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Sostegno della chiesa alle famiglie immigrate


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/03


SOSTEGNO DELLA CHIESA ALLE FAMIGLIE IMMIGRATE
di Bruno Mioli
PremessaSi è tenuto a Malosco (TN) il 6-9 luglio 2003 un Seminario sulla famiglia immigrata e alcune problematiche connesse, quali il ricongiungimento familiare, la condizione dell’infanzia, la funzione materna e paterna in migrazione, la mediazione culturale e ruolo dei servizi sociali. Anche la Migrantes, ivi rappresentata da P. Bruno Mioli, ha presentato, come gli altri partecipanti, un rapporto scritto che fa il punto sugli orientamenti pastorali della Chiesa nei confronti della famiglia immigrata. Si riporta integralmente il testo del breve rapporto.
Il compito primario affidato dalla Chiesa italiana alla Migrantes è quello di affrontare sotto l’aspetto pastorale le migrazioni e quanto alle migrazioni fa riferimento in primo luogo la famiglia. Poiché tale servizio “pastorale” non lo si può svolgere in forma astratta e disincarnata dagli aspetti sociologici e antropologici, giuridici e legislativi, demografici e quantitativi del fenomeno migratorio, peraltro in continua evoluzione, la Migrantes si affaccia anche a questa vasta problematica per darvi il suo modesto contributo, pur non avendo in questi campi specifiche competenze, e soprattutto per tener conto e far tesoro di quanto viene ricercato e acquisito da queste discipline con le quali si condivide il comune campo delle migrazioni.Non potendo seguire da vicino le tante ricerche e contributi vari che vanno accumulandosi attorno al tema della famiglia immigrata, la Migrantes cerca almeno di valorizzare quei sussidi pratici, quelle sintesi che, con periodicità anche annuale, vengono elaborate sull’immigrazione in genere e che riservano sempre qualche capitolo sulla famiglia e su tematiche ad essa connesse.Mi riferisco in particolare al:- “Dossier statistico immigrazione” edito da Caritas-Migrantes;- “Rapporto sulle migrazioni” della fondazione ISMU;- “Rapporto sull’integrazione degli immigrati” della Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, un rapporto che purtroppo si è fermato alla seconda edizione del 2001 perché la Commissione è stata di fatto disattivata, pur essendo stata istituita ai sensi dell’art. 46 del Testo Unico, che è stato recepito anche nella nuova legge Fini-Bossi. Va rilevato che la Migrantes, con altre forze ecclesiali o comunque di ispirazione cristiana, segue da vicino l’evolversi della legislazione anche per quanto riguarda le politiche familiari e valuta con preoccupazione le negative ripercussioni anche sul nucleo familiare che possono risultare dal recente cambiamento della normativa in Italia, benché gli articoli riguardanti tale materia siano stati solo parzialmente cambiati. Inoltre essa fa parte del “Coordinamento europeo per il diritto di vivere in famiglia”, particolarmente attivo in questi mesi in cui la proposta di Direttiva riguardante l’unità e la riunificazione familiare, dopo aver subito di recente rielaborazioni in senso restrittivo, rischia di essere ulteriormente declassata e annacquata, fino a consentire, ad esempio, che la Germania riconosca il diritto al ricongiungimento soltanto al figlio al di sotto dei 12 anni. E infine anche la Migrantes ha accettato di far parte della Commissione che, sotto la guida dell’OIL e dell’OIM, sta lavorando, nel corso del 2003, perché la “Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie” del 18 dicembre 1990, che entra ufficialmente in vigore dal 1° luglio di quest’anno, venga ratificata anche dall’Italia e da altri Paesi dell’Unione Europea.Quale dato quantitativo da tenere presenteAlla fine del 2002 le presenze straniere erano poco più di 1.500.000 secondo i dati del Ministero dell’Interno, da portare a oltre 1.700.000 per includere altri, in particolare i minori di 14 anni, iscritti nel permesso di soggiorno dei genitori; i permessi di soggiorno per motivi familiari alla fine del 2001 erano sulle 400.000 unità; tenuto conto che in questi ultimi tempi se ne effettuano circa 50.000 all’anno, si può prevedere che per la fine del 2003 si porteranno sul mezzo milione.Da questi numeri non è consentito trarre conseguenze troppo rigide, perché i permessi possono riguardare il coniuge con uno o più figli o senza figli, oppure soltanto i figli, non il coniuge. Quindi questi dati non servono per computare il numero delle famiglie straniere e la loro composizione.Alla stessa data i coniugati erano un po’ più numerosi dei celibi o nubili; i minori di 18 anni secondo l’anagrafe erano 326.000: il loro rapido aumento è dovuto non soltanto ai ricongiungimenti ma pure alle nascite in Italia, ormai in ragione di 30.000 all’anno; costoro tuttavia, benché nati da uno o ambedue i genitori immigrati, non sono da considerarsi “immigrati” (e nemmeno stranieri, se uno dei genitori è italiano), ma semplicemente minori di seconda generazione. E’ inoltre da tener presente che i regolarizzandi non porteranno, almeno per il primo anno, notevoli cambiamenti nel quadro familiare, perché si tratta di persone singole e adulte, per le quali è pressoché impossibile procedere entro il 2003 e forse anche entro il 2004 al ricongiungimento familiare.Magistero ed altre fonti ecclesiali sulla famiglia migrantePer la pastorale della famiglia immigrata non c’è da partire da zero, esiste infatti anche da parte del Magistero un ricco patrimonio di indicazioni sicure, abbastanza concrete e dettagliate, che forse non sono sufficientemente conosciute. Guardando l’indice dell’Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, edito dalla Migrantes nel 2001, ci si imbatte in oltre una cinquantina di riferimenti a testi pontifici (oltre che al Concilio Vaticano II) dove il tema della famiglia migrante si fa esplicito. Ampia trattazione al tema è riservata nei documenti specifici sulle migrazioni, in particolare nella Exsul Familia di Pio XII e nella Pastoralis migratorum cura con annessa Istruzione di Paolo VI. Inoltre due dei messaggi che Giovanni Paolo II offre annualmente a tutta la Chiesa dal 1985 per la Giornata Mondiale delle Migrazioni, sono dedicati alla famiglia migrante.Anche la Chiesa italiana nei suoi documenti ufficiali sulle migrazioni mette in luce i cruciali problemi della famiglia e sollecita un particolare impegno pastorale, a cominciare dalla Nota pastorale del 1982 “I nuovi poveri tra noi e il nostro impegno” (n. 6), ma soprattutto nel documento del 1990 “Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà” (nn.34-36) e in quello del 1993 “Ero forestiero e mi avete ospitato” (23-24). Più recentemente, nel 2001, Caritas italiana, Ufficio della Pastorale sociale e del Lavoro e Migrantes hanno steso una Guida pratica per l’immigrazione ad uso degli operatori socio-pastorali “Nella Chiesa nessuno è straniero”; anche in questo sussidio ampio spazio viene lasciato alla famiglia e ai problemi connessi.Inoltre nel dicembre del 2000 ancora tre organismi della CEI, l’Ufficio pastorale per la famiglia, la Caritas Italiana e la Migrantes, hanno cercato di fare il punto sulla pastorale della famiglia con un apposito seminario, di cui sono stati redatti gli atti. Attingendo soprattutto dalle conclusioni di questo seminario si può elencare una serie di tematiche che sembrano essere di maggiore rilevanza in fatto di pastorale per la famiglia migrante.N.B. - Si prescinde qui da temi di particolare importanza, come i matrimoni misti o i matrimoni simulati, che data la loro complessità richiederebbero una trattazione a parte.Alcune indicazioni pastorali1. L’impegno della Chiesa va in favore di tutte le famiglie, a prescindere dall’appartenenza religiosa dei coniugi; la Chiesa infatti in forza della sua missione promuove e difende la famiglia come istituzione naturale fondata sul valore del matrimonio secondo i disegni del Creatore. Verso i cristiani ed in particolare verso i cattolici la Chiesa ha però una particolare missione, quella di “evangelizzare” la novità cristiana, sacramentale del matrimonio e della famiglia, chiamata ad essere “Chiesa domestica”. Perciò i consultori matrimoniali, i centri per la vita gestiti dalla Chiesa possono rendere un eccellente servizio per tutti i migranti, per tutte le famiglie, ma non può esaurirsi in questi servizi l’impegno della Chiesa verso le famiglie cristiane che esigono attenzioni specifiche a tutela di questa specificità “cristiana”.2. Si deve prendere atto che alla fragilità dell’istituto familiare, che si riscontra oggi anche fra i nostri cattolici e più ampiamente fra i cittadini italiani, si accompagna negli immigrati un’altra fragilità, quella connessa alla vicenda migratoria, allo sradicamento dal tradizionale contesto socio-culturale e conseguente inserimento in una società occidentale che non solo ha altri riferimenti socio-culturali, ma è pure sulla china di un degrado verso un’impostazione sempre più edonistica e consumistica della vita, svuotata di valori autentici. A questa fragilità “aggiunta” delle famiglie straniere la Chiesa di accoglienza dovrebbe rispondere con una qualificata attenzione, sta però il fatto che in genere la nostra Chiesa locale e in genere la comunità cristiana non è attenta e non si attiva nei confronti della famiglia immigrata; ritiene infatti di aver assolto al suo dovere, offrendo alle famiglie anche immigrate i servizi che sono a disposizione delle famiglie italiane. Inoltre può diventare traumatico e disorientante per gli stranieri constatare che essi dalla cosiddetta “comunità cristiana” hanno poco di cristiano da attingere per la loro vita coniugale e familiare.3. Per un intervento efficace in favore di queste famiglie migranti, in particolare di quelle cattoliche, il responsabile della Chiesa locale ha tre vie da seguire. Anzitutto, come si è accennato, egli prenda atto che nella pastorale ordinaria spesso c’è un deficit di attenzione, di sensibilità e di responsabilità verso queste presenze che, non facendo parte dei “soliti” fedeli, rimangono di fatto emarginate dai programmi e dall’azione pastorale. L’attenzione, la scelta prioritaria per gli ultimi deve valere anche in questo caso. Può trattarsi anche di minime cose, ma di grande significato: il censimento accurato e aggiornato di queste nuove presenze, la visita alla famiglia da poco arrivata, il saluto per strada, il benvenuto all’assemblea domenicale, un ricordo alla preghiera dei fedeli, oltre che la disponibilità all’aiuto concreto là dove è possibile.4. Va fatto il tentativo di agganciare queste famiglie immigrate a qualche gruppo familiare esistente in parrocchia o a qualche singola famiglia esperta nel dare alla propria vita familiare anche una dimensione apostolica e caritativa. Se è bello che “fratello aiuti fratello”, altrettanto lo è che “famiglia aiuti famiglia”; facendosi carico della famiglia immigrata con eleganza, quasi in un rapporto di dare e ricevere, la famiglia italiana sperimenterà un reciproco arricchimento, in analogia a quanto si legge nella Redemptoris missio: “La fede si rafforza donandola” (n. 2). Questo poi è un campo in cui può ampiamente manifestarsi il genio femminile, che troverà le opportune occasioni per portare il discorso, in clima di confidenza e di amicizia, senza atteggiamenti cattedratici, sul sistema di vita in Italia, sui diritti e doveri, su quanto riguarda gestazione e maternità, salute e igiene, economia domestica e alimentazione, cura della casa (specie se ci sono bambini) ed esigenze del lavoro, adempimenti burocratici e accesso ai pubblici servizi, informazioni sulla parrocchia e sulle sue attività.5. Se l’immigrato in genere ha bisogno e diritto a una pastorale specifica, tanto più la famiglia immigrata: una pastorale fatta su misura, oltre che della propria lingua, anche della propria cultura e tradizione, spesso tanto diverse su quanto si riferisce all’istituto familiare. Perciò il parroco, quando soprattutto è consistente il numero di famiglie di una determinata etnia, favorirà il contatto di queste famiglie con l’operatore pastorale etnico, particolarmente se questi è sacerdote. Tuttavia ci possono essere catechisti, religiosi e suore capaci di prendere questi contatti e di svolgere brillantemente questo servizio specifico. Si dovrà però porre attenzione che pastorale specifica e pastorale ordinaria non procedano per due vie parallele, quasi ignorandosi reciprocamente; occorre tra le due realtà un esplicito raccordo, un rapporto di conoscenza, di dialogo, di complementarietà per quanto riguarda, ad esempio, i corsi prematrimoniali.6. I ricongiungimenti familiari vanno sostenuti anche dalla Chiesa e allo scopo è importante: - sollecitare i singoli e le famiglie a definire il più concretamente possibile il proprio progetto migratorio, dal quale molto dipende anche il progetto familiare nonché il significato e l’urgenza del ricongiungimento dei coniugi;- sensibilizzare le parti interessate al grande valore dell’unità familiare, che non va troppo subordinata a calcoli economici e soprattutto al miraggio di un guadagno sempre maggiore anche oltre la soglia dei bisogni primari; si pensi, ad esempio, alla prassi molto comune, di rinviare i bambini in tenera età al paese di origine: talora non si tratta di vera necessità, ma di espediente per un maggiore e più rapido guadagno;- informarsi con rispettosa discrezione sulla reale situazione familiare (separazioni intervenute già al paese di origine o qui in Italia, convivenze, prole avuta fuori del matrimonio, ecc.);- accostarsi con sincera comprensione alle reali e spesso dure difficoltà che si frappongono al sognato obiettivo dell’unificazione della famiglia, difficoltà riguardanti in particolare l’alloggio, il tipo di lavoro, il disbrigo delle pratiche;- prendere atto che le famiglie ricongiunte, sotto vari aspetti spesso continuano a rimanere famiglie “spezzate” ed hanno bisogno di essere sostenute e accompagnate nel loro cammino di integrazione più delle famiglie straniere che si sono formate in Italia.7. Si dovrà fare pure ogni sforzo perché tra le famiglie della medesima etnia vengano promosse forme di associazionismo, grazie al quale la condivisione delle medesime esperienze si possa tradurre in solidarietà e aiuto reciproco anche sul piano della vita cristiana. Tale è ad esempio l’associazione Couple for Christ molto divulgata tra i nostri filippini.8. Vanno potenziate inoltre le iniziative di sostegno per i figli: doposcuola, inserimento nei nostri gruppi giovanili, nelle attività estive, nelle classi di catechismo e negli oratori per facilitare una sana socializzazione. Una particolare sensibilità e preparazione va richiesta agli insegnanti di religione nelle scuole. I minori, se bene integrati possono diventare ottimi mediatori linguistici e culturali all’interno delle loro famiglie. Per la trasmissione della fede è importantissimo fare ricorso al bilinguismo: alla lingua dei genitori, perché è indispensabile il loro apporto e quello della comunità etnica per l’apprendimento della catechesi e l’educazione alla fede; alla lingua italiana, dato che è italiano il contesto in cui questi minori vivono, si formano e sono in rapporto con gli altri. Spinta da questa esigenza di trasmettere i contenuti della fede per via bilingue la Migrantes ha provveduto alla ristampa di un catechismo elementare italo-albanese.9. Nel recente Convegno missionario sulle Migrazioni di Castelgandolfo, promosso concordemente da tre organismi pastorali della CEI il 25-28 febbraio scorso, è emersa forte la richiesta che questa felice esperienza di intesa e collaborazione abbia una positiva ricaduta anche nelle singole regioni e diocesi. Questo naturalmente vale per gli interventi in campo migratorio in genere, ma vale a titolo particolare per le forze ecclesiali più direttamente interessate a promuovere il bene della famiglia.10. Si constata infine che la famiglia riunificata, inserita nel mondo del lavoro, con un proprio alloggio e i figli che frequentano la scuola, entra in una normalità di vita e di rapporto con gli italiani che previene o smorza le tensioni sociali e non lascia spazio per manifestazioni xenofobe.