questa definizione per configurare un popolo del mare composto anche da quelle comunità la cui vita lavorativa, economica e sociale gravita attorno al mare.Le diocesi e le parrocchie “marinare” sono dunque chiamate ad un “impegno pastorale ordinario” nei confronti della gente di mare.Quest’idea, se affermata e sviluppata, se diventerà consapevolezza e cultura, nel tempo potrà essere feconda di risultati positivi nei confronti dei marittimi e rappresentare una possibile via di uscita dalla situazione di emarginazione strutturale in cui si trova relegata la vita di chi lavora a mare. Da una parte, infatti, essa dà ai lavoratori del mare delle radici forti e delle espressioni consistenti a terra, dall’altra responsabilizza queste ultime a fare da trait-d’union tra chi spende stabilmente a mare gran parte della propria vita e le comunità di terra.Questo concetto può essere trasposto anche a livello ecclesiale e pastorale ed interpella le diocesi e le parrocchie nel cui territorio incidono le realtà portuali, diocesi e parrocchie che per loro natura possiamo definire marinare. Esse devono sentirsi, secondo lo spirito di quello che dice il Papa, parte o almeno partecipi della realtà del popolo del mare ed in necessaria interazione con esso.Finora l’Apostolato del Mare è stato per lo più opera di singoli, sacerdoti o laici, che hanno dedicato se stessi, in genere con molto entusiasmo e spirito di abnegazione, a questa forma di apostolato ritenuta straordinaria, in quanto fuori dalla prassi pastorale ordinaria delle comunità cristiane. Non mi sembra, però, che il futuro della pastorale marittima possa essere prefigurato in questa direzione. Il singolo passa, la Chiesa resta!I tempi sembrano maturi perché l’opera dei precursori singoli e carismatici sfoci in una responsabilizzazione della Chiesa nei confronti della gente di mare. In questo senso fondamentale è il ruolo delle comunità marinare, diocesi e parrocchie, che hanno la vocazione ad essere comunità ponte o comunità di frontiera fra il popolo del mare ed il popolo di terra, trovandosi ad essere partecipi di entrambe le realtà. La pastorale straordinaria nei confronti della gente di mare si trasformerà così in pastorale ordinaria, uno dei settori in cui si esprime comunemente l’impegno della comunità. Tutto questo oggi non è per nulla scontato.Concretamente si tratta di legare o meglio specializzare una comunità parrocchiale a svolgere questo ministero dell’accoglienza della gente di mare in modo permanente a nome e coinvolgendo tutta la comunità diocesana. Se è vero, come dovrebbe essere vero, che la pastorale marittima rientra nella pastorale ordinaria, almeno nelle diocesi di mare, è anche vero che da oltre trent’anni nei piani pastorali diocesani non appare neppure un accenno, un ricordo, una indicazione per questa accoglienza davvero necessaria. In Italia abbiamo il transito di almeno 2 milioni di marittimi che toccano le nostre coste, quasi tutti stranieri in ogni porto per lingua, cultura e razza. Uomini e donne che chiedono di essere visitati (spesso non possono scendere dalla nave per restrizioni della sicurezza) e accolti anche solo per 5 minuti. Una enorme comunità cristiana (oltre l’80%) che chiede la consolazione di un momento di preghiera e di un pastore che raccolga la loro nostalgia della famiglia e degli amici.Sono queste comunità che devono prendersi il carico pastorale del mondo del mare nelle sue varie espressioni. A seconda della situazione locale esse debbono preparare e seguire quelli che vanno per mare per guadagnarsi la vita, sostenere ed organizzare le loro famiglie, accogliere fraternamente i marittimi di passaggio, etc...