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Andare all'uomo del mare


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/03


ANDARE ALL’UOMO DEL MARE
di Alberto Laggia
I cappellani dei porti in Italia sono pochi e scarseggiano di mezzi. Eppure la porzione di popolo di Dio di cui devono occuparsi è enorme: oltre due milioni di marittimi complessivamente ogni anno attraccano ai nostri moli. Le storie di vita di questi “fedeli” atipici, sfruttati dagli armatori e sballottati per il mondo, raccontate dai sacerdoti della “Stella Maris”.Il solo modo per guadagnare la coperta della norvegese Ellen Knutsen, una delle tante petroliere attraccate al porto d’Augusta, è quello d’arrampicarsi alla biscaglina che penzola sull’acqua. Don Giuseppe, berretto marinaro ben calcato in testa e borsone in spalla, vi sale con l’agilità di un bucaniere. “Erano o non erano dei marittimi gli apostoli?”: questo fatto, che la prima Chiesa solcasse i mari su piccoli legni per portare il messaggio del Vangelo, lo deve intrigare non poco. La metafora della Chiesa-navicella gli sembra attualissima. Forse è anche per questo che lui, prete “campagnolo”, nativo di Sortino, paesino dell’entroterra siracusano, è stato rapito dal mondo dei marinai ed è diventato cappellano dei marittimi. S’infila nella sala di ritrovo della nave e con il suo personalissimo slang anglo-siculo raduna l’equipaggio, 17 filippini che non sono ancora sbarcati a terra: “Come va? E la prima volta che venite ad Augusta?”. Poi sfila dalla borsa alcuni mini-rosari, Vangeli in inglese e volantini della “Stella Maris”. “La conoscete, vero?”. “Come no”, rispondono tutti. “Father Giuseppe, hai delle schede telefoniche?”. “Certo, ecco le più economiche”: 10 dollari per parlare quasi un’ora con le Filippine, contro i 3 dollari al minuto del satellitare mangiasoldi di bordo. Poi li invita al raccoglimento, legge il Vangelo della domenica, una riflessione su Cristo “ponte tra chi sta in mare e chi a terra”, e infine il Padre nostro. Nel sorriso dei marinai è stampata la riconoscenza di questa visita tanto imprevista, quanto gradita. La nave salperà domani. I tempi a terra si sono ridotti al minimo, perché il porto, come la fabbrica, deve far circolare più velocemente possibile il capitale. Ogni sosta improduttiva è un costo aggiuntivo. E così accade sempre più di frequente che gli equipaggi delle navi mercantili, ridotti all’osso, non abbiano più tempo libero, e non riescano nemmeno a sbarcare a terra. “E il sacerdote è l’unica persona che si rivolge a loro senza chiedere qualcosa in cambio”, osserva don Giuseppe. “Devi scriverlo: di questa gente non si occupa più nessuno. Sono i più sfruttati, i meno garantiti. E sai perché? Oggi ci sono e domani sono lontani mille miglia. E allora provo rabbia pensando che noi viaggiamo comodi in auto, grazie al petrolio portato da chi resta segregato come schiavo nella pancia di una petroliera per settimane. Per fortuna ad Augusta c’è brava gente e se può dà una mano ai cappellani di bordo, che in Italia sono soltanto sei. Don Giuseppe Mazzotta, già insegnante di religione, assistente di AC e degli Scout, una vita passata tra i giovani, “a tempo perso” docente di Teologia morale, resta soprattutto responsabile dell’apostolato del mare ad Augusta, e quando parla dei “suoi” marittimi gli si scalda il cuore. Diciassette anni fa, dal nulla, ha fondato la “Stella Maris” locale, cioè uno dei centri d’accoglienza e assistenza con i quali l’Apostolato del mare cerca di farsi presente ai marittimi di tutto il mondo. “Come mi sono avvicinato a questo impegno pastorale? Quasi per caso. Io, che in cinque anni di servizio da viceparroco ad Augusta non avevo mai messo piede al porto, venni provocato a pensarci: come mai qui, in uno dei porti petroliferi più importanti d’Italia, dove transitano tremila navi l’anno, non esiste nemmeno un piccolo ufficio della “Stella Maris”? Mi resi disponibile col mio Vescovo, che mi affidò l’incarico. Ma che fare? Io che non distinguevo la poppa dalla prua? Senza una lira di finanziamento, senza una sede”. Don Giuseppe si affidò come sempre ai suoi giovani e cominciò a salire sulle navi. All’inizio aveva bisogno di un interprete e doveva farsi presentare. “Ho cominciato a girare nelle altre “Stella Maris” e a copiare quello che facevano a Savona e a Ravenna”. Ma una cosa l’aveva ben chiara in mente: un prete non fa apostolato del mare senza una comunità alle spalle. E se ne creò una. “La storia della “Stella Maris” di Augusta è tutta un miracolo: dalla prima donazione di un sacerdote di passaggio, qui non è mai mancato nulla, pur non possedendo una figura giuridica come ha invece la parrocchia. E accaduto come per la giara biblica che dà sempre farina. Bisogna crederci”. Oggi “Stella Maris” è un vanto della città: un centro bellissimo, nel cuore di Augusta, aperto 365 giorni l’anno; cinquanta volontari tra giovani, studenti, marittimi ed ex marittimi; un giornalino, e tante iniziative ogni settimana per i marinai che sbarcano. Perché si sentano “a casa, lontani da casa”, come dice lo slogan di “Stella Maris”.