» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
L'esperienza della "vita comune" a bordo delle navi


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/03


L’ESPERIENZA DELLA “VITA COMUNE” A BORDO DELLE NAVI
DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE IN AMBITI DI STRETTA CONVIVENZA: UN DIALOGO POSSIBILE
di Luca Centurioni
La cronaca di tutti i giorni con toni minori o maggiori, ci porta a riflettere sulla possibile e dovuta convivenza con persone che, data la facile e necessaria mobilità dei popoli, e la nuova migrazione che stiamo vivendo, provengono da ambiti culturali e religiosi diversi dal nostro.Confronto culturale e religiosoNon si può nascondere la problematicità di questa emergenza sociale, ma non si deve facilmente scadere nell’interpretare il fatto nell’ottica della conflittualità.La storia dei popoli, se in qualche modo è stata segnata dalle velleità di potere e di denaro di questo o quel regnante, quasi sempre ha visto come sfondo non implicito la diversità religiosa come visione del mondo da imporre sull’altro che perciò stesso diventa il nemico. Il progresso culturale dell’occidente ha portato a sviluppare teorie di tolleranza religiosa che ad oggi, riconoscono lontani i tempi delle guerre di religione, ma in un’epoca della cosiddetta globalizzazione (del resto intesa ancora unilateralmente e parzialmente) non siamo ancora del tutto scevri da fondamentalismi religiosi che intendono imporre il proprio credo. La disarmonia culturale tra popoli diversi comporta perciò ad oggi, che in uno o nell’altro contesto culturale, la diversità anche religiosa susciti incertezze nella quotidiana convivenza.La convivenza sulle naviUn’esperienza del tutto originale e in qualche modo controcorrente rispetto al linguaggio correntemente utilizzato nel trattare di questo argomento è la convivenza dei membri di equipaggio a bordo delle navi.La moderna tecnologia permette oggi la costruzione di navi sempre più grandi, sia per il trasporto merci che per il turismo da crociera.Se la grandezza delle navi non influisce eccessivamente sul numero dei membri di equipaggio di quelle da trasporto merci, ha invece una significativa incidenza sul numero dei membri di equipaggio di una nave passeggeri. Quest’anno viene varata in Italia una nave passeggeri con più di 1200 membri di equipaggio.Se si tiene conto che l’equipaggio viene poi raccolto dai 5 continenti con una rappresentanza di più di 30 nazionalità diverse, è facile capire come nello spazio ristrettissimo di una nave (per quanto grande, lo spazio è sempre ristrettissimo per la convivenza di così tante persone) la convivenza pacifica e cordiale di persone con culture e religioni diverse sia non solo una necessità disciplinare, ma una grande scommessa di civiltà.L’esperienza dei cappellani a bordo delle navi passeggeri è senz’altro una ricchezza della pastorale della Chiesa italiana, che permette un ambito privilegiato di osservazione e di operatività su questo tema.Siamo tutti sulla stessa barcaIl fulcro della possibile convivenza lo si può facilmente trovare in un detto antico ma senz’altro vero: “siamo tutti sulla stessa barca”. La nave è per sua struttura un non-territorio, è il simbolo anomalo di una convivenza in un luogo dove non è possibile vivere, il mare. Sul mare si naviga per andare da una terra ad un’altra, ma il mare e tutto ciò che vi è sopra non è un luogo dove si può vivere. Tuttavia l’uomo da sempre ha imparato ad adattarsi fino al punto di creare forme di convivenza su una non-terra; persone che vivono in pochi metri quadrati, 8-10 mesi continui della loro vita, 24 ore al giorno, e parlano lingue diverse, hanno tradizioni diverse, hanno storie e religioni diverse, eppure sono lì, necessariamente uno accanto all’altro, portati dalla necessità di un lavoro, principalmente, ma mille altri sono i motivi per cui un uomo naviga.Tutti sanno che la terra è da un’altra parte, che la loro patria è lontana, ma sono lì, e la persona che gli sta a fianco, per quanto sembri diversa, è comunque un amico, perché “è sulla stessa barca”. Quell’unico guscio di ferro che tutti racchiude e salva dal mare, simbolo di vita e di morte, fa di tutti una sola famiglia, inevitabilmente. Quella nave accomuna tutti in un unico destino, perché unica la mèta, unico il mezzo per raggiungerla. Nasce inevitabilmente quel senso di profonda solidarietà con la persona che ti sta accanto, perché, anche se è raro che succeda, tutti sanno che anche quella nave può affondare, e in quel caso, chiunque ti sta accanto, può essere colui a cui devi salva la vita. E così che a bordo di una nave si capisce che si è diversi, dai tratti somatici, dalla lingua parlata, ma se non fossero così evidenti questi segni, si vorrebbe essere un po’ tutti più uguali.A bordo di queste navi, spesso per intendersi, si parla inglese, che è la lingua più comune, ma non la lingua madre di qualcuno, se non di pochi. Si cerca un linguaggio comune, anche se non ti appartiene, e ogni tanto si usano le parole di una o l’altra lingua a seconda del loro effetto, della loro incisività, tanto che alla fine non si parla una sola lingua, ma la lingua di quella nave, dove certe cose vogliono dire qualcosa solo lì… La fatica di parlare un’altra lingua e la voglia di tenere qualcosa di prezioso della propria… tutto insieme, accettando e proponendo, continuamente: lo sforzo della convivenza.L’incontro con il Dio di tutti noiSiamo tutti sulla stessa barca, e quel Dio che non può che essere che in cielo, perché in fondo al mare non c’è vita, forse non è il Dio di tutti noi?Si parla di Dio, si cerca Dio, forse ognuno attingendo alle sorgenti di una religione imparata nelle proprie case prima di partire, ma dopo alcuni o molti anni che navighi, c’è solo Dio che cerchi, il Dio che cercano tutti, il Dio che pregano tutti. Lontano da quei simboli di appartenenza religiosa che spesso la propria patria dà come distintivi, lontano da settarismi o dogmatismi che risuonano così inutili, il cuore del marittimo vive una sorta di primitiva passione religiosa, genuina, semplice, aperta, desiderosa semplicemente di incontrare Dio. E così che a bordo di una nave è difficile fare Chiesa, intesa nel senso delle figure di parrocchie alle quali siamo fin troppo abituati. Magari è semplicemente la chiesa intesa come persone chiamate da Dio alla ricerca del suo volto, nel senso più incipiente del termine, con tutti i suoi limiti di infantilismo a volte, di individualismo, ma il senso di una fede comune in un unico Dio c’è.E il prete che sta con loro su quella nave, è l’uomo di Dio, l’uomo dell’unico Dio, anche se sanno che è un prete cattolico, non sanno cosa vuol dire cattolico, sanno solo che è l’uomo di Dio. Essi cercano dal prete una Parola di Dio sulla loro vita, vogliono pregare con il prete, con qualsiasi preghiera che li porti a Dio, l’importante è che porti a Dio.C’è il gruppo di quelli che celebrano l’eucaristia domenicale, come momento di incontro con la Parola ed il Corpo di Cristo, c’è il gruppo di quelli che non conoscono l’eucaristia e sentono di essere attratti dalla Parola di Dio e desiderano ritrovarsi per ascoltarla e imparare a viverla, ci sono quelli che hanno fatto della loro piccola cabina un altarino per le loro devozioni religiose, ci sono quelli che professano la loro fede in Allah o ricercano nella sapienza Indù la via della felicità… Ma tutti guardano al loro compagno di lavoro, su quella stessa nave, come ad un fratello.Lo stesso identico ambiente di vita abbatte necessariamente le diversità culturali, perché la disciplina del lavoro è identica per tutti, e uno non può decidere di lavorare a modo suo, ma le diversità religiose vengono invece attenuate dalla consapevolezza della vita comune, dalla necessità di costruire un rapporto di pace con il tuo compagno, dalla volontà di ricercare nel comune destino di questa vita, un comune destino per l’altra vita.Compagno di viaggio e fratelloCosì nella pur sacrificante vita di marittimo, dove le vere povertà non sono quelle economiche ma quelle degli affetti e della assenza di un vincolo di appartenenza alla propria terra, si apre la possibilità di una ricchezza insperata: la ricerca di Dio negli occhi del fratello che sta accanto a te tutto il giorno, la consapevolezza della solidarietà e la volontà di pace con l’altro che è l’unica possibilità per sopravvivere su quella barca, e la vita è tutto, quindi anche la pace è l’unica strada.