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Immigrati e profughi..."in visione di pace" (B. Mioli)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/04


IMMIGRATI E PROFUGHI… "IN VISIONE DI PACE"
di Bruno Mioli
Non dispiacerà al S. Padre se per questo breve appunto su immigrati e profughi in Italia ci appropriamo del titolo da lui dato al Messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni 2004: “Migrazioni in visione di pace”. Ci appropriamo del contenuto del suo messaggio e in particolare del forte interrogativo: “Come il fenomeno delle migrazioni può contribuire a costruire fra gli uomini la pace?”. Un interrogativo al quale il Papa stesso offre delle risposte le quali tuttavia, data la natura universale del suo magistero, rimangono piuttosto generali e devono essere calate nel contesto concreto in cui oggi si vive. Qui possiamo fare la nostra parte anche noi, Chiesa italiana, in continuità con l’insegnamento pontificio. E le occasioni, direi le provocazioni quotidiane non ci mancano. Proviamo enunciarne qualcuna su cui riflettere con particolare impegno in prossimità della Giornata.Impegno per una pacificazione degli animiAnzitutto l’ardua opera della pacificazione degli animi. Constatiamo infatti che attorno all’immigrazione i discorsi troppo spesso si fanno appassionati, roventi e pungenti, quando soprattutto entra l’ideologia o la faziosità politica a restringere l’angolo visivo, costringendo a una visione di parte, diciamo pure partigiana, che non può essere visione di pace. Si corre il rischio di creare un fronte in opposizione al quale si crea altro fronte: due fronti, l’uno contro l’altro armati, con le armi della polemica, magari anche dell’insulto e dell’accusa. Guai se il cristiano, e tanto più l’operatore pastorale che dalla Chiesa ha ricevuto una missione di pace, si getta in questa mischia, diventando anche lui uomo di parte, non operatore di pace. Tra i due litiganti il terzo certamente non gode, intendo dire il migrante che è oggetto del contendere, coinvolto e travolto anche lui in questo turbinio, visto anche lui come portatore di problemi, causa di tensioni e disordini, guastatore della pace.E urgente creare e mantenere, in primo luogo dentro le nostre comunità cristiane, un clima diverso, di maggiore obiettività e comprensione, di maggiore equilibrio e ragionevolezza, accompagnando però le ragioni della mente con le ragioni del cuore. Non si tratta del buonismo dolciastro, che diventa miope o chiude gli occhi di fronte a certe situazioni complesse e perfino scabrose che si creano attorno al fatto migratorio; si tratta anzitutto di non esagerarle, con quel vezzo di ingigantire e di generalizzare fatti particolari, di enfatizzare con forte carica di emotività passionale, pronta a sentenziare con giudizi affrettati e sommari, a puntare il dito di condanna sugli immigrati con spregiudicata facilità, facendo di loro i capri espiatori di tante miserie che sono troppo spesso di origine nostrana.La pagliuzza e la traveAd esempio, è certamente ributtante lo squallido spettacolo delle prostitute di colore od anche di pelle bianca come quella delle ragazzine che vengono dall’Est. Vengono da sé oppure, in modo più o meno adescante o violento, vengono portate, anzi deportate dai loro Paesi? E chi sono questi schiavisti, chi sono poi i clienti che alimentano il turpe traffico di carne umana, per cui queste straniere non sono le prostitute di professione ma le prostituite dal mercato del sesso? E ancora: chi popola le nostre campagne e i cantieri edili delle nostre città di tanta manodopera a basso costo, dedita al lavoro nero, luogo privilegiato di sfruttamento che tanto disonora l’Italia di fronte agli altri Paesi oltre a recar danno alla nostra economia? Ognuno di noi conosce fin troppi datori di lavoro che hanno licenziato lo straniero perché chiedeva di essere messo in regola ed ha in tal modo vanificato la sua speranza di essere regolarizzato. Si potrebbe continuare con altri casi di questa specie di “cronaca nera”, ma basti concludere che, se nell’occhio dello straniero c’è una pagliuzza, su quello dell’italiano che giudica e condanna lo straniero sta una trave.Un discorso di semplice logica umana...Con questi ragionamenti fatti tra noi, da non portare né sul pulpito né in piazza, non intendiamo affilare le armi per chissà quale lotta in difesa dello straniero, intendiamo solo affinare i nostri sentimenti, ispirandoli alla comprensione, alla solidarietà e perfino alla simpatia nei suoi confronti; e con questi sentimenti sarà nostro impegno accostare chi, dentro e fuori la cerchia ecclesiale, pensa e sente diversamente, al fine di portare quanti più possiamo a una visione più equa e serena, a una visione di pace. Per rendere più efficace quest’opera di vasta pacificazione, cerchiamo di conoscere e far conoscere quanto riguarda la natura profonda delle migrazioni, in particolare il “pull factor”, quel fattore di attrazione che rende i migranti funzionali e preziosi per l’economia e il calo demografico dell’Italia; e il “push factor”, la spinta a uscire da una terra dove si vive in condizioni di vita disumane e insostenibili, per cui il loro emigrare, soprattutto per i profughi e richiedenti asilo, diventa una fuga per sopravvivenza. In tale contesto parlare soltanto di chiusura ermetica delle frontiere, di contrasto all’immigrazione clandestina, di respingimento dei barconi della disperazione anche con la forza e, se necessario, a cannonate, è discorso irrealistico oltre che insulto alla nostra tradizione e Costituzione, degrado di civiltà che non ci onora di fronte al mondo e spinge a reazioni anche di stampo fondamentalista....da integrare con la logica del VangeloTutto questo discorso rimane sul piano di una logica umana che per noi credenti va integrata con la logica del Vangelo, che è la logica dell’amare per primi, in spirito di fraternità solidale e di gioiosa gratuità. E questo atteggiamento non è marginale, tanto meno facoltativo; è imperativo categorico almeno per chi sente il richiamo della Parola che sentenzierà sul suo destino eterno: “Venite, benedetti dal Padre mio”.A chi ci rivolgiamoPer calare nella realtà questa visione di pace non ci si può limitare a un discorso intra-ecclesiale. Ci si rivolge a tutta la società civile, ad esempio al mondo della scuola, dello sport, della cultura, dell’informazione. Un esempio di pacifica convivenza? Entriamo in tante scuole, a partire da quelle materne, e toccheremo con mano che il pluralismo etnico introdotto dall’immigrazione non fa problema, anzi… E chi ha sollevato obiezione per le nostre squadre di calcio così variopinte? Perché allora non impegnarsi ad estendere a macchia d’olio questo processo di integrazione pacifica? Certamente il mondo politico ha da fare la sua parte. Proprio in questi mesi è forte il dibattito sulla modifica della legge Bossi-Fini; le nostre forze cristiane, singoli individui e associazioni, non possono tenersi in disparte. Ben venga anche un migliore funzionamento della pubblica amministrazione, che sta andando troppo al rallentatore e provoca dissesti, la cui responsabilità non può essere scaricata sugli immigrati. Il discorso va fatto anche agli immigrati; sarebbe fuorviante insistere sui loro diritti, lasciando in disparte i loro doveri; anzi sarebbe un insulto alla loro dignità e capacità di comportarsi da persone responsabili. Hanno bisogno però, in un primo momento, di essere aiutati e stimolati soprattutto dalla nostra testimonianza. Essi hanno un qualcosa di specifico da apportare: sia perché il pluralismo di culture non può che tradursi in arricchimento del nostro ambiente, sia perché la vicenda migratoria, con tutto il carico di incertezze e di sofferenze che comporta, mette dentro a chi l’ha sperimentata un’ansia di tranquillità e di normalità, un’attesa di essere accolti e di accogliere, che è la premessa per poter tutti “vivere in pace”, ma nel senso forte della parola come “gente di pace”. Una lezione che può varcare i confini del Paese ospitante e raggiungere quegli altri paesi dove si erigono nuovi “muri della vergogna”, materiali o simbolici che siano. Sappiamo quanti disastri abbia portato e continui a portare la politica del muro contro muro. Gesù ha abolito i muri di separazione, e noi con lui; ha lasciato solo i muri che si chiamano pareti domestiche, dentro le quali “il mondo è come una casa”.