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Testimonianze da alcune comunità parrocchiali: Conegliano, Macerata, Palermo


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/04


TESTIMONIANZE DA ALCUNE COMUNITÀ PARROCCHIALI:CONEGLIANO, MACERATA, PALERMO
Pare un po’ strano che in alcune recenti pubblicazioni di ben noti pastoralisti sul rinnovamento della parrocchia, apparse in questo biennio 2003-2004 in cui due Assemblee generali della CEI hanno concentrato i lavori su questo argomento, non si riesca a trovare una riga sul rapporto tra parrocchia e migrazioni, quasi che queste non abbiano alcuna incidenza sul “Volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia”. Non è difficile rendersi conto che queste ultime parole richiamano il titolo della Nota pastorale approvata quasi all’unanimità dai Vescovi italiani nell’ultima loro Assemblea. In questo documento, che dovrà fare da guida all’aggiornamento e al rilancio della vita parrocchiale nei prossimi anni in Italia, per cinque volte torna il discorso sul fenomeno migratorio, come per cinque volte ritornava nel precedente Documento CEI “Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000”; talora si tratta di rapidi accenni che però prendono una forte rilevanza dal contesto in cui sono collocati. è interessante inoltre registrare che nei mesi scorsi Famiglia Cristiana, in sintonia con questo dibattito ecclesiale, ha presentato una serie di servizi su “Parrocchie d’Italia” e già dalle prime puntate viene bene evidenziato, con fatti concreti, che le migrazioni non sono per queste comunità parrocchiali un fatto marginale e tanto meno ingombrante Anche la Migrantes è a conoscenza di un ampio campionario di parrocchie nelle quali l’attenzione e il servizio ai migranti si manifestano su vasta scala, prendendo anche forme originali e stimolanti. Ecco tre testimonianze, scelte quasi a caso non in grandi metropoli, dove questo forte impegno potrebbe essere favorito dalla massiccia presenza e dalla grande varietà di provenienza dei migranti. Abbiamo scelto tre parrocchie di ordinaria amministrazione, una al nord, una al centro, l’altra al sud.Conegliano VenetoSANTUARIO SANTA MARIA DELLE GRAZIEDiocesi di Vittorio Veneto, sul territorio sono molto attive diverse parrocchie anche in servizi socio-assistenziali, centri di ascolto, iniziative di carattere interculturale volte a favorire il processo di integrazione. La parrocchia-santuario delle Grazie si distingue anche per il servizio strettamente pastorale che tiene conto delle particolari esigenze di questi fedeli di altre lingue ed etnie. Ne facciamo parola col parroco, col direttore diocesano Migrantes e collaboratori.La parrocchia ospita la piccola comunità cattolica di nigeriani, animata dal loro connazionale don George Onya, che risiede a Treviso e con le sue missioni volanti nei dintorni raggiunge alcune volte al mese anche i nigeriani di Conegliano per la catechesi e l’eucaristia. Fa capo alla medesima chiesa anche un altro gruppo africano, in prevalenza del Ghana e del Camerun, per il quale padre Joseph Gitonga celebra una volta al mese nel primo pomeriggio. Il Veneto, ma non solo questa regione, ha un’esperienza molto scottante: tanti di questi fedeli, che in terra di missione sono costati ai nostri missionari sudore e sangue, giunti qui in Italia vengono raggirati da testimoni di Geova e da movimenti vari di pentecostali, cominciano a frequentare le loro celebrazioni, a ritmo di danza e a suon di musica, molto vivaci e partecipate, si trovano a loro agio ma con grave rischio per la fede. Per scongiurare questo pericolo e rispondere alle profonde esigenze di questi gruppi è provvidenziale questa opportunità che un loro prete celebri, almeno qualche volta, nel loro stile, secondo il loro gusto, in continuità con la loro tradizione africana: lì infatti la loro vita cristiana è sbocciata e si è sviluppata ed è doveroso fare ogni sforzo perché l’emigrazione non comporti un brusco sradicamento da questo contesto culturale e religioso. Se si sentono gratificati in questa legittima attesa, essi si mostrano più disponibili a partecipare nelle altre domeniche anche alla messa parrocchiale assieme ai fedeli italiani. Anzi, dice il parroco, quando in particolari solennità sono presenti alla celebrazione assieme agli italiani con quella loro tipica partecipazione attiva che è fatta di danze, di canti, di abbigliamento molto colorito, destano consensi e simpatia in tutta l’assemblea. Anche questa è una via efficace di integrazione, non quella a senso unico, ma quella autentica che è scambio e arricchimento reciproco.Il terzo sabato è il turno degli ucraini col loro rito greco cattolico, con la presenza del cappellano ucraino del patriarcato di Venezia, P. Oleksiy Saranchuk; in buona parte sono “uniati”, provenienti dalla regione di Leopoli ad alta percentuale di cattolici, ma vi si aggregano anche romeni e moldavi, pure essi di rito orientale; e fra costoro non manca una certa rappresentanza di ortodossi, che condividono con i cattolici lo stesso rito. Un particolare interessante: diversi di questi orientali con discreta padronanza della nostra lingua preferiscono la messa parrocchiale in italiano; a loro sembra semplice, dignitosa, subito comprensibile e, forse, anche più breve.Al Santuario delle grazie fanno capo anche gli albanesi, comunità nascente, fatta in buona parte di neofiti, per i quali la via dell’emigrazione è diventata via della scoperta o riscoperta dell’antica fede cristiana del Paese di origine. L’incontro per loro è una volta al mese, talvolta con la presenza del Coordinatore nazionale della pastorale per gli albanesi, proveniente da Roma, don Pasquale Ferraro, che completa la catechesi e formazione cristiana che già viene offerta in loco da don Ferruccio Sant, direttore diocesano Migrantes e da una suora albanese che volentieri mette a disposizione il suo tempo libero soprattutto per preparare i catecumeni suoi connazionali, anche delle parrocchie vicine, a diventare cristiani. Quest’anno in cattedrale durante la veglia pasquale, su 17 catecumeni, tutti stranieri, che hanno ricevuto il battesimo, 11 erano albanesi; altri due si sono aggiunti in maggio, ma erano bambini delle elementari, battezzati al Santuario delle Grazie da don Pasquale. è lui che ora sta preparando quattro coppie albanesi che si sposeranno in ottobre. è il vescovo poi che suggerisce che, prestandosi l’occasione, assieme ai sacramenti dell’iniziazione cristiana si celebri anche il matrimonio. Tanto lavoro lo si può fare grazie anche alle animatrici catechiste della parrocchia, per il cui zelo non ci sono barriere linguistiche o etniche.MacerataPARROCCHIA S. CROCEIl Parroco, don Alberto Forconi, direttore diocesano della Migrantes e regionale per le missioni, non si fa pregare due volte. Su richiesta della Migrantes manda un breve rapporto scritto di cui trascriviamo la parte centrale.Mi trovo come parroco nella parrocchia Santa Croce (7.000 fedeli) da quasi quindici anni, nella città di Macerata (45.000 abitanti) e nella omonima diocesi che conta circa 130.000 fedeli. L’ambiente è fra i più tradizionali del centro Italia. Nota caratteristica: la frequenza domenicale a messa si aggira fra il 30 e il 40%. Fra gli immigrati un buon numero di albanesi, rumeni, macedoni, senegalesi, peruviani, indiani… La loro occupazione è molto varia: dalla fabbrica e dai cantieri edili per gli uomini all’assistenza degli anziani e pulizie per le donne. L’integrazione è molto fragile e relativa: il colore della pelle e la cultura tanto diversi rendono problematica una seria integrazione per il domani più che per l’oggi.In parrocchia abbiamo sempre cercato le occasioni per l’incontro e il dialogo con tutti gli immigrati. E dal ‘93 che organizziamo la festa dell’emigrante con una celebrazione solenne in Chiesa per i cattolici ed un pranzo offerto dalla parrocchia a più di 250 persone insieme al contributo di piatti tipici portati dai partecipanti, naturalmente non tutti cattolici, provenienti da più di venti nazioni; è una delle iniziative che ha fatto della nostra parrocchia un punto di riferimento per gli stranieri, insieme al fatto che ci prestiamo, nei limiti consentiti dalla legge, per la ricerca e l’offerta di lavoro, nonché per la fornitura di mobili e attrezzature varie di seconda mano.Nell’ambito strettamente pastorale cerchiamo di proporre quanto ci sembra possibile: la Messa mensile per i polacchi; qualche celebrazione all’anno per gli albanesi (festa nazionale della Liberazione e della Madonna del Buon Consiglio); altre celebrazioni e la processione del “Senor de los Milagros” per i peruviani cui si aggiungono altri latino-americani, il tutto inserito nella festa della nostra parrocchia. è in programma anche una celebrazione annuale per gli indiani. Inoltre la sala parrocchiale è disponibile per le celebrazioni degli anglicani (quasi tutti della Nigeria) e per gli incontri dei musulmani del Senegal.In queste iniziative cerchiamo di coinvolgere gli immigrati stessi, anche se la cosa è estremamente difficile per la lingua, gli orari, la cultura. Va poi segnalato che la studentessa albanese Jozjana insegna catechismo e fa da segretaria parrocchiale due giorni alla settimana, mentre Linda trova modo di combinare il suo impegno di moglie e di mamma col servizio alla Caritas parrocchiale; invece Jovalin, studente albanese, gestisce la parte musicale nelle celebrazioni e Josè, un papà peruviano, organizza le processioni ed altre celebrazioni dei peruviani. è un campo di continue novità, dove ferve la fantasia popolare ed è proprio vero che “da cosa nasce cosa”.Collaboriamo poi col sacerdote di qualificata competenza ed esperienza incaricato dal Vescovo per il cammino catecumenale degli adulti in diocesi. La felice iniziativa ha coinvolto gruppi numerosi e il fonte battesimale ha già generato una nuova generazione di cristiani, fra i quali gli stranieri sono bene rappresentati.Come riferito su “Migranti-press” di inizio giugno, anche quest’anno si è organizzato, come si fa da una ventina d’anni, il grande pellegrinaggio a piedi da Macerata a Loreto, che ha coinvolto 40.000 fedeli, fra i quali molti stranieri. Otto ore di marcia, che non ha lasciati indifferenti nel cuore della notte i paesi che si attraversavano: condivisione di preghiere e acclamazioni, campane a festa, fuochi d’artificio per dare il benvenuto. Durante il cammino si sono alternate testimonianze di romeni, ucraini, polacchi, mentre indiani, africani e altri gruppi etnici tenevano alti i loro cartelli per far capire che c’erano anche loro. Anch’io ho fatto sentire la mia voce, rivolgendomi in particolare agli emigrati argentini e di lingua spagnola, mescolandomi a loro nella recita delle tante Ave Maria nella loro lingua.Tutte queste cose messe insieme e valorizzate lungo il corso dell’anno hanno portato nella comunità parrocchiale prima una curiosità, poi una certa sensibilità e finalmente il coinvolgimento di tanti fedeli che accompagnano e aiutano in mille maniere. C’è sempre qualcuno insofferente ma non c’è mai da meravigliarsi, ci attendiamo che col tempo, la pazienza e la bella testimonianza anche la nota stonata rientrerà bene accordata nel coro.Ho avuto la fortuna di passare vari anni come sacerdote “Fidei Donum” in Argentina dove ho incontrato tanti emigranti italiani, spagnoli e di infinite altre nazioni; ho incontrato perfino i miei parenti emigrati. In qualche maniera mi sentivo anch’io emigrante e tutto questo ha creato in me una forte sensibilità e solidarietà con ogni straniero che si presenta alla porta. Molto del mio lavoro lo devo allo stimolo ricevuto da tutti gli emigranti incontrati nel cammino del mio sacerdozio; essi mi hanno insegnato e continuano ad insegnarmi tante cose. PalermoCHIESA DI SANTA NINFAPadre Victor Jayasingham degli Oblati di Maria Immacolata viene personalmente alla Migrantes a raccontare quanto finora ha fatto e quanto c’è in progetto di fare a Palermo per i suoi Sri-lankesi, di etnia Tamil. Approfitto per fargli una breve intervista.
Padre Victor, da quanto tempo ti prendi cura della comunità Tamil di Palermo?Dal 1996, ma i miei confratelli fanno questo servizio già dal 1987, da quando cioè si è costituito a Palermo un piccolo gruppo di sei giovani Tamil, i quali hanno deciso di farsi carico dei loro connazionali già presenti in città in alcune migliaia.Come mai questa concentrazione di Tamil a Palermo?è cominciata con i primi esodi a causa dei ben noti conflitti che stavano insanguinando la nostra isola: dunque immigrati, ma in condizione di profughi. E noi, Missionari Oblati, che tanto stiamo facendo da generazioni per l’evangelizzazione di quel popolo, non possiamo voltargli le spalle quando fugge dalla Patria ed ha ancora più bisogno di assistenza anche religiosa.Come vi sentite accolti in quella città?Bene dagli italiani e a braccia aperte dalla Chiesa Palermitana. Ora i Tamil sono circa 5.000, in alta percentuale cattolici; nelle grandi feste ci ritroviamo fino a 1.800-2.000, ma ogni domenica alla Messa principale delle 9.00 siamo almeno 500; un po’ meno alla Messa delle 18.00 e nelle altre due località che, almeno per ora, prestano servizio liturgico per la nostra gente.Esattamente qual’è la chiesa dove vi incontrate?Siamo fraternamente ospitati da oltre dieci anni nella Chiesa di S. Ninfa ai Crociferi tenuta dai Padri Camilliani, una succursale della Chiesa Cattedrale. Siamo grati al parroco della cattedrale che ci ha sempre sostenuto e considera come un’attività della sua parrocchia quanto noi facciamo per il nostro popolo. Speriamo poi di dare fin dai prossimi mesi maggiore consistenza alla nostra attività pastorale. Da quando nel 1996 sono subentrato in questo servizio al mio confratello, padre J. Corss ritornato in patria, ogni settimana faccio la spola fra la Casa Generalizia degli Oblati a Roma in via Aurelia, dove ho il mio lavoro principale, a Palermo, dove spendo gli ultimi tre giorni della settimana; ma, ringraziando Dio, fra poco i miei superiori mi lasceranno tutto a disposizione dei nostri immigrati di Palermo, perciò mi fisserò laggiù; anzi, è previsto il mio passaggio alla Provincia Italiana dei Missionari Oblati, che hanno una sede anche a Palermo. Là perciò andrò ad abitare con sconfinata riconoscenza per i Padre Camilliani che finora mi hanno dato ogni settimana ospitalità fraterna.Ha qualche riconoscimento ufficiale in diocesi la vostra comunità?Il Cardinale attuale e già prima il Cardinale Pappalardo hanno avuto ogni attenzione, sono venuti a visitarci, hanno celebrato per i nostri ragazzi le cresime, hanno ascoltato con grande attenzione le nostre esigenze e sta maturando qualcosa di importante, ossia la mia nomina ufficiale a cappellano, una volta che mi stabilirò in diocesi. Però continuerò a tenere lo sguardo anche altrove.E cioè?Catania, Roma, Napoli, Lecce, Reggio Emilia, Milano, Genova sono tutte città dove è folta la presenza di Tamil cattolici. Da anni sto facendo la spola da una città ad un’altra personalmente o invio qualcuno dei miei confratelli o qualche giovane studente. Stiamo costituendo una rete molto promettente. Grazie a Dio, si può contare almeno su una decina di sacerdoti che sono pronti a collaborare, anzi che sono già in campo. Tra l’altro, è anche una spesa, ma chi riceve il servizio lo sa bene e provvede a sufficienza a coprire la spesa, anzi con una certa generosità. Ma Palermo, più che Roma, consideriamo la “casa madre” di questa attività pastorale già così estesa e che promette ulteriori sviluppi.