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Spunti di riflessione per la Giornata Nazionale delle Migrazioni 2003


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/03


SPUNTI DI RIFLESSIONE PER LA GNM 2003
di Piero Gabella
PremessaLa Giornata Nazionale delle Migrazioni è un momento importante per la Chiesa italiana, per le Diocesi, per le comunità ecclesiali e per ciascun credente chiamati a riflettere in modo più attento su un fenomeno che investe la vita sociale e religiosa di tutto il territorio nazionale. Come credenti, la riflessione, non può che partire dalla nostra Fede ed essere da essa illuminata. E l’occasione propizia per momenti di preghiera particolari. Porci dinnanzi al Dio di Gesù e, per quanto è possibile, chiedere che ci permetta di entrare nella sua visione del mondo e nel suo progetto; ci permetta di vedere con il suo stesso sguardo. Il ragionamento umano non basta, anzi, qualche volta potrebbe essere ingannevole perché ci riempirebbe di se e di ma, ci caricherebbe di dubbi e di paure e le nostre risposte e soluzioni non si distinguerebbero in nulla da coloro che sono preoccupati dei propri interessi o vedono i privilegi in pericolo. E ponendoci davanti all’icona di Gesù il Cristo, inviato dal Padre e rivelatore del suo Piano Salvifico, fratello universale di tutta l’umanità, che possiamo trovare ispirazione e coraggio per visioni nuove e per un futuro di armonia dei popoli.
“Migrazioni: Vangelo, solidarietà, legalità”Il tema “Migrazioni: Vangelo, solidarietà e legalità”, che la CEMI (Commissione Episcopale per le Migrazioni in Italia) ha proposto ci permette di focalizzare alcuni aspetti di questo fenomeno (le migrazioni) che non solo investe tutto il mondo e l’Europa in particolare ma che ci accompagnerà costantemente per il futuro in modo sempre più accentuato. La pastorale del futuro non è più pensabile e tanto meno programmabile su criteri tradizionali dove le comunità cristiane si identificavano con la quasi totalità della popolazione e la tradizione suppliva l’ignoranza, dove i credenti di altre fedi religiose erano lontani e conosciuti solo attraverso il racconto dei missionari e la territorialità e l’unicità di pensiero nell’unica esperienza di vita erano la “normalità”. Il confronto con la diversità è divenuto la nuova norma, lo snodo focale attraverso il quale passa ogni aspetto della vita compresa la fede. Essa non può più alimentarsi del “pressappoco”. Ciò che non è piena convinzione è destinato ad essere spazzato via dal confronto. I fatti, le scelte saranno l’Annuncio che griderà nella società multietnica i contenuti della fede cristiana. Annuncio che sarà comprensibile in proporzione della realizzazione concreta delle nostre convinzioni o almeno il tentativo sincero e serio, a secondo delle nostre forze e degli strumenti a disposizione, di attuarlo. Le minoranze, cariche di debolezze di ogni tipo, potranno conoscere in concreto se le belle parole che cantiamo nelle liturgie e le preghiere che salgono a Dio dalle nostre comunità di fede sono sincere o se anche per noi valgono le parole che Isaia ha rivolto al Popolo eletto dell’AT e ricordate da Gesù: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Mc 7,6-Is 29,13). Questi gruppi, nella loro marginalità sociale, saranno i giudici del nostro operato di fede (cfr Mt 25,31-46).VangeloE la base e il fondamento da cui un cristiano deve partire e al quale bisogna riferirsi. La sua diffusione è lo scopo di ogni nostro agire, di ogni nostro organizzarci e di ogni nostra aspirazione: “Andate in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo a tutti gli uomini…” (Mc 16,15). Noi, attraverso l’opera missionaria, siamo andati in tutto il mondo. Ora che “il mondo” è arrivato da noi abbiamo difficoltà a riconoscerlo come il soggetto-oggetto della nostra missione. Nel Vangelo troviamo la visione della umanità messa al vaglio e al giudizio dal Figlio di Dio (cfr Gv 1, 1-18). In questo “Annuncio” emerge il progetto del Padre per l’avvento del Suo Regno: “Io quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32), possiamo scoprire i criteri e le scelte che Gesù stesso, con le parole e con i fatti, ha posto innanzi a noi perché, credendo, non avessimo paura a perdere quello che c’è da perdere per poterlo salvare. E nel vangelo infine che troviamo il conforto di non essere soli. La presenza dello Spirito Santo è la forza divina che permette di compiere ciò che umanamente non solo è impensabile ma che agli occhi del mondo può sembrare utopia irrealizzabile: “…Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Difensore che sarà sempre con voi, lo Spirito di verità. Il mondo non lo vede, non lo conosce, perciò non può riceverlo Voi lo conoscete perché è con voi e sarà con voi sempre” (Gv 14,16-17). Alimentarci con la contemplazione del Vangelo equivale a trovare nuova progettualità e la forza per camminare in essa, forza che ci dà la possibilità di elevare il nostro agire oltre l’umano buonsenso.SolidarietàParola che per l’uso frequente ha perso la forza del suo significato originale. Gesù ci può aiutare a recuperare il vero e profondo significato e tutte le sue implicanze. Di Lui Paolo afferma: “Pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce…” (Fil 2 ss). Tutto questo è stato fatto da Dio per essere solidale con l’ umanità. La solidarietà, in Gesù, non si è manifestata tanto con le parole ma soprattutto con scelte concrete. Sono state queste ultime a rendere vere e credibili le sue parole. Essere solidali equivale allora divenire un tutt’uno con l’altro assumendo in sé le conseguenze di questa unità. Troppo spesso discutiamo e preghiamo dei problemi, delle sofferenze, dei rischi, delle tragedie, delle vergogne e delle condanne altrui guardandole dell’esterno. Questo interessamento ai problemi degli altri può essere ottimo e portare anche grandi benefici ai fratelli più sfortunati ma, per favore, non chiamiamola ancora solidarietà. Rischieremmo di oscurare e non rendere comprensibile la solidarietà che Dio in Gesù a portato all’umanità “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Non è facile; spesso, per la nostra debolezza, è impossibile ma almeno possiamo prendere coscienza di questo limite, di questa incapacità ad adeguarci pienamente al Vangelo. Usare con maggior umiltà i vocaboli equivale a riconoscere la nostra debolezza e a non inquinare la limpidezza del vangelo stesso. A volte la confessione aperta di un limite è annuncio più credibile di Salvezza.LegalitàIl termine richiama immediatamente l’attenzione all’ordinamento giuridico che permette alle società il convivere così detto civile. Potrebbe, quindi, portare l’attenzione su uno dei punti nevralgici che la nostra precomprensione (pregiudizio) ha nei confronti della mobilità in genere: la difficoltà di questi gruppi al pieno rispetto delle leggi vigenti nel paese dove vivono. Pur non negando rispetto e attenzione alla legislazione del nostro paese, pur impegnandoci fino al limite del possibile perché essa venga rispettata da noi e da tutte le persone che in esso vivono (e spesso questo comporta amarezza e senso di sconfitta) noi non possiamo affrontare questo punto se non a partire da quello che crediamo e che la nostra Fede ci propone. Leggiamo negli Atti degli Apostoli la risposta di Pietro ai membri del tribunale: “Giudicate voi stessi che cosa è giusto davanti a Dio: dobbiamo ascoltare voi oppure dobbiamo ubbidire a Dio? Quanto a noi non possiamo fare a meno di parlare di quelle cose che abbiamo visto e udito” (Atti 4,19-20). Per le comunità di fede la prima legislazione che dà norma al vivere è la legislazione che scaturisce dal Vangelo. Quando la legge civile esprime gli stessi valori tutto fila liscio. Quando non è così la precedenza, per un credente, è l’imperativo evangelico. “La condizione di irregolarità legale non consente sconti sulla dignità del migrante, il quale è dotato di diritti inalienabili, che non possono essere violati né ignorati”: parole di Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Migrazioni 1996. L’uomo, immagine di Dio, redento in Cristo e per questo destinato alla eternità nella gloria del Padre, tempio dello Spirito Santo, ha diritto comunque e sempre ad essere rispettato nella sua dignità. Immigrazione, clandestina e non, manovalanza marittima, campi sosta per gli “Zingari”, carceri e chi più ne ha ne metta, sono luoghi che, da soli, bastano a farci sentire in colpa perché forse non abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere perché la dignità dei “figli di Dio”, della parte di umanità che ha un posto privilegiato nel cuore di Gesù, abbia il rispetto dovuto. Una società ha le sue regole e senza di esse sarebbe il caos. Anche i credenti hanno delle norme, più intime perché toccano la coscienza, e non possono essere tranquilli e rassegnarsi fino a quando davanti a loro si presentano situazioni, che mettono in gioco la loro responsabilità, che li chiamerebbero a giudizio davanti a Dio.ConclusioneMentre scriviamo e pubblichiamo queste tracce non possiamo dimenticare le parole di Gesù ai discepoli: “Lo spirito è pronto ma la carne è debole” (Mt 26,41) e Paolo che confessa la sua esperienza di vedere le cose buone ma in concreto di seguire le cose peggiori. La costruzione del Regno è un lungo cammino compiuto, se pur con la presenza dello Spirito, dalla umanità di cui fa parte anche la Chiesa. Viviamo le doglie del parto, l’affannosa ricerca dello Sposo, tra sofferenze, abbagli ed errori che caratterizzano il nostro essere umani. La nostra limitata visione della storia a volte ci entusiasma a volte ci delude. L’importante è che non ci dobbiamo mai fermare, non ci dobbiamo stancare di dare il nostro apporto perché una cosa è certa: Dio non smette mai di operare e alla fine compirà il suo disegno. Se, con tutte le nostre debolezze, non avremo smesso di credere e dare il nostro apporto riceveremo la ricompensa della soddisfazione di aver operato con Dio a realizzare la eternità.