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Incontro biennale Commissione Episcopale mista Europa-Maghreb (Bruno Mioli)

Fondazione Migrantes

INCONTRO BIENNALE COMMISSIONE EPISCOPALE MISTA EUROPA-MAGHREB
Parigi, 26-27 aprile 2004


di Bruno Mioli


Vescovi di Algeria, Marocco, Tunisia e Vescovi di Francia, Spagna, Portogallo, Italia, accompagnati da direttori dei servizi nazionali per la pastorale migratoria e da alcuni esperti, si sono incontrati anche quest’anno a Parigi, tenendo fede a questo appuntamento che dal 1989 al 1995 era annuale, da quell’anno in poi è diventato biennale. Viene sempre posto all’ordine del giorno un tema particolare di comune interesse. In quest’ultimo incontro il tema era così formulato: “Che cosa spinge i giovani del Maghreb a partire, che cosa li attira verso l’occidente? Come ridare fiducia a un popolo? Che fare perché l’Occidente prenda coscienza dei drammi che tormentano l’Africa”.
Da questo vasto orizzonte si è espressamente escluso il problema degli studenti, una categoria che merita una considerazione a parte, mentre si è tenuto un occhio di attenzione sui tanti giovani subsahariani che, attraverso avventurosi tragitti disseminati di trappole anche mortali, fanno tappa nel Maghreb spesso col progetto di proseguire per l’Europa. Un flusso in parte regolare, molto spesso irregolare, di cui anche le nostre Chiese d’Europa sono quotidianamente testimoni.
Di proposito in questo tipo di incontro sono esclusi i giornalisti, per poter parlare apertamente, talora a modo di sfogo, da parte dei rappresentanti di quelle Chiese sorelle dell’altra sponda del Mediterraneo, che su quel vastissimo territorio, vero giardino della Chiesa fino all’avvento dell’Islam, ora sono piccolissima minoranza e vivono in situazioni difficili, rese ora più scabrose dall’attuale tensione, purtroppo sfociata in lotta armata su più fronti nel Medio Oriente e che rischia di sconvolgere animi e rapporti non tanto fra oriente e occidente, quanto fra islam e cristianesimo, distruggendo quella tela pazientissima e laboriosissima di dialogo che da decenni si sta intessendo almeno da parte cristiana verso gli adoratori di Allah o, piuttosto, verso la cultura del mondo arabo-musulmano. Lo stesso insorgere in una frangia di immigrati musulmani di atteggiamenti fondamentalisti può essere letto come reazione a questo stato di cose e comporta il rischio di riversare su tutta la massa di musulmani l’irriducibile opposizione alla nostra cultura occidentale e di alimentare negli occidentali sentimenti di sistematico sospetto e paura di un avversario che si ha in casa.
Ne è risultato, durante l’incontro, da parte dei rappresentanti delle Chiese europee un senso di grande vicinanza e di profonda ammirazione verso queste Chiese che accettano in fedeltà al Vangelo di essere lì a conservare una millenaria tradizione di presenza e che, pur essendo esigua minoranza, hanno individuato la loro via di essere Chiese missionarie, dando una forte testimonianza a Cristo con un’autentica opera di evangelizzazione.
Quanto al problema dei giovani che sono spinti ad emigrare si è riflettuto sulle cause, sulle solite cause che è facile individuare, ma che lasciano nell’immobilismo coloro che potrebbero fare passi efficaci per rimuoverle e che sono riassumibile nello squilibrio economico e nella sete di potere legata alla sete di denaro. Nel comunicato finale, che non è una sintesi dell’incontro, ma una rilettura delle principali riflessioni che vi sono emerse, si insiste sulla promozione della giustizia, sul riequilibrio ed equa distribuzione delle ricchezze e sul dialogo. Si insiste pure sui diritti umani che vanno universalmente riconosciuti, ma si prende allo stesso tempo atto che una cosa è enunciare anche a voce alta questi diritti, altra cosa è la loro applicazione concreta, che può risultare opera assai complessa. Infatti ogni diritto ha la sua controparte: c’è un diritto ad emigrare, ma pure il diritto a poter vivere nel proprio Paese; c’è il diritto ad emigrare, ma pure il diritto dello Stato a gestire le frontiere e i flussi di immigrazione; c’è il diritto a conservare la propria identità, ma pure il dovere di sentirsi “parte” del Paese che accoglie, il dovere dell’integrazione. Dunque in materia così complessa c’è bisogno di molta mediazione e la Chiesa ha ampio spazio in questo campo.
Sì, come Chiesa si può fare molto ma si deve essere anche consapevoli che si tratta di un problema che ci sorpassa. Tuttavia non si parli di sfiducia né di tirare i remi in barca. Il comunicato dei vescovi finisce con la citazione di Giovanni 6,9: “Che cos’è questo per tanta gente?”. Il calcolo umano porta al senso dell’impotenza. Ma questo calcolo, pur mantenendo una sua validità, non deve oscurare la presenza di Gesù, potenza divina e il suo richiamo: “Tutto è possibile a Dio”. E da parte nostra - conclude il comunicato - teniamoci fra noi informati, diamoci sostegno tra Chiese sorelle e stiamo aperti al dialogo, quello che non cede alle ingenue idealizzazioni ma neppure alle paure.
La Chiesa italiana era rappresentata dal Vescovo di Senigallia, Mons. Giuseppe Orlandoni nella sua qualità di Segretario della Commissione Episcopale per le Migrazioni della CEI. Lo accompagnava il direttore dell’Ufficio immigrati e profughi della Fondazione Migrantes, p. Bruno Mioli. Nella relazione sulla situazione in Italia si è fatto il quadro attuale della presenza musulmana, la sua progressiva espansione ma non fino al punto di poter parlare di “invasione”; anzi, negli ultimi anni e in particolare dopo la recente regolarizzazione, quanto a flussi immigratori l’ago della bilancia va spostandosi sempre più dal bacino del Mediterraneo all’Est Europa. L’interesse per il dialogo e per il superamento delle incontrollate paure è testimoniato da una grande quantità di pubblicazioni, di convegni, di centri culturali specializzati sul tema. Si registrano anche in Italia episodi che portano talora il clima ad alta tensione. Ma non sembra che questo sia il torno ordinario della vita. La relazione da parte dell’Italia si è conclusa con la citazione del documento “Ero straniero e voi mi avete ospitato” ancora del 1993: “Si può prevedere che, come in questi ultimi secoli il Cristianesimo si è confrontato col pensiero moderno, così anche l’Islamismo si troverà presto ad affrontare una sfida analoga: saranno allora forse più facili la messa in crisi del suo carattere fondamentalista, la progressiva presa di coscienza delle libertà fondamentali, dei diritti inviolabili della persona… Con questa prospettiva non basta l’allarme, occorre rimboccare le maniche e dare una mano all’Islam, almeno a quello che è presente tra noi, perché faccia questo passo”.