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Rom e Sinti


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 3/03


ROM E SINTI
L’impegno che ha caratterizzato l’anno 2002 è stato la preparazione e la realizzazione del Convegno Nazionale che si è tenuto nei giorni 14-16 giugno 2002 a Verona presso il centro del CUM. Il tema del Convegno “Quello che lo Spirito dice alle Chiese” è stato scelto con l’intento di offrire l’occasione per la revisione degli ultimi dieci anni di cammino della Chiesa in mezzo al popolo dei Sinti e dei Rom in Italia con una particolare attenzione al rapporto con il nuovo fenomeno delle conversioni di numerosi gruppi familiari al “Vangelismo”, un movimento religioso proveniente dai Pentecostali protestanti.Il Convegno ha dimostrato di essere interessante fin dal momento dell’apertura:- Il Direttore Unpres ha sottolineato una attualità inconfutabile che richiama la Pastorale alle sue responsabilità: “…il clima sociale è andato deteriorandosi e per i Sinti e per i Rom diventa sempre più difficile vivere e crescere sviluppando i propri rapporti sociali. E doveroso allora ricordare che dal nostro impegno non dovrebbero arrivare ai nostri amici solo buone parole, ma possibilmente una solidarietà piena al fatto di “non avere voce”. Ancora: “L’esperienza a partire dalla vita dei Nomadi, le difficoltà derivanti dall’essere diversi dalla maggioranza, ci permettono anche una doverosa parola di critica sul progetto sociale che si va delineando, progetto questo che ha molta incidenza anche sulla vita delle comunità di fede con il conseguente mutamento del significato di vocaboli da esse abitualmente usati come: prossimo, solidarietà, amore, senso morale ecc.”.- S.E. Mons. Stephen Fumio Hamao, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nel suo messaggio ai partecipanti, ha messo in evidenza un altro aspetto proprio dell’incontro: “Assistiamo in questo nostro tempo al preoccupante fenomeno di masse di Zingari che lasciano la nostra Chiesa per aderire alle sette. Quale è la causa di questo fenomeno? Non sarà forse dovuto al fatto che non sono adeguatamente evangelizzati e accolti a pieno titolo?”.- S.E. Mons. Betori, Segretario Generale della CEI, nel suo messaggio al Direttore, indirizzandosi a tutti i partecipanti al Convegno, esprime apprezzamento per il tema scelto e per la scelta pastorale della condivisione di vita da parte degli Operatori pastorali alle vicissitudini stesse dei Rom e dei Sinti. Accenna poi ad una preoccupazione che sottolinea l’importanza che il convegno si renda voce alta all’interno della Chiesa stessa: “Il mio pensiero in questo momento va alle tante comunità cristiane che, pur generose nel donare cose, non raramente sono diffidenti se non addirittura chiuse verso le persone di cui vi occupate nel vostro servizio apostolico. Questa amara esperienza voi la fate spesso. Sin dalla prima riga dell’invito da Lei indirizzato agli Operatori Pastorali ho avvertito il “momento di particolare difficoltà” che sta attraversando il vostro gruppo e la gente con la quale voi camminate e vivete”.- S.E. Mons. Flavio Roberto Carraro, Vescovo di Verona, nel suo saluto ha colto l’occasione di esprimere gratitudine e ammirazione per la fraternità che a Verona vive in un campo sosta dando testimonianza della validità di detta presenza in Diocesi: “Sono contento quando si instaura una relazione vera. L’ho visto presente qui Don Francesco e il suo gruppetto che è ammirevole; per noi, per la nostra diocesi è un insegnamento costante, un richiamo…”.- Mons. Luigi Petris, Direttore Generale della Migrantes, invoca la presenza dello Spirito per i momenti difficili anche se invita a non drammatizzare: “Non state certo vivendo una persecuzione in cui siete inseguiti “da cani”; però è un momento difficile. Del resto non è mai stato facile essere vicini e condividere il proprio impegno con i Rom e con i Sinti: è stato sempre necessario avere la tensione, il coraggio di seguire lo Spirito, non le mode del mondo”.Lo svolgimento del Convegno vero e proprio si è svolto in quattro momenti:1) Le testimonianze: cinque esperienze di relazione con Sinti che sono passati dal cattolicesimo ai “Vangelisti”. Hanno dato la loro testimonianza: la Fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù che vivono in un campo di Bologna; Gabriele Gabrieli, un laico che è impegnato nel campo di Mantova; mons. Mario Riboldi, che con la sua comunità vive nei campi di Milano; don Francesco Cipriani della comunità che vive nel campo di Verona (ha raccontato la sua esperienza di relazione con i Pastori Vangelisti) e Pinuccia Scaramuzzetti, sempre della fraternità di Verona.2) Le relazioni: Don Augusto Barbi, Direttore dello Studio Teologico di Verona e insigne biblista, ci ha aiutato a riflettere su: “La soluzione dei conflitti nelle Comunità Cristiane degli Atti”. Il professor Fabio De Nardi, psichiatra, attento allo studio dei rapporti fra psicoanalisi e religione, ha portato il suo contributo su: “La preghiera e la domanda di salute”, argomento che ha grande implicazione nella spiritualità dei Vangelisti.3) Gruppi di lavoro: momento importante di confronto e di approfondimento del quotidiano.4) Assemblea Generale, dove si è potuto mettere in comune il lavoro svolto e avere risposte sulle controversie da parte dei relatori.Il CCIT riunisce persone di tutta Europa, sotto il patrocinio del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti (in media un centinaio di persone, di venti diversi paesi e di diverse confessioni cristiane), impegnate nella pastorale nel mondo dei Rom e dei Sinti.L’Italia è in prima fila nell’organizzazione e nella animazione di questi incontri annuali, dato che il Direttore Unpres è attualmente anche il Presidente di questa organizzazione e si avvale della collaborazione di sei Operatori pastorali italiani che partecipano costantemente agli incontri.Nonostante la difficoltà della comunicazione per le tante lingue, dopo 27 anni di incontri, i partecipanti giungono all’appuntamento sempre con grande entusiasmo ed interesse trovando modo di scambiare, in grande amicizia, le proprie esperienze anche se profondamente diverse. Il rispetto e l’amicizia sono il fondamento di tutto il lavoro ponendo a confronto anche membri di paesi che non sempre sono altrettanto amici (vedi ad esempio la Serbia e la Croazia).Nel 2002 l’incontro ha avuto luogo a Bruges in Belgio sul tema: “La Festa nella cultura e nella religione Romani”. Per preparare il Convegno e alla ricerca di nuovi contatti con i paesi che ancora non hanno rappresentanze, come ogni anno, in settembre (il Presidente-Italia, 2 segretari-Belgio, un membro del direttivo-Francia) è stato compiuto un viaggio nei Paesi dell’Est Europa.Le relazioni e gli interventi ufficiali del Convegno sono stati tradotti nelle lingue principali. Per il resto della comunicazione ci si arrangia con traduzioni simultanee da parte dei partecipanti che conoscono più lingue.Soprattutto le varie testimonianze vissute e raccontate nei molteplici interventi e i lavori di gruppo hanno rivelato aspetti insospettati di grande valore, arricchito quanti hanno partecipato ed hanno, ancora una volta, convinto tutti che l’iniziativa ha una sua piena validità.Da due anni i Direttori Nazionali (Belgio, Svizzera, Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Italia, per ora solo paesi dell’ovest) hanno preso l’iniziativa di incontrarsi una volta l’anno, per confrontarsi sulle problematiche pastorali e sulle nuove situazioni createsi con la presenza dei nuovi arrivi dai paesi dell’est Europa. Non di meno si sta cercando di aggiornarci sul fenomeno dei “Vangelisti” e dei nostri rapporti nei loro confronti. Quest’ultimo fatto sta diventando, per le conversioni in massa, un problema che pone interrogativi ineludibili.Nel 2002 l’incontro si è tenuto a Parigi nel mese di ottobre. Abbiamo mandato le nostre osservazioni alla Conferenza Episcopale Europea ed abbiamo chiesto che al prossimo incontro possa essere presente un componente della stessa Commissione.L’Unpres, nella persona del Direttore, non solo partecipa attivamente ma è stato anche il promotore di questa iniziativa che si ritiene ormai da tutti indispensabile.Ancora non possiamo chiedere la partecipazione dei Paesi dell’Est perché in quelle nazioni la pastorale degli Zingari è ai primi passi e finanziariamente non sono organizzati. E noi dell’Ovest non abbiamo sufficienti risorse che ci permettano di finanziare i loro viaggi.La speranza è che la CCEE renda ufficiale questa nuova e minimale struttura riconoscendola come indispensabile e ci aiuti anche a trovare i finanziamenti necessari.I dati che possiamo fornire in questo ambito sono assolutamente relativi e vanno presi con molta precauzione e riserva. Fino a qualche anno fa, anni ‘80, si parlava di questa minoranza come composta da 100.000 unità sull’intero territorio nazionale. Con l’avvento della migrazione dai paesi balcanici, causa la guerra, si è calcolato, sempre approssimativamente, di un aumento fino a 130.000 persone complessivamente. A questa recente migrazione si è aggiunto negli ultimissimi anni un arrivo di nomadi da tutti i Paesi dell’Est Europa, in particolare dalla Romania. Non è mai stato fatto un serio censimento e del resto sarebbe impossibile a farsi in quanto uno non ha l’obbligo di dichiararsi appartenente alla etnia romani.Procedendo con un po’ di logica e un po’ di sensazione sulla densità delle presenze si può calcolare un numero complessivo in Italia di 140/150.000 tra Sinti e Rom. I Sinti sono circa la metà delle presenze. Il numero resta lo stesso fatta eccezione per le piccole variazioni dovute all’andamento demografico. Il medesimo discorso vale per i Rom, già presenti sul territorio soprattutto nel sud d’Italia, ai quali si sono uniti i gruppi della stessa etnia delle recenti migrazioni.Rimane valida la divisione tradizionale in due grandi gruppi: Sinti e Rom. A questi va aggiunto un terzo gruppo che, pur essendo fondamentalmente nomade, non si identifica con i due precedenti e sono i “Camminanti” divisi a loro volta in due sottogruppi: la Fraia o Ombrellai e gli Arrotini. E bene anche sapere che mentre i sottogruppi dei Sinti rimangono pressoché invariati, sono al contrario di molto aumentati i sottogruppi dei Rom in quanto, tra questi, alle famiglie tradizionali si sono aggiunti nuovi sottogruppi sempre in seguito alle ultime migrazioni.Il fenomeno migratorio dei Rom e Sinti è tuttora in corso e si può prevedere che con l’allargamento della comunità europea prenderà proporzioni maggiori e significative anche sul piano numerico. Esso esigerà risposte che implicano non solo uno Stato o una Chiesa nazionale, ma la stessa comunità dell’Unione Europea e la Conferenza Episcopale Europea. Al riguardo i Direttori delle pastorali nazionali stanno già compiendo i primi passi per un coordinamento a livello europeo.Premettiamo che il substrato, l’intimo, l’immaginario religioso è pressoché identico per tutto il popolo zingaro. L’adesione ad una comunità religiosa organizzata ha subìto negli ultimi anni una radicale trasformazione. Si è passati da una presenza alla Chiesa Cattolica quasi del cento per cento fino agli anni ‘70, ad una presenza di moltissime espressioni di fede negli ultimi anni. I cattolici rimangono ancora, per il momento, la maggioranza.Seguono i “Vangelisti” (gruppo che ha origine dai pentecostali protestanti) che da quindici anni a questa parte hanno un buon seguito in ogni gruppo e in ogni famiglia. Questi costruiscono, all’interno dei campi, luoghi di culto. La loro spiritualità, fondata sulle guarigioni e sui miracoli, incontra facile consenso tra i “Nomadi.” Se poi aggiungiamo, ed è la prima volta a nostra conoscenza, che vengono incaricati Pastori di etnia Rom - senza che abbiano compiuto metamorfosi alcuna se non la “conversione” alla Bibbia - ci possiamo dare ragione della progressione del fenomeno.Il terzo posto, per consistenza numerica, lo occupano i gruppi di religione mussulmana (Horahane), fra i quali vi sono alcune comunità convinte e praticanti con luoghi adibiti alla preghiera situati all’interno dei campi di sosta. Vi sono poi significative presenze di ortodossi e meno significative presenze di credo diverso che si rifanno al cristianesimo. Non esistono per nulla altre religioni. Tuttavia se è difficile avere numeri precisi per quanto riguarda il censimento delle persone, è impossibile conoscere quelli dell’appartenenza religiosa.Gli operatori pastorali nell’Unpres vanno, per così dire, dall’interno più interno (cioè dai Rom e Sinti stessi e le comunità che condividono la loro vita), all’esterno più esterno come coloro che visitano per i più svariati motivi questi gruppi (parroci, Caritas, S. Vincenzo, ecc.). Questi ultimi sono fuori dalla diretta influenza dell’Unpres, che viene consultata solo saltuariamente.Nel 2002 si contavano in Italia 11 (due in meno dell’anno scorso) punti di riferimento e di condivisione (comunità o singoli che in nome della fede e con mandato del Vescovo vivono all’interno del mondo dei “Nomadi” condividendo la stessa vita): due comunità di religiose di diversi istituti, sei sacerdoti diocesani, tre religiosi (due dei quali obbligati a lasciare la congregazione per aver scelto gli Zingari), sei laici/e. Queste persone costituiscono il nucleo portante e maggiormente stabile che ha permesso una evoluzione ed un cammino pastorale in questo settore particolare della mobilità umana.In stretto contatto con questo gruppo operano da 100 a 150 persone (sacerdoti, religiose, laici) molto impegnate nell’ambito pastorale. Sono attenti collaboratori dell’Ufficio Nazionale (Unpres) e partecipano attivamente alle iniziative di formazione e di ricerca di strade pastoralmente appropriate a questa minoranza. Il loro rapporto con i Sinti e i Rom è generalmente buono e di fiducia reciproca.Il terzo gruppo di persone, difficilmente qualificabile sia per la consistenza che per la fedeltà all’impegno (vi è un ricambio indescrivibile), sono quanti si muovono perché colpiti dallo stato di necessità degli Zingari stessi, ma che normalmente si scoraggiano presto e abbandonano un impegno stabile.Dobbiamo anche constatare che negli ultimi tempi questo ambito pastorale sta attraversando un grave e difficile momento su tutto il territorio nazionale, più marcatamente al centro e al sud. Questo andrebbe studiato e analizzato bene perché forse è rivelatore di un clima più generale nella realtà ecclesiale. Come sempre i “Nomadi” sono cartina di tornasole della realtà sociale ed ecclesiale che li circonda.Il Direttore Nazionale è affiancato da un Consiglio Pastorale composto da 8 membri rappresentanti le varie realtà ministeriali, etniche e territoriali di base. Detto Consiglio è “il motore” della dinamica pastorale (attualmente è in attesa di essere rivisto il meccanismo di elezione e di rappresentatività per eleggere un nuovo Consiglio). Il Direttore nomina degli incaricati di zona che collaborano nell’animare la stessa secondo le direttive del Consiglio pastorale.L’Italia attualmente è stata suddivisa in 7 zone (Sud, Centro, Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, Toscana). Altre sono in via di formazione. Nota dolente: Mancano all’appello, nonostante gli sforzi, la Sicilia e la Sardegna mentre la zona Sud è in attesa di riattivarsi.Viene organizzato un Convegno Nazionale ogni due anni attorno ad un tema che risponda all’attualità e nello stesso tempo permetta una buona convivenza e scambio di esperienze.Nel 2000 il tema ha riguardato il “Pregiudizio Positivo”, mentre nel 2002 come detto sopra, “Rivisitazione degli ultimi 10 anni della nostra pastorale” e questo a partire da un fatto concreto: la compresenza di comunità cattoliche e “Vangeliste” nei campi sosta.Da lungo tempo si svolgono regolarmente incontri di zona: ogni anno tre al Sud, tre al Centro di una giornata e sei al Nord di due giorni ciascuno. I temi vengono scelti dagli operatori pastorali stessi a secondo delle esigenze.Vanno inoltre ricordati i vari incontri che si svolgono nelle diocesi (Lucca, Torino, Reggio Emilia, Udine, ecc.) cui, quando è possibile partecipa anche il Direttore Nazionale.Il Direttore Nazionale, se invitato, è sempre disponibile a partecipare a corsi di formazione organizzati da altri enti e, per quanto possibile, si rende presente dove le diocesi o le associazioni richiedano di illustrare l’esperienza pastorale dell’Unpres.Ogni pastorale ha la sua specificità. L’Unpres in questo momento trova difficoltà a mettere in atto qualche strumento efficace per le sue linee di impegno pastorale. Gli incontri che già facciamo sono totalmente inadeguati, sia perché non ritenuti indispensabili dalle diocesi e dai loro operatori, sia per la precarietà degli operatori stessi (parliamo in particolare di coloro che, e sono la maggioranza, si rivolgono a questo popolo a tempo parziale, e non sono organicamente collegati e in modo specifico) che cambiano ogni anno nella quasi totalità. E questo un gravissimo problema per il futuro stesso della presenza di Chiesa fra questa minoranza. Una proposta valida potrebbe essere quella di una serie di visite ai seminari. Se si trovasse il modo di rendere possibile ed ufficiale questo tour, con un tempo di riflessione e di preghiera ad hoc, il Direttore Nazionale ed altri operatori del settore si renderanno disponibili.“La Chiesa è ricca”, “La Chiesa può”, “Uno dei suoi compiti è aiutare i poveri”. Sorretti da queste convinzioni, Rom e Sinti accostano abitualmente preti e suore o altri organismi di carattere ecclesiale per ricevere un’assistenza economica finalizzata alla soluzione di un bisogno o anche una semplice elemosina. Se certe condizioni possono innescare giustamente meccanismi delicati di analisi e di diffidenza reciproca, dubbi sulla opportunità e veridicità, la loro “richiesta” è spesso un mezzo semplice per un incontro, per uno scambio di confidenze, per interrogativi esistenziali sulla vita (la morte, Dio…); almeno così dovrebbe essere!Alla Chiesa si attribuisce il potere di mediare il rapporto dell’uomo con Dio. La nascita, la morte, per un popolo che ha il suo valore più grande nella vita, devono essere celebrate nella loro grandezza davanti a Dio e, ancora prima di conoscere il valore del sacramento, Rom e Sinti si rivolgono al prete perché venga amministrato il battesimo così come venga celebrato il funerale.Alla Chiesa viene anche attribuito un posto importante nella società contemporanea. Quando i Rom, e ancor più i Sinti, compiono lo sforzo di inserirsi in una comunità sedentaria, o ritengono di avere uguale dignità della comunità cristiana sedentaria, si accostano all’Eucarestia, ricevono il sacramento della iniziazione cristiana e a volte celebrano il matrimonio religioso.In tutte queste circostanze, come anche a volte per vedere tutelati i loro diritti, si rivolgono alla parrocchia, a quella su cui sostano in quel momento (di cui secondo il diritto canonico ne fanno parte), oppure a quella in cui si sentono più benvoluti o a cui la loro famiglia tradizionalmente si rivolge.L’ingresso nella comunità parrocchiale non è facile. Questo lontano che si fa vicino non è accolto con gioia e sono molti i preti che dicono: “La mia gente non li vuole”, oppure: “Li abbiamo accolti ma non sono stati riconoscenti”, perché la partecipazione per loro non era un diritto, ma un favore che andava comperato con una diligente “sottomissione”.Anche l’amministrazione dei sacramenti non viene sempre concessa volentieri, per diversi motivi: non conoscenza del passato, ignoranza sulle modalità di approccio e quindi disagio; alla richiesta di un Battesimo, le risposte possono essere: “ma sono cristiani?…siamo sicuri che non siano già stati battezzati?… non tocca a me, perché hanno scelto questa chiesa?…che cosa vogliono?…”.L’elemosina, pur non appartenendo alla cultura contemporanea occidentale e non avendo in essa una sua dignità, ha una sua tradizione nella Chiesa e nella Bibbia così come ha un suo posto e una sua dignità nelle culture di altri popoli e di questo popolo. E un punto di incontro, uno sguardo di benevolenza e segno di gratuità fra la Chiesa, in questo caso vissuta ancora come esterna, e la gente Rom e Sinta.Accade però che l’elemosina anziché motivo di incontro diventi motivo di scontro, perché non ritenuta un mezzo idoneo per corrispondere a dei bisogni, perché si vuole indagare sull’utilizzazione del piccolo obolo, perché viene giudicata espressione di pigrizia, di fannullaggine, ecc. La Chiesa dell’ “obolo al forestiero, all’orfano, alla vedova”, del “non sappia la tua destra ciò che fa la tua sinistra” diventa un’organizzazione con registri e libri contabili, e si dà un obolo per mettere una opzione sull’organizzazione di una vita.Il Vangelo si incarna in ogni cultura e quindi trova la sua attuazione anche tra i Rom e i Sinti. Condividendo la vita ci siamo resi conto dell’importanza della stessa come mezzo prioritario di comunicazione e di evangelizzazione. A partire da questa esperienza di condivisione è divenuta più chiara e illuminante la scelta stessa di Dio: il Verbo si fece carne e la comunione con Dio si realizzò attraverso la nascita, la morte, la gioia, il dolore, la tenerezza, il riposo… La nostra esperienza, per dono dello Spirito, ci ha condotto per queste strade.“Quello stesso Cristo che mi ha mandato ad annunciarlo in mezzo agli zingari, mi dà appuntamento in mezzo a loro per comunicarsi a me in loro in una prospettiva nuova” (M. Quatra). Questa minoranza, così poco apprezzata, diviene “luogo teologico”, soggetto di evangelizzazione. Si ha la fortuna di vedere cose che dall’esterno non si notano e di fare esperienze di umanità che nel nostro mondo teorico non avremmo mai potuto fare. I personaggi, gli episodi del Vangelo sono lì, incarnati in un naturale svolgimento, in una semplicità e concretezza sconcertante, sembra di vederli e toccarli, basta lasciarsi coinvolgere.Essere lì - vivere con loro - costituisce un punto di osservazione privilegiato in quanto raro e diverso ed offre una unità di misura nuova per leggere la politica e la storia e l’esperienza di una vita di fede. Questo fatto permette agli operatori, da “mandati per annunciare”, per “soccorrere” e per “aiutare” di ricevere “una novità” che diventa il contributo, il dono che essi possono e devono consegnare alla comunità dalla quale sono partiti.Per le istituzioni, per esempio, contano sempre meno i loro diritti e le loro esigenze e sempre di più la loro capacità di creare disturbo. Un problema cruciale al quale spesso dobbiamo far fronte nei discorsi dei politici e non solo, è l’affermare che: “sono persone inutili” che “non danno nessun contributo all’efficienza della nostra società”. E chiara la filosofia politica che sostiene questi discorsi.Nella loro caparbietà a non lasciarsi assimilare, Rom e Sinti sono diventati un significativo punto di riferimento nel cammino antiglobalizzazione e una bandiera per gruppi, anche politici, che di loro non si erano mai interessati, non li avevano ritenuti politicamente significativi.Potranno diventare una bandiera anche per la Chiesa? E quando ciò avverrà? Troppo spesso sono visti come “margine”, oggetto di carità. Infatti si dice comunemente: “il problema degli zingari”. E difficile far passare il concetto che essi fanno parte della pastorale “ordinaria” delle Chiese locali. Quand’anche sono fermi sul territorio di una parrocchia per tanti anni, la stessa non li considera mai comprensivi del proprio progetto pastorale. Gli stessi operatori pastorali dei nomadi sono sempre considerati un po’ “fuori dalla norma”.Gli Istituti religiosi faticano non poco ad avere dei mandati ad hoc e a considerarli nella prospettiva del loro carisma. Alcuni Istituti missionari hanno addotto la scusa che non si tratta di “Missione ad extra”. Eppure l’Unpres è lì come Chiesa, alla stessa stregua di altri infiniti luoghi di missione.E fondamentale muoversi con rispetto che significa: aspettare, saper tacere, ascoltare, imparare, saper ricevere, ecc. I nostri progetti, che pur con tutte le buone intenzioni potrebbero prevaricare gli spazi che la persona era disposta o poteva nelle sue possibilità concederci, devono dare la precedenza alla concreta esistenza di queste persone. Non è certo questa una nostra scoperta, questo criterio ha la sua validità in qualsiasi ambito, ma qui è peculiare perché questo gruppo non ha mai avuto la considerazione di ambiente “culturalmente diverso” con la sua rispettiva dignità. Come marginalità o devianza non gli è mai spettato, a tutt’oggi, questo rispetto.La vita è il luogo dello scambio: la sensibilità e l’intuizione personale indicano le scelte affinché la presenza si radichi profondamente nell’ambiente in cui siamo ospiti. La normalità e la continuità della presenza modificano l’atteggiamento e la sensibilità delle comunità che ci ospitano. E a questo clima e a questi fondamentali rapporti che chiediamo di fare riferimento anche a quella parte di operatori che, pur non condividendo la vita a tempo pieno, si rivolgono a questa minoranza con sincero spirito missionario e di amicizia.La globalizzazione, il neo liberismo spingono la società verso atteggiamenti che, portati all’eccesso, divengono deleteri soprattutto per le fasce più deboli:a) L’ordine e la sicurezza misurati non sulla società in tutte le sue componenti ma solo in alcune fasce determinate di cittadini.b) La sensibilità generale della società che punta più a soddisfare uno spirito di “vendetta” contro gli inevitabili errori specialmente delle fasce più deboli a scapito di una ricerca di soluzioni di cause e soprattutto di uno spirito di “misericordia” (v. ad esempio i vari commenti sulla legge Gozzini).c) La priorità dell’utile e della produzione sull’essere (“tornate all’essere e non al fare”, Betori). Se sentiamo e viviamo questo clima a partire dagli “Zingari” non possiamo non viverlo come una disumanizzazione della società.La anomalia più grande però è il silenzio che circonda questa china che rischia di diventare baratro. Inutile elencare gli abusi di potere e i soprusi commessi a spese della minoranza in oggetto. Gli interventi a difesa sono pochissimi e isolati, senza eco né sulla stampa né attraverso interventi di solidarietà a chi si è esposto. Si ha l’impressione che sono scomparse le persone che si facevano “voce di chi non ha voce”. Questo silenzio è assordante e dà la sensazione a chi è debole di essere rimasto orfano.