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Il fondamento dell'impegno e il ruolo del laicato alla luce della Lumen Gentium (L. Bettazzi) - p.87


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/04


IL FONDAMENTO DELL’IMPEGNO E IL RUOLO DEL LAICATO ALLA LUCE DELLA LUMEN GENTIUM
di Luigi Bettazzi
Quando si dice “laico” occorre precisarne il senso. La parola proviene dal termine greco “laos” che è il termine con cui si indicava il popolo di Dio: quindi ogni battezzato è laico. Ma poiché nel popolo di Dio v’è una parte con incarichi direttivi (gerarchia, cioè - sempre dal greco - “sacra autorità”) chiamata nel suo insieme “clero” (per sé anche questo nome originariamente indicava le articolazioni del popolo, v. 1 Pt 5,3), laico finiva coll’essere, come indicava l’antico Codice di Diritto Canonico, “il cristiano che non fa parte del clero”. Va inoltre precisato che “laico” non va confuso con “laicista”, cioè con colui che rifiuta, nella vita della società, ogni accoglienza o attenzione agli aspetti religiosi.Già l’accennata definizione dell’antico Codice di Diritto Canonico metteva in rilievo come nella vita della Chiesa chi contava realmente era il clero, tanto da definire “laico” chi non aveva nella Chiesa alcun potere. Tant’è vero che essendo riservata al clero ogni responsabilità, come per esempio quella dell’apostolato, l’Azione Cattolica, associazione qualificata come lo strumento principale di attività laicale, esprimeva la “collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico”, e ricordo ancora le contestazioni fatte a Pio XII quando ebbe a dire che era non solo collaborazione ma “partecipazione”. E pare che fosse sotto… istigazione del prof. Lazzati, che aveva suggerito anche, come compito del laicato cristiano, la “consecratio mundi”, cioè l’elevazione delle attività umane, professionali e sociali, a strumento di santificazione.Il Concilio Vaticano II ha indotto due rovesciamenti di prospettiva, che vennero chiamate “rivoluzioni copernicane”. Se infatti Copernico ha portato a vedere come centrale ciò che Tolomeo vedeva come subordinato (non il sole che gira intorno alla terra, ma la terra intorno al sole), il Concilio ha messo in chiaro che non è il mondo subordinato alla Chiesa, ma è la Chiesa in funzione della salvezza dell’umanità, e la Chiesa non va praticamente identificata col clero, riducendo il laicato a beneficiario dell’attività gerarchica, ma al contrario questa è al servizio (ministero vuol dire appunto servizio) del popolo di Dio, che costituisce la Chiesa (salvo che… il popolo di Dio non sia l’umanità intera nella misura in cui - ciascuno secondo le proprie concrete possibilità - accoglie e aderisce a Dio!).In realtà ogni cristiano è chiamato a vivere la “profezia” di Cristo, cioè la rivelazione di come Dio vuole che si sviluppi la vita del mondo e di ogni essere umano; ogni cristiano è chiamato a partecipare al sacerdozio di Cristo, in cui la natura divina consacra la natura umana personale di Gesù e, in Lui, proietta il creato nel divino; così come ogni cristiano è chiamato a diffondere la regalità di Cristo, cioè il suo compito di unire popoli diversi in un’unica famiglia, quindi di portare in terra la pace per tutti gli uomini che Dio ama. E le funzioni della gerarchia (la magisteriale, la sacramentale, la pastorale)non sono fine a se stesse, quasi rispondendo ad un progetto di perfezione intrinseca; sono bensì in funzione della realizzazione dei cristiani - come singoli e come comunità - per il bene, la consacrazione del mondo. Il magistero gerarchico quindi non va valutato secondo la completezza o la perfezione delle sue articolazioni, ma sulla capacità di far vivere la “profezia”, la testimonianza efficace della vita cristiana; così come il sacerdozio ministeriale non va commisurato alla solennità o alla grandiosità delle cerimonie liturgiche, ma sulla loro capacità di far vivere in pienezza la vita cristiana. Ed infine la pastoralità non è proporzionale all’efficienza di un esercito o di un’industria, bensì alla realizzazione di una comunione e di una solidarietà interna alla Chiesa (mons. Tonino Bello la chiamava “la convivialità delle differenze”), così da rendere la Chiesa ed i cristiani un fermento effettivo e storico di solidarietà e di pace nel mondo.Tutto questo non solo mette in luce la primarietà del compito dei laici nella struttura e nella vita della Chiesa, ma dovrebbe far risaltare l’esigenza di una loro partecipazione attiva nella formulazione degli orientamenti dinamici della Chiesa a tutti i livelli. Se il magistero è in funzione della profezia dei cristiani, se il sacerdozio ministeriale è in funzione della consacrazione del mondo che il sacerdozio dei fedeli deve compiere, i cristiani, i fedeli devono saper indicare concretamente gli ambiti e le esigenze in cui si trovano a vivere e ad operare. Così come l’organizzazione della comunità ecclesiale, pur preoccupata della propria vitalità interiore, non può chiudersi in se stessa, ma deve sentirsi aperta al compito di fermentazione di una società sempre più solidale e sempre più impegnata nella pace. Ed in questo sono proprio i laici che devono rendere sempre più sensibile e sempre più impegnata la gerarchia nelle sue indicazioni e nelle sue verifiche. Una Chiesa chiusa in se stessa, come rischia di divenire una Chiesa eccessivamente “clericale”, non sarebbe la Chiesa voluta da Gesù Cristo, non sarebbe la Chiesa richiamata dal Concilio Vaticano II. Sta ai laici riconoscere i propri compiti e assumerne le responsabilità, sta alla gerarchia rendersene conto e porsi generosamente al loro servizio. Questo implica attenzione, talora anche controllo; ma implica soprattutto incoraggiamento e fiducia.