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Messaggio del Presidente della CEMI (L.B. Belotti)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/04


MESSAGGIO DEL PRESIDENTE DELLA CEMI
di Lino Bortolo Belotti
La Chiesa italiana ogni anno nella terza domenica di novembre propone alle comunità, ai gruppi, alle istituzioni la celebrazione della Giornata Nazionale delle Migrazioni.E la più antica Giornata da celebrarsi: risale al 1914 allorquando una marea di italiani dal sud e dal nord della Penisola e delle isole lasciavano nazione, paese e famiglia per emigrare in cerca di lavoro. Forse si ripetevano da noi le scene che sappiamo ripetersi oggi nei paesi donde partono migliaia di uomini, donne, bambini pronti ad affrontare viaggi costosi e pericolosi per raggiungere il “sognato paradiso terrestre” delle terre europee.Forse si respirava anche allora dai nostri connazionali, che si stanziavano oltreoceano o nelle nazioni europee ricche di risorse e di lavoro, quel clima di sospetto e di diffidenza che sovente respirano i numerosi immigrati appena mettono piede in Italia.La Commissione Episcopale per le Migrazioni (CEMI) della Conferenza Episcopale Italiana, che ha il compito attraverso gli uffici Migrantes di organizzare la Giornata, guarda ad essa con ottimismo e la prepara con zelo, speranza e interesse per promuovere nei cittadini e nei fedeli una convinta sensibilizzazione al fenomeno migratorio che non può non aprire a problematiche molto attuali che la società civile e la Chiesa (sarebbe meglio dire “le Chiese”) sono chiamate ad affrontare con coraggio, con lungimiranza e con fede. Ricordo subito che il fenomeno migratorio non si chiama unicamente immigrati esteri in Italia e migranti italiani all’estero, ma comprende anche i settori dei fieranti e circensi, dei Rom e Sinti (zingari) e dei marittimi e aeroportuali.E tradizione che il Santo Padre ogni anno invii alle Chiese e agli uomini di buona volontà un messaggio invitandoli a celebrare la “Giornata Mondiale del Migrante”. Il tema scelto quest’anno dal Papa ha come tematica “Migrazioni in visione di pace”.La Chiesa italiana pur tenendo presente il messaggio del Santo Padre, a seconda delle urgenze e dei problemi maggiormente scottanti e attuali sul territorio italiano, segnala una diversa tematica che per il 2004 è stata formulata così: “Il mondo come una casa: dalla diffidenza alla accoglienza”.Fuggire dalla fame, dalla violenza, dalla mancanza di lavoro, dai conflitti armati in cerca di pace, di giustizia, di lavoro è dovere, è sacrosanta esigenza. Chi non lo capisce? Accogliere queste persone senza tensioni, anzi con la gioia di farle trovare in un luogo dove c’è pace e con la pace l’instaurazione di un processo dinamico e partecipativo che coinvolge ogni fascia della società, dalla famiglia alla scuola, alle varie istituzioni o organizzazioni, deve diventare l’ansia, il desiderio, il sogno dei singoli e delle organizzazioni pubbliche e private. Sappiamo che non è sempre e dovunque così.La “casa”, come la pensa e la immagina la Chiesa, non nasce perfetta, ma lo diventa con lo sforzo e la buona volontà di tutti: “Un uomo saggio cerca di costruirla sulla roccia” (cfr. Mt 7, 24).Perciò ai migranti direi ciò che Geremia diceva agli esuli: “Cercate il bene del paese in cui abitate, pregate il Signore per esso perché dal suo benessere dipende il vostro benessere” (Ger. 29, 1-14). Ai nostri cittadini ripeterei le parole del Deuteronomio: “Amate il forestiero, il migrante perché anche voi foste stranieri e migranti” (cfr. Deut 10,19).Con queste bibliche direttive si comincia a vedere l’altro con benevolenza, con simpatia, come vicino, come persona umana, quindi portatrice di valori e ricchezze, non come straniero, non come potenziale nemico come sembra guardarlo la legge o come incomodo da allontanare, ma come membro di un’unica grande famiglia i cui legami sono destinati ad essere sempre più stretti e costruttivi.Dal vedere all’accogliere il passo non è lungo anche se non sempre facile a farsi. Certo il mio ragionamento ad alcuni può sembrare astratto, teorico, ma non lo è. Dipende dai gesti che ognuno di noi pone: incontrandosi, aiutandosi, pregando assieme, attuando attenzione reciproca, rispetto, capacità di leggere con realismo e slancio il contesto.Mi viene in mente a questo punto la frase di Luca che conclude il racconto dell’incontro di Gesù con Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc 19, 9). Conosciamo bene il significato pregnante della parola “salvezza”, come sappiamo che la salvezza è esclusivo dono di Dio. A noi però spetta preparare gli uomini ad accoglierla e assieme fare passi che aiutino a raggiungerla.E proprio impossibile essere “segno” di una “casa” dove si vive la carità, dove si attua l’accoglienza, dove si pratica il rispetto alla persona e al suo credo, dove nel contempo si dà testimonianza della propria fede, dove ci si rapporta con l’altro senza arroganza, senza paura, senza sospetto?Quella “casa” è destinata ad aprire brecce che diventano promesse per un futuro migliore, ad aprire nuove vie di convivenza umana ed essere luogo di annuncio, di un messaggio al quale Dio “darà incremento”.Questi concetti mi permettono anche di leggere il tema di quest’anno in riferimento al Santuario di Loreto dove si concluderà, con la celebrazione eucaristica, la Giornata Nazionale delle Migrazioni.Nel Santuario c’è la Santa Casa sul frontespizio della quale è scritto “Hic Verbum caro factum est” - “qui il Verbo si è fatto uomo”. Noi siamo chiamati a rendere questo nostro mondo una “casa” dove il nostro modo di vivere, di trattare, di accogliere, di amare ogni uomo, ogni migrante dimostra che in quelle persone accogliamo, amiamo e vediamo Gesù.Le nostre Chiese diocesane presentano molteplici luoghi, ambiti che noi possiamo cambiare in casa ospitale, in rapporto familiare:- sia quando vediamo gruppi di immigrati di ogni colore frequentare i nostri stessi pubblici ambienti;- sia quando sentiamo parlare di italiani - ancora tanti - che vivono il problema migratorio all’estero, spesso dimenticati e abbandonati;- sia incontrando sulle nostre piazze fieranti e circensi e facendo festa con loro;- sia rispettando anche la cultura e il modo di rapportarsi dei Rom e dei Sinti sovente oggetto di scherno;- sia pensando al duro lavoro cui sono sottoposti gli addetti alle navi di trasporto merci o di navi crociere.E così che il mondo diventa una casa ospitale, serena dove ci si accoglie, ci si rispetta e ci si ama.Riusciremo a frenare la ferocia della nostra società che non risparmia nessuno, nemmeno l’infanzia? E se questa ferocia e crudeltà che non spunta dal nulla fosse un po’ la colpa di tanti che cominciano col non rispettare più il vicino, il povero, il migrante?Le condizioni dell’umanità sulla terra sono così precarie, così grandi le disparità economiche, così facili i gesti politici in cui i diritti umani sono violati, che i flussi migratori sono più facilmente motivo di tensione e diffidenza che di solidarietà e di riconoscenza. Riusciremo a “mantenere la consapevolezza che stiamo ricevendo doni nel momento in cui offriamo accoglienza”?“Auspico di cuore - dice il Papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante 2004 - che ogni comunità ecclesiale, formata da migranti e da rifugiati e da coloro che li accolgono, attingendo stimoli alle sorgenti della grazia, si impegni a costruire la pace. Nessuno si rassegni all’ingiustizia, né si lasci abbattere dalle difficoltà e dai disagi”.