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Immigrati dall'Est europeo: cresce la presenza cristiana


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/04


IMMIGRATI DALL’EST EUROPEO: CRESCE LA PRESENZA CRISTIANA
di Bruno Mioli
L’articolo riprende quasi integralmente “La presenza cristiana fra gli immigrati dall’Est europeo” apparso nella recente pubblicazione della Caritas Italiana “Europa - Allargamento a Est e immigrazione”, a cura di O. Forti, F. Pittau e A. Ricci (Ed. Idos, giugno 2004).
Le ultime edizioni del “Dossier statistico immigrazione” e soprattutto il loro confronto con le prime edizioni dell’inizio degli anni ‘90 parlano con l’evidenza dei fatti del progressivo affermarsi in Italia degli immigrati provenienti dall’Est europeo. Ad esempio nell’edizione 2000 del Dossier si diceva, quasi di sfuggita e in forma tutt’altro che categorica: “Sui flussi migratori che caratterizzeranno il futuro dell’Europa eserciterà un notevoli influsso l’ipotesi di allargamento dell’Unione, che coinvolgerà vari Paesi dell’Est” (p. 48), mentre in tutte tre le edizioni seguenti si dedica ai flussi migratori da quest’area dell’Europa un ampio capitolo nel quale, oltre ad analizzare i dati dell’anno corrente, ci si proietta in avanti nella prospettiva dell’ormai imminente allargamento ed espressamente ci si pone il conseguente problema sulla “libera circolazione dei lavoratori”.E un evento di straordinaria importanza del quale si potrebbe fare dettagliata analisi sotto i vari aspetti, dall’aspetto sociale a quello economico e politico. Però non di secondaria importanza sono anche le conseguenze sulla diversa distribuzione, in numero assoluto e in percentuale, dell’appartenenza religiosa della popolazione immigrata. Infatti si dà per scontato che dall’Est europeo (prescindendo dai Balcani) la grande maggioranza degli immigrati sono di matrice cristiana, sia ortodossa che cattolica. Ma prima di proseguire questo discorso diamo un rapido sguardo ad alcuni numeri. Il quadro generale fino al 2003Nel 2001 gli ingressi dall’Europa Centro-Orientale (compresi i Balcani) sono il 43,4% del totale, mentre i permessi di soggiorno sul numero globale delle presenze straniere è del 29,9%, pari a quasi 400.000 unità, mentre dieci anni prima, nel 1991, era soltanto del 13,3%. Se si tiene presente che solo a un anno di distanza, ossia agli inizi del 2003, si sale al 30,75% e a 464.000 unità (anzi a oltre mezzo milione se si calcola, per i noti motivi, la maggiorazione di circa il 20% sui dati ufficiali), ci si trova di fronte a un rapido e consistente aumento della popolazione immigrata dall’Est europeo. E legittimo pertanto attenderci che, anche a prescindere dall’allargamento dell’Unione Europea, da quest’area del continente europeo persista il flusso regolare o irregolare verso l’ovest; con la nascita della nuova Unione Europea dei 25 Paesi è naturale che questo flusso si faccia più consistente, tanto più che si tratterà di un flusso di cittadini europei e non di “extracomunitari”. Si sa bene che quasi tutti gli attuali Stati Membri dell’Unione hanno messo le mani avanti, per dare l’altolà alla libera circolazione per un periodo di tempo che va dai due ai sette anni; ma ciononostante un aumento, per varie ragioni, ci sarà, benché secondo le previsioni degli esperti non ci sia motivo di paventare una vera e propria “invasione”. Quale allora il contingente cristiano in quest’onda montante degli ingressi dall’Est europeo? Pur essendo consistente la presenza musulmana fra gli immigrati dai Paesi dei Balcani, si può tranquillamente calcolare che dall’insieme dell’Est europeo gli immigrati cristiani siano la maggioranza. Non ci sono però elementi certi per fare un’ipotesi su come questa massa di cristiani vada distribuita fra cattolici, ortodossi ed altre confessioni della medesima fede cristiana. Qualcosa di più si potrà dire dopo aver dato uno sguardo sulla sorprendente novità del 2003 a seguito delle regolarizzazioni.Regolarizzazioni: più che raddoppiata la presenza regolare dell’Est europeoA una sorpresa se n’è aggiunta un’altra: la prima riguarda l’imponente numero di chi ha approfittato di inoltrare domanda di regolarizzazione e l’ha effettivamente ottenuta; oltre settecentomila i primi, oltre 650.000 i secondi. L’altra sorpresa è l’alta percentuale di regolarizzati dell’Europa dell’Est. A guidare la graduatoria sono Romania, Ucraina e Albania che da sole sommano 305.000 domande di regolarizzazione; aggiungendo altri dieci Paesi dell’Est che in graduatoria entrano fra i primi quaranta, si giunge a qualcosa di più di 400.000, cioè a circa il 60% del totale. Quanto all’appartenenza religiosa di questo nuovo contingente ora regolare, non sfugge che gli immigrati provenienti dalla Romania e dall’Ucraina, Paesi eminentemente cristiani, raggiungono insieme quota 250.000 e rasentano i 300.000 se vi si aggiunge la Polonia; invece il numero dei regolarizzati originari da Paesi a prevalenza musulmana, l’Albania, è piuttosto ridotto. Ne consegue che la presenza di immigrati con permesso di soggiorno dall’Est europeo, grazie alla regolarizzazione, quasi si raddoppia, e fra di essi altrettanto, anzi molto di più, per i cristiani.Si aggiunga che la regolarizzazione non ha per nulla prosciugato la sacca di irregolarità, perché molti, si parla in particolare degli autonomi, ne sono stati esclusi; inoltre è sotto gli occhi di tutti che l’infiltrazione in Italia di immigrazione irregolare è anche oggi all’ordine del giorno, in particolare dall’Est europeo e categoria emergente sotto questo profilo è quella della collaborazione familiare (colf e badanti). In un convegno del marzo scorso nel Friuli sul problema delle badanti personalità autorevoli della Regione hanno affermato che in questa categoria le lavoratrici irregolari sono tre volte tanto quelle regolari. Non si entra nel merito di questo fenomeno dell’irregolarità, si constata però che anche da questa fonte si accresce il numero dei cristiani e che gli irregolari o clandestini sul piano religioso non vanno discriminati, mostrando le stesse esigenze religiose ed essendo titolari, in questo campo, dei medesimi diritti degli altri. Per fare computi più precisi mancano almeno per ora gli elementi, molteplici infatti sono le variabili delle quali bisognerebbe tenere conto. Una di queste è l’area o regione di provenienza degli immigrati dello stesso Paese. L’esempio tipico viene offerto dall’Ucraina, dalla quale i flussi migratori partono soprattutto dalle regioni occidentali, quelle confinanti con la Polonia; a giudizio di alcuni vescovi dei luoghi di partenza e dei cappellani etnici che operano tra gli ucraini, la netta maggioranza dei loro connazionali in Italia, anche dei 105.000 ultimamente regolarizzati, sono cattolici di rito greco-orientale. Discorso abbastanza simile può essere fatto per la Romania. Perciò, anche se non si è in grado di quantificare il numero dei cattolici e fare un confronto col numero degli ortodossi, si può concludere che si è di fronte a una presenza molto consistente e in continuo aumento. Orientativamente è legittimo concludere che nel 2004 su un totale di stranieri che supera i due milioni e mezzo, quelli dell’Est europeo rasentano ormai la metà, in grande maggioranza cristiani, con una certa prevalenza ma non eccessiva degli ortodossi sui cattolici.Che cosa comporta questa realtà decisamente nuova, oggi e in prospettiva? Comporta, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, un triplice problema: quello della cura pastorale o, con parola un po’ riduttiva, dell’assistenza religiosa dei cattolici dell’Europa Orientale, quello dei nuovi risvolti che viene a prendere il dialogo ecumenico e, non ultimo, quello del contributo al processo di integrazione e alla pacifica convivenza che può derivare dall’attenzione all’appartenenza religiosa di questi immigrati, che da secoli hanno un particolare rapporto di vicinanza non solo geografica col nostro mondo occidente.La cura pastorale dei cattoliciE prassi consolidata nella Chiesa cattolica venire incontro alle legittime esigenze dei cattolici “stranieri”, offrendo loro la possibilità di vivere personalmente e comunitariamente la loro fede costituendosi in comunità di fede e di culto, con proprie strutture e propri operatori pastorali, fatte su misura della loro cultura, lingua e tradizione. Così si è fatto per oltre cent’anni e si continua a fare con i cattolici italiani sparsi per il mondo e così, per coerenza, la Chiesa italiana cerca ora di fare con questi “fratelli nella fede”; che “nella Chiesa nessuno è straniero” deve risultare non semplice affermazione dottrinale, ma esperienza vissuta nel quotidiano. è di estremo interesse fare attenzione su alcuni dati, solo esemplificativi: alla fine del 2000 la Fondazione Migrantes ha edito la pubblicazione “Centri pastorali per i cattolici stranieri in Italia”. Di 315 centri 4 erano per gli ucraini, 5 per romeni, 12 per i polacchi e altrettanti per gli albanesi. Nella nuova edizione (consultabile in rete: www.migrantes.it) i centri per i polacchi passano a una quindicina, per i romeni a una ventina, a 55 per gli albanesi e addirittura a 86 per gli ucraini. La presenza in Italia, per i più svariati motivi, di molto clero anche di quei Paesi e la relativa abbondanza di luoghi di culto facilita questa espansione che in taluni casi sembra esplosiva ed è tuttora in fase di crescita. Naturalmente non ci si limita a soddisfare le esigenze di culto ma si cerca il più possibile, anche con l’aiuto di operatori pastorali italiani, religiosi e laici, di svolgere un’attività pastorale completa. Si hanno ben presenti possibili inconvenienti e si cerca di ovviarli, in particolare quello di dare a queste comunità etniche una forma di autosufficienza che le potrebbe isolare dalla Chiesa locale e costituirle in una specie di ghetto. Sorge ugualmente tutta una serie di problemi, come quello della dipendenza gerarchica, della varietà delle liturgie, dei Codici canonici di Chiesa Orientale e Occidentale. Su tutto questo ci si confronta, in dialogo tra Chiesa italiana e Chiese dei Paesi di emigrazione, aiutati ora anche dalla nuova Istruzione pontificia “La Carità di Cristo verso i migranti” e da ottime pubblicazioni di esperti, come “Chierici e ministero sacro nel Codice latino e orientale” (Luigi Sabbarese-Dimitrios Salachas, ediz. Urbaniana). Tutto sommato si è convinti che anche per questa ondata migratoria in continua crescita si sta impostando un buon lavoro pastorale e si è fiduciosi che questo potrà avere un ulteriore positivo sviluppo.Dialogo ecumenicoNegli anni scorsi il discorso più comune in Italia era sul dialogo interreligioso, appunto perché la crescente presenza di immigrati di altre religioni non cristiane, in particolare di musulmani, rendevano attuale urgente questo confronto. Oggi non è diminuita l’attualità di questo dialogo, ma sta crescendo anche quello ecumenico, appunto perché crescono gli interlocutori, i cristiani di altre confessioni, in particolare gli ortodossi.La Chiesa italiana da diversi decenni è attenta a questo irrinunciabile settore della sua missione, ma finora i cosiddetti “fratelli separati” erano separati anche geograficamente, si pensava a loro, si discuteva su di loro, si pregava per loro; ora invece in ogni angolo d’Italia sono presenti, anzi - dal momento che tanta parte di questa emigrazione dall’Est europeo è femminile e addetta alla collaborazione familiare - questi “separati” è gente di casa nostra, con la quale si condivide addirittura lo stesso tetto. L’esigenza del dialogo si fa dunque più stringente e lo si avverte di giorno in giorno sempre di più. è da riconoscere che questi immigrati provengono da Chiese oppresse per vari decenni dal comunismo e tagliate fuori da quel fermento di idee e di iniziative ecumeniche che ha caratterizzato le Chiese occidentali sia protestanti che cattoliche. Per i cattolici poi c’è stata la primavera del periodo conciliare e post-conciliare, contraddistinto soprattutto da questa ricerca appassionata di unità tra le Chiese. Quindi non fa meraviglia se sono proprio i cattolici italiani che devono fare “gli onori di casa”, con tanta discrezione e con tanto rispetto, per non dare l’impressione di entrare nella logica del proselitismo e della pro-paganda. Anche questo pericolo sembra sia tenuto sufficientemente sotto controllo e ci sono segni chiari di una crescente fiducia, unita ad apprezzamento da parte di molti ortodossi nei confronti dei cattolici, grazie particolarmente a gesti eloquenti che sono fuori di ogni equivoco. Tutti infatti possono testimoniare che gli interventi assistenziali e promozionali dei tanti centri di ascolto e di accoglienza non badano affatto all’appartenenza religiosa e non sono assolutamente funzionali a un troppo zelante adescamento. Altrettanto si dica delle chiese, talora splendide chiese, e sono decine, offerte dalle diocesi italiane ai cristiani ortodossi, in particolare della Romania. Le gerarchie romene ortodosse non hanno mancato in più occasioni di mostrare la loro gratitudine. Ciò che è più incoraggiante e significativo è che fra cattolici e ortodossi si sta in varie parti instaurando un rapporto cordiale, un’autentica amicizia, anche fra l’uno e l’altro clero. Tra l’altro è da rilevare anche il fatto che studenti teologi ortodossi sono ospiti di seminari delle diocesi italiane e frequentano senza difficoltà le facoltà teologiche anche pontificie. Si aggiunga l’opera di alcune prestigiose istituzioni, particolarmente preparate per questo dialogo, quale il Movimento dei Focolarini e la Comunità di S. Egidio; non sarà facile dimenticare l’intensa partecipazione ed emozione che ha suscitato il Lunedì dell’Angelo, 12 aprile 2004, la celebrazione della Pasqua comune fra protestanti, ortodossi e cattolici nella Basilica di S. Maria Maggiore. Chi è coinvolto in questo rapporto personale, amichevole, a tu per tu con i non cattolici percepisce che il “discorso ecumenico” è qualcosa di più, grazie alla presenza immigrata, di un semplice discorso dottrinale; sta diventando sempre più mentalità e sensibilità e prelude a tempi nuovi.E un problema puramente religioso?Si è convinti che il valorizzare questa dimensione religiosa delle migrazioni sia una strada maestra che porta anche ad altri traguardi, di alto valore civile e culturale. L’Europa allargata ha bisogno di nuovi ordinamenti giuridici e di nuovi strumenti economici: ha bisogno ancora di più di una nuova mentalità e di un calore umano che avvicini i popoli nonostante le loro accresciute differenze. Il ravvicinamento reciproco attorno ai valori religiosi che, dopo tutto, fanno risalire Oriente e Occidente alla medesima origine e tradizione cristiana, può dare un forte contributo per una pacifica intesa e uno scambio arricchente fra le due sponde dell’Europa per tanto tempo forzatamente lontane per ragioni politiche o piuttosto per forzature politiche, estranee all’anima profonda del popolo orientale. Tutto l’impegno ecumenico è orientato all’obiettivo ideale ma non utopico di una Europa, come dice Giovanni Paolo II, destinata a “respirare a due polmoni”.