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Migranti e il futuro della parrocchia
Un confronto inevitabile di culture e tradizioni

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/04


MIGRANTI E IL FUTURO DELLA PARROCCHIA
UN CONFRONTO INEVITABILE DI CULTURE E TRADIZIONI
di Canuto Toso
Inserimento-integrazione-assimilazione, parole maggiormente usate nei convegni o tavole rotonde riguardanti l’immigrazione in Italia, nei territori regionali e provinciali e, nel caso nostro, nelle parrocchie.La prospettiva sociologica di chi è addentro al fenomeno, soprattutto per averlo vissuto sulla propria pelle, è rivolta innanzitutto verso l’inserimento dell’immigrato nel tessuto socio-culturale del paese di residenza.A partire da una dignitosa accoglienza, secondo una normativa basata su diritti e doveri: sia da parte di chi apre le porte “al forestiero” come da parte di quest’ultimo. Secondo le rispettive competenze tutte le istituzioni sono impegnate ad aiutare l’immigrato ad inserirsi nel territorio. Poi, ma gradualmente, verrà avanti l’integrazione. E quale integrazione? Se ne parla da più pulpiti politici, civili, scolastici, pastorali.Sembra alquanto difficile trovare un criterio equilibrato. Soprattutto quando da parte di taluni si pretende un tipo di integrazione che rischia di confondersi con l’assimilazione. Infatti non sono rare affermazioni come queste: “Che imparino i nostri usi e costumi se vogliono rimanere qui”. “Che non pretendano di insegnare a noi” (del resto quale integrazione è stata richiesta alla maggioranza dei nostri emigranti in Francia e in altri Paesi?).Partiamo comunque dalle nostre parrocchie. Quale accoglienza viene da queste praticata agli immigrati? Non mancano a tal fine le indicazioni pastorali. E non sono poche le parrocchie che le hanno seguite a partire dall’alloggio in strutture proprie, quale che sia l’appartenenza religiosa. Non sono mancati finora proprietari che hanno messo a disposizione appartamenti con canoni di affitto contenuto. Nei patronati si notano figlioli di differenti colori. Così dicasi fra gli scout e altri gruppi parrocchiali. Ma dal punto di vista specificatamente pastorale, quale percorso si sta operando? Qui si possono registrare esperienze differenti, che non sempre corrispondono al tipo di integrazione proposta.Per rimanere alla diocesi di Treviso, anche il recente Sinodo ha attinto dal magistero della CEI, tramite la Fondazione Migrantes, le specifiche modalità nell’accompagnamento religioso delle differenti comunità etniche. Con sacerdoti inviati appositamente dalle rispettive Chiese di partenza, o con altri incaricati secondo la lingua dei gruppi. Ma non tutte le parrocchie condividono questo criterio. Qualche parroco arriva addirittura a paventare queste Comunità come dei ghetti. Non avendo fatto alcune esperienza né diretta né personalmente con i nostri emigrati dovrebbero fidarsi di chi ha in merito autorità e competenza. Sostengono la testi dell’integrazione immediata degli immigrati nelle rispettive parrocchie di residenza.E pure significativo che qualche immigrato cattolico faccia parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Ma non fino al punto da essere assimilato nel contesto parrocchiale. E ancora. Non pochi immigrati divenuti cristiani cattolici dopo un cammino catecumenale, sono richiesti di rimanere in parrocchia, sconsigliati di frequentare le Comunità etniche di comune provenienza o lingua. A conti fatti anche per questi l’integrazione potrebbe diventare assimilazione. E questo non è conforme a quel pluralismo religioso e culturale dichiarato a più riprese una risorsa anche per la Chiesa stessa.E vero che anche fra gli immigrati c’è chi preferisce diventare parrocchiano a tutti gli effetti, al punto da evitare di confondersi con i propri connazionali. Ma è altrettanto vero che taluni si sentono pressati a far parte integrante dell’attività parrocchiale e non trovare più il tempo di frequentare, almeno qualche volta, le Comunità connazionali, venendo meno di quello spirito missionario che dovrebbe caratterizzarli quali convertiti al Cristianesimo.Da quanto sopra si deduce l’insufficienza informativa sulle Missioni Cattoliche tuttora in funzione presso i nostri emigrati nel mondo, quale prova che non si deve avere fretta a premere sull’integrazione (soprattutto quando rischia di diventare assimilazione) della prima generazione, e che occorre esortare le parrocchie a valorizzare le culture altre in atteggiamento di dialogo interculturale.