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Anticipazioni del 'Dossier Statistico Immigrazione 2003'
Il punto sulla regolarizzazione

Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/03


ANTICIPAZIONI DEL ´DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2003´Il punto sulla regolarizzazione
di Bruno Mioli
La dodicesima edizione del ´Dossier Statistico Immigrazione´ è stata presentata nell’ottobre scorso in un elegante volume che raggiunge quasi le cinquecento pagine. Il Dossier da anni è ormai diventato di interesse internazionale perché riserva sempre un qualche capitolo al quadro europeo e mondiale dei movimenti migratori e per l’ampia risonanza che riscuote nei mezzi di informazione anche al di fuori dei nostri confini. L’ultimo dossier del 2002 rafforza questa dimensione internazionale per il fatto che ne è stata fatta una sintesi in quattordici lingue e se ne sta ora curando una originale riedizione in inglese, dal titolo “Immigration in Italy - Statistical Report”, nel quadro del Progetto Equal “L’immagine dell’immigrato tra mass media, società e mondo del lavoro”. In base a questo progressivo sviluppo del Dossier in questi dodici anni di vita, sarebbe legittimo attendersi che la tredicesima edizione faccia un ulteriore passo avanti. Lo si spera, ma le prospettive non sono rosee, non si sa infatti se si potrà attingere alle fonti statistiche primarie, a cominciare dal Ministero dell’Interno, come negli anni precedenti. Non si vuol essere uccelli di malo augurio, ma sta il fatto che la tradizionale conferenza stampa di febbraio, in cui si anticipava una sintesi dei dati che sarebbero stati forniti nell’ottobre successivo, quest’anno è slittata al 10 marzo e non per fornire gli attesi anticipi, ma per fare il punto sulla regolarizzazione in corso.Stima del numero globale degli stranieri e dei lavoratori in particolareSe tuttavia non si hanno dati ufficiali, si può almeno avanzare una stima della presenza straniera in Italia, ed è importante farlo anche per ridimensionare, anzi per mettere un forte interrogativo su un calcolo fatto dall’INPS e che ha tutti i carismi per sembrare inverosimile. Infatti, secondo il Comitato di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS, se si incrociano i dati del Ministero dell’Interno, dell’Inps e dell’Inail, i lavoratori immigrati con permesso di soggiorno sarebbero attualmente 1.877.180; aggiungendo i 700.000 in attesa di regolarizzazione si arriverebbe ai due milioni e mezzo circa di lavoratori extracomunitari, ai quali poi bisognerebbe aggiungere i familiari e le persone presenti ad altro titolo. Tenuto conto che i titolari di permesso di soggiorno per lavoro sono il 59% di tutta la popolazione immigrata, se i lavoratori stranieri fossero veramente 1.900.000, la popolazione straniera nel suo complesso salirebbe a 3.180.000 e, aggiungendo le persone da regolarizzare, si arriverebbe a sfiorare i 4 milioni: nel giro di un anno si sarebbe arrivati a più del raddoppio.In realtà il Ministero dell’Interno, sul cui archivio è basato anche quello dell’INPS, al 1° gennaio 2002 ha conteggiato 1.362.630 titolari di permesso di soggiorno a qualsiasi titolo, dei quali 800.680 per motivi di lavoro e 393.865 per motivi di famiglia. Possiamo ipotizzare che al massimo 200.000 tra i familiari prima menzionati siano stati regolarmente assunti, come peraltro consente la vigente normativa, e così arriviamo a 1.000.000 di lavoratori immigrati. Possiamo anche calcolare che, tenuto conto delle duplicazioni di istanze di regolarizzazione per lo stesso lavoratore domestico occupato presso diverse famiglie, i “regolarizzandi” siano non più di 600.000. Pertanto, la forza lavoro immigrata può essere realisticamente stimata pari a 1.600.000 unità. è risaputo, poi, che oltre ai lavoratori, vi sono i coniugi, i figli, i parenti le altre persone presenti a titoli diversi da quello lavorativo o familiare. Neppure bisogna dimenticare che nel corso del 2002 sono entrati regolarmente altri immigrati per ricongiungimento familiare o per altri motivi, come anche bisogna tenere conto dei figli degli immigrati nati in Italia. Al termine di questo calcolo, la presenza straniera complessiva in Italia può essere stimata pari a 2.395.000 persone, includendo non solo i lavoratori ma tutti i soggiornanti regolari e le persone che aspettano di essere regolarizzate, con una incidenza del 4% sulla popolazione residente.Una regolarizzazione/sanatoria al di là di ogni previsioneLe operazioni chiuse l’11 novembre 2002 hanno registrato 702.000 domande di regolarizzazione. Il risultato è andato ben oltre le ipotesi degli studiosi: al massimo si ipotizzava un numero dimezzato, invece sono stati coinvolti tanti immigrati quanti se ne contarono nelle tre regolarizzazioni degli anni ‘90 (1990, 1995 e 1998).Per spiegare questo inaspettato aumento degli irregolari si è disputato se l’afflusso sia avvenuto durante il precedente governo del centro-sinistra, oppure sia continuato e si sia ingrossato nella fase di dibattito e di approvazione della legge “Bossi-Fini” e delle norme per la regolarizzazione. Comunque sia stato, non va dimenticato che la pressione migratoria internazionale va al di là degli schieramenti partitici e che le vie della irregolarità vengono più battute quando è meno consistente l’inserimento stabile di lavoratori: nel 2002 i 20.000 ingressi per chiamata nominativa sono stati programmati solo alla fine dell’anno e sono slittati al 2003.In ogni caso, una presenza sommersa e giustificata da motivi di lavoro meritava di essere fatta emergere: su questo punto si è verificato l’assenso di un vasto schieramento trasversale. Un’altra opportuna decisione del Governo è consistita nell’incaricare gli uffici postali dell’accettazione delle domande di regolarizzazione, evitando così il ripetersi di file interminabili e poco dignitose. Sui contenuti giuridici della regolarizzazione è stato, invece, notevole il contrasto. Si è lamentato il mancato riconoscimento al lavoratore di un ruolo attivo per l’ufficializzazione di un rapporto nel quale è parte sostanziale. Fatta eccezione per una tardiva ma quanto mai opportuna circolare, emanata per contrastare i datori di lavoro renitenti e assimilare negli effetti l’apertura di una vertenza giudiziale alla presentazione di una istanza di regolarizzazione, il fatto che l’iniziativa sia stata demandata per intero ai datori di lavoro non poteva non alimentare una catena di sfruttamenti, per cui spesso i lavoratori non solo hanno dovuto pagare il contributo posto a carico dei datori di lavoro ma hanno dovuto anche sborsare loro delle consistenti tangenti per convincerli ad avviare la pratica. A Roma tra i lavoratori dell’edilizia sono stati ben nove su dieci quelli costretti a pagare, come è risultato da un’indagine sindacale.Attualmente, un aspetto di grande importanza è la celerità con cui potranno essere definite le numerose domande presentate. Ciò è del tutto comprensibile perché, prima che venga rilasciato il contratto di soggiorno, l’immigrato interessato non solo è incerto sulla propria sorte ma è costretto ad una sorta di domicilio coatto in Italia, privato della possibilità di fare temporaneamente ritorno nel proprio paese e di occuparsi delle proprie vicende personali e familiari.Attese estenuanti per la regolarizzazioneAi primi inconvenienti di natura informatica, insorti per la difficoltà di lettura ottica di domande compilate a mano e talvolta anche in caratteri non latini, sono seguiti i ritardi in fase di registrazione e di smistamento delle pratiche e ciò ha provocato l’andamento lento del loro esame presso gli Uffici territoriali del Governo. Si è cercato di porre rimedio agli inconvenienti sia attraverso il perfezionamento del sistema di lettura ottica che con l’assegnazione di 1.200 lavoratori a tempo determinato, di cui 900 al Ministero dell’Interno e 350 al Ministero del Lavoro, utilizzando parte delle quote pagate dai datori di lavoro al momento di presentare le istanze di regolarizzazione (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 31.1.2003).Non si è tuttavia ancora attenuato il timore di tempi eccessivamente lunghi e praticamente non passa giorno senza che i sindacati o altre organizzazioni sociali richiamino l’attenzione sugli inconvenienti della situazione attuale, che è auspicabile riuscire a recuperare anche per ridare agli interessati la possibilità di recarsi in patria per motivi urgenti. Inoltre, così come alla morte del datore di lavoro che presentato la domanda di regolarizzazione è possibile ottenere un permesso di soggiorno di 6 mesi per la ricerca di lavoro e all’occorrenza stipulare subito il contratto di lavoro, così sono auspicabili procedure analoghe in caso di licenziamento o di dimissioni, senza rimandare la possibilità di iniziare il nuovo lavoro alla data di convocazione presso lo sportello unificato.La regolarizzazione, un problema di tutto il Paese e non solo del MeridioneE troppo presto per potere avere le disaggregazioni sulla regolarizzazione in corso, in particolare per quanto riguarda l’incrocio tra i paesi di provenienza e il sesso. Nell’attesa, i dati già disponibili possono essere d’aiuto per inquadrare meglio il rapporto tra il mercato occupazionale e la forza lavoro immigrata.Lasciando fuori dal conteggio i lavoratori provenienti dall’UE o da altri paesi a sviluppo avanzato (circa 100.000), i lavoratori immigrati che giungono dai paesi a forte pressione migratoria sono raddoppiati a seguito della regolarizzazione: ai 706.329 registrati a fine 2001 si aggiungono le 702.156 istanze di regolarizzazione, che coinvolgono in maniera disuguale le diverse aree del paese.Il rapporto tra istanze di regolarizzazione e lavoratori soggiornanti è un indice molto concreto della pressione migratoria, che risulta così ripartita: per il 52,2% è concentrata nel Nord, per il 29,0% nel Centro e per il 18,8% nel Sud. Non è, quindi, esatto affermare che l’irregolarità è una faccenda che riguarda in prevalenza il Meridione, al quale spetta solo una quota pari a un quinto del totale delle domande. Si tratta in realtà di un problema nazionale, che richiede un’adeguata calibratura della programmazione dei flussi.In conclusione, la situazione attuale è caratterizzata da inaccettabili proporzioni del sommerso, che risultano consistenti anche là dove le cose vanno meglio, per cui si può parlare di un problema generalizzato: il cospicuo numero delle persone da regolarizzare assume un significato di maggior rilievo per il fatto che è decorso un periodo relativamente breve dalla precedente regolarizzazione (1998). Pertanto, si può fondatamente ritenere che allo stato attuale la programmazione dei flussi per inserimento stabile (esclusi, quindi, i lavoratori stagionali) non sembra in grado di assicurare risultati soddisfacenti. Al di là delle appartenenze partitiche, questo induce a riflettere sulle necessità del mercato occupazionale italiano. Non meno importante è la riflessione sui criteri più adeguati per la determinazione delle quote e sui meccanismi di collocamento: una recente indicazione del Parlamento Europeo ha invitato la Commissione a prendere in considerazione la possibilità di concedere un permesso di soggiorno per ricerca lavoro della durata di 6 mesi, come si faceva in Italia fino al 2001 attraverso la sponsorizzazione.Semplificando, si può dire che far venire più lavoratori in modo regolare significa non essere costretti a regolarizzarne tanti a posteriori. La programmazione dei flussi garantisce dignità e favorisce l’integrazione, la regolarizzazione è un intervento emergenziale: con la prima si realizza una vera politica migratoria, con la seconda si riparano solo dei danni. I ragionamenti motivati dei demografi, degli esperti del mondo del lavoro e degli imprenditori su questo aspetto non dovrebbero lasciare dubbi circa la strada da intraprendere con maggiore decisione.I punti critici della situazione attualeAlla luce dei dati i punti critici della situazione attuale possono essere così riassunti:- la soppressione della venuta sotto sponsorizzazione per la ricerca del posti di lavoro che, nonostante riguardasse solo 15.000 persone l’anno, esercitava un forte incentivo alla legalità delle procedure sia tra gli italiani che tra gli immigrati, offrendo loro un meccanismo concreto per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (e pertanto sarebbe quanto mai opportuna una sua reintroduzione);- i requisiti reddituali troppo alti per far venire un lavoratore o una lavoratrice domestica tramite chiamata nominativa, spesso proibitivi per le famiglie interessate; - il mancato potenziamento delle quote d’ingresso ed una loro soddisfacente ripartizione a livello territoriale; - la disattenzione nei confronti dell’ipotesi di defiscalizzare i contributi previdenziali a carico dei lavoratori assunti da persone sole o da famiglie con basso reddito.Il crescente invecchiamento della popolazione e l’aumento del bisogno di assistenza impongono di ritornare su questi aspetti e sottolineano la necessità di un ripensamento nel merito di decisioni che non sono risultate funzionali.Considerazioni conclusiveLa riflessione più immediata e spontanea è che dobbiamo abituarci a convivere con l’immigrazione. Infatti, concluse le operazione di regolarizzazione, l’Italia si affiancherà alla Gran Bretagna o addirittura la supererà, diventando nell’Unione Europea il terzo Stato membro per numero di immigrati.La tendenza demografica negativa, che ha portato l’ONU a prevedere a metà secolo la diminuzione di almeno 10 milioni di persone nella popolazione italiana, il fabbisogno delle imprese e la necessità di lavoratori per l’assistenza familiare lasciano intendere che il numero degli immigrati continuerà ad aumentare.Bisogna abituarsi a questo aumento, reso necessario da ragioni demografiche e occupazionali, senza lasciarsi prendere dal panico.Può essere d’aiuto a tal fine pensare che il futuro che ci può attendere è già presente in altri paesi: gli immigrati hanno un’incidenza del 10% negli Stati Uniti, del 16% in Canada e del 20% in Svizzera e in Canada. Si tratta di paesi che hanno programmato il loro futuro, tenendo conto della necessità strutturale dell’immigrazione, e hanno mostrato nel concreto che con l’immigrazione si può convivere. Il confronto può essere condotto anche per vari Stati dell’Unione Europea, a partire dalla Germania.Il vero problema, quindi, non è il numero degli immigrati, quando questi sono necessari per i bisogni della società, bensì la mancanza di politiche che riescano ad essere inclusive nei confronti delle persone delle quali si ha bisogno. Va, perciò, sostenuto e potenziato l’impegno per una adeguata programmazione dei flussi, anche in collaborazione con i paesi di origine, e per l’integrazione socio-culturale degli immigrati. Questi obiettivi non devono essere ritenuti residuali rispetto alle preoccupazioni di ordine pubblico e al comprensibile contenimento dei flussi irregolari: in caso contrario la politica migratoria perde due dei suoi fondamentali cardini ed è condannata a risultare inefficace.L’auspicio è che si arrivi ad una realistica presa in considerazione dei termini della questione: bisogni delle famiglie e delle aziende, conseguente programmazione dei flussi, meccanismi di collocamento più agibili, misure di sostegno dell’integrazione e un minimo di solidarietà a livello globale nei confronti di paesi dallo sviluppo debole e dalle esigenze occupazionali forti; naturalmente questo impegno va congiunto con la dovuta severità nei confronti di chi non rispetta le regole.I cittadini, adeguatamente informati sugli esatti termini del problema, capirebbero le scelte e si eviterebbe così il rischio di una xenofobia incosciente, pensando a una invasione quando invece si tratta di flussi funzionali alle nostre necessità.