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Gli italiani un tempo emigranti hanno un compito da assolvere


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/03


GLI ITALIANI UN TEMPO EMIGRANTI HANNO UN COMPITO DA ASSOLVERE
di Domenico Locatelli
Esiste un popolo quasi senza voce che rischia di vivere nel sommerso. è un popolo fatto di milioni di italiani: gli ex-emigranti, ritornati in patria ormai da decenni.è l’italiano che ha vissuto un’esperienza all’estero in Europa come nelle Americhe, e che può rivisitare e purificare i suoi ricordi e far “memoria” parlando della sua esperienza personale e familiare.
La forza della memoriaSi moltiplicano le iniziative in tutta Italia, dal profondo sud al profondo nord, per illustrare vicende passate, lieti o dure, ma che in qualche modo presentano e illustrano le vicende che hanno coinvolto milioni di italiani partiti con il piroscafo o attraversando valichi alpini per raggiungere luoghi dove si richiedeva manodopera. Non si può non riconoscere, in effetti, la validità di molti musei dell’emigrazione che si stanno allestendo in diverse città italiane. Altrettanto si può dire delle giornate di celebrazione di anniversari, di eroi nostrani che si sono fatti onore fuori Italia, delle feste per il lavoro degli italiani, oppure dei memorial-day per non dimenticare avvenimenti tragici o comunque significativi per la storia dell’emigrazione italiana.La memoria di un popolo per le sue vicende nasconde la forza incredibile di una intelligenza lucida, capace di un giudizio corretto e globale nel riconoscere le problematiche attuali ed individuarne le soluzioni adeguate per aiutare la società odierna ad organizzarsi con qualità.Tale memoria è forte soprattutto quando al centro mette la persona umana con i suoi bisogni ed il suo desiderio di rispondere adeguatamente con tutta la sua energia e caparbietà per inseguire il sogno ispiratore della propria felicità.
Esperti in “migrazione”Noi italiani, proprio per la lunga storia di emigrazione che stiamo vivendo ancor oggi, possiamo scoprirci ricchi di alcuni elementi specifici che potrebbero definirci “ esperti in migrazione”.Molte regioni, valli, villaggi, possono contare intere famiglie che hanno conosciuto la strada dell’emigrazione.Si è consolidato, lungo il corso degli anni, un grande movimento di “andata” e “ritorno”, uno scambio non solo delle rimesse economiche ma di esperienze conosciute, vissute e trasmesse nel proprio luogo di residenza in Italia.Un arricchimento reciproco che ha provocato un cambiamento che, quando è accolto e gestito bene, diventa risorsa di crescita.Ci si riferisce ad esperienze del passato, certamente, ma non per aprire cassettoni polverosi pieni zeppi di ricordi e nostalgie che non servono più, ma per constatare che si parla di storie umane personali e di famiglia piene di relazioni vere, progetti concretizzati, speranze realizzate, esperienze acquisite, e tutto espresso da una consapevolezza provata, che può trasformarsi in insegnamento o quantomeno in testimonianza.
Un nuovo linguaggioGli italiani una volta emigrati e, da molto tempo rientrati nei propri paesi, possono raccontare quanto hanno conosciuto e come hanno vissuto il partire e lasciare la terra che si conosce, per andare altrove dove si è sperato di trovare soluzioni a bisogni fondamentali dell’ esistere: lavorare, mangiare, risparmiare, conoscere, imparare un mestiere, ritornare.Ma questo non basta, perché oggi il linguaggio si è modificato come si è trasformata la stessa emigrazione italiana ormai giunta alla terza e quarta generazione.Oggi, i dialoghi ed i discorsi che si fanno in molte istituzioni pubbliche contengono parole che dicono di altre realtà. Oggi si parla di gemellaggi stabiliti, collaborazioni, attestati di stima ricevuti e ricambiati, amicizie rimaste, viaggi in alternanza compiuti per rivedere e salutare con piacere i cambiamenti e le novità che sono sopraggiunte, trasformazioni ambientali, urbanistiche e sociali da constatare e commentare, storie nuove da apprendere da chi si è fatto ormai persona adulta e responsabile, progetti possibili su cui riflettere per poter attivare collaborazioni operose.
Altri condividono la stessa avventuraIn tutto questo mondo variegato e complesso dell’emigrazione italiana vissuta, gustata, sofferta ed oggi raccontata con realismo di consapevolezza autorevole, si inserisce l’immigrazione di casa nostra. Un fenomeno uguale per intensità, problemi, fatiche, speranze e tensioni. Ci si sforza di capire e valutare, cercando di non cadere in confronti ingenerosi ed ottusi che restano incapaci di leggere al di là delle poche cose e situazioni che riusciamo a vedere e a capire. “Ma noi lavoravamo duro!”, “ma noi si stava zitti!”, “ma noi non si pretendeva nulla”, “ ma allora, non era così comoda”, “nessuno ci dava niente” ...diversi sono i tempi, diverse le culture, diversa la situazione che stiamo vivendo oggi qui in Italia, che è diventata, ormai, un paese di accoglienza per immigrati, pur restando ancora un paese che conta milioni di concittadini all’estero dove continuano con dignità la loro vita di “stranieri” anche se “italiani residenti all’estero”.La lucida memoria di un passato vissuto e conosciuto personalmente o attraverso un familiare può fornire un elemento in più per una tolleranza lucida che sa valutare, comprendere ed accogliere.E decisivo per la qualità della vita civile, riuscire a non negare a nessuno il diritto di emigrare e di stabilirsi là dove si trova lavoro, pane e prospettive per una vita non disperata per sé e per la propria famiglia.E significativo per la civiltà di una nazione il formulare ed applicare leggi che sappiano tutelare chi è straniero garantendo libertà, sicurezza, abitazione e diritto al- l’istruzione, alla parola, al professare la propria religione.E apprezzabile per la propria credibilità di cittadino e di persona voler informarsi e conoscere l’immigrazione di oggi che è altrettanto complicata come una volta, fa altrettanto paura come una volta così da suscitare paure e aggressioni come abbiamo conosciuto nei nostri confronti in Germania o in America.
Un coraggio pastoraleE incoraggiante per la propria scelta cristiana fare il primo passo per lasciare spazio, per dare tempo, per esprimere un saluto, superare l’indifferenza, coinvolgere con rispetto nelle strutture pastorali parrocchiali chi accetta di condividere la stessa fede. è stimolante prendere spunto della Giornata Nazionale delle Migrazioni per lasciarsi stimolare e contribuire a rivedere le iniziative locali, civiche e pastorali, culturali e sociali che siano, per verificare se le abbiamo decise e immaginate tenendo conto della presenza in paese di chi proviene “da lontano” e rischia di “perdersi” nell’isolamento della paura, bloccato dalle diversità e dal complesso di essere “perdente” perché straniero.Una celebrazione liturgica fatta fra noi italiani, dello stesso paese dove qualcuno o diversi furono una volta emigranti ed oggi, titolari di una esistenza economicamente e socialmente riuscita, può favorire una conversione dei nostri ricordi.Il ricordo, se tradotto in memoria, sa fornire i riferimenti di un vissuto che diventa un binario o un cartello indicatore che mostra il percorso da seguire per collaborare alla costruzione di una società dove le lingue diverse, le culture, le etnie, le religioni differenti non saranno un ostacolo insormontabile ma occasioni per dialoghi cercati e mantenuti, opportunità per collaborazioni solidali, situazioni di operoso lavoro comune per progetti pensati, decisi, finanziati e realizzati insieme.Lo si fa con la coscienza di aver vissuto una dimensione profondamente umana e degna di stima. Si ha la soddisfazione di aver superato paure e sfide che ci hanno permesso di parlare con altre lingue, di capirci in ogni caso, di aver saputo difendere i propri diritti senza vendere la dignità, si ha imparato a dare il proprio contributo partecipando alla vita di comunità locali, pur accettando legislazioni che escludevano da una partecipazione politica-amministrativa diretta chi fosse straniero, si è maturata la forza della fedeltà ad una pratica religiosa ispirata da una convinzione di fede profonda e solida.
C’è anche il non visibileE sullo sfondo, una grande fatica! Un gran camminare, chilometri e chilometri, in treno, in pullman, in bicicletta, a piedi! Un gran sudare: caldo, per il sole a picco, per i lavori in campagna, in alta montagna presso le dighe da costruire, presso gli alti forni delle acciaierie, caldo umido e caliginoso nelle viscere della terra ad estrarre carbone.Un gran pregare! Semplice, con parole imparate a memoria dalle nonne, ripetute moltissime volte fin dalla tenera età, in casa, in chiesa, a catechismo, e, spesso, mormorate a fil di labbra nelle baite in montagna quando la vita si faceva più dura, quando la tensione era pesante e lo scoramento profondo. Quando si doveva tener duro e non mollare, quando qualcuno era finito sotto una pianta, quando qualcuno era stato ricoverato in ospedale, o giungeva la notizia di un morto in paese.Un pregare che spesso si faceva gioioso perché era domenica e si fa festa! La messa celebrata e partecipata, due chiacchiere con amici e conoscenti, un saluto al prete francese, tedesco o al missionario italiano che si fermava a dar parola. Una parola che fa bene dentro, conforta, sostiene e spinge avanti. Una parola che apre un mistero talmente grande da rassicurare che Dio non si dimentica mai di nessuno.Sullo sfondo c’è pure una grande tristezza!Per chi ha pianto la propria famiglia allo sbando perché le troppe ore di lavoro di entrambi i genitori hanno impedito di seguire l’educazione dei figli. Per chi sente dentro, un pesante sentimento di fallimento, perché ha permesso al miraggio economico di vincere sulla sua testa, e ha pensato solo a fare soldi senza curare le relazioni amichevole con i familiari e gli altri. Per chi ha tagliato molto tempo fa le radici di una appartenenza di-sprezzando la terra ed il paese dove non si poteva sopravvivere e lo costrinsero a partire, e non è riuscito a rimettere radici altrove con il curare la partecipazione alla vita sociale della comunità che lo accolse ed ora si trova assistito per pietà e sta morendo dimenticato e solo.Per chi ha lasciato indurire il cuore e non ha capito nulla dell’umanità ed è arrabbiato verso i nuovi emigranti che aggredisce accusandoli ingiustamente di “rubare pane e lavoro”, di essere “approfittatori” e gente di “serie inferiore” o peggio li insulta o deride la loro fatica nel parlare e dell’aggiustarsi alle regole e consuetudine di un paese che non conoscono ancora.
Sono un emigrantePer quanti hanno vissuto all’estero e sono ritornati a casa, tutto può sembrare sminuito, dimenticato, “non è diventato più nulla”. Se lo racconti, non ci credono, se vanti fatiche e sacrifici, sembra che nessuno li apprezzi, quasi quasi si preferisce starsene zitti e non manifestare a nessuno i grossi sentimenti che passano nel cuore, per non rischiare di restarne feriti dentro.Eppure è meritorio e significativo dichiarare con fierezza: “Sono stato un emigrante!”.è voler assumere un abito morale e di comportamento che ci rende liberi dentro, capaci di apprezzare e rispettare la dignità nostra e degli altri, convinti assertori dei diritti fondamentali di ogni persona umana: diritto al lavoro, diritto all’abitazione, diritto alla parola, diritto all’educazione, diritto al ricongiungimento familiare, diritto ad essere un cittadino libero e capace di esprimere la propria partecipazione per rendere migliore il popolo con il quale si vuole camminare e vivere la propria esistenza.