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La pastorale di comunione per fortificare la cattolicità


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/03


LA PASTORALE DI COMUNIONE PER FORTIFICARE LA CATTOLICITÀ
di Domenico Locatelli
Gli italiani all’estero sono una piccola parte del grande fenomeno migratorio che sollecita il mondo intero. Tutte le chiese locali, al pari delle società civili, sono stimolate dalla presenza migratoria e sono continuamente provocate a rimettersi in questione. Non si può più parlare di pastorale “standard”, tradizionale, anche se il ripetere dona l’impressione di solidità conosciuta per riti, insegnamenti e gestioni ormai familiari e cristallizzate da abitudini.Al contrario, oggi più che un tempo, l’azione di attenzione e di vicinanza alle persone impone agli operatori pastorali una sensibilità ulteriore, perché niente è come prima. Le culture nuove che si mescolano con le culture delle popolazioni autoctone richiedono modalità d’approccio e capacità d’analisi complesse e critiche.Eppure, sul piano pastorale, gli operatori pastorali d’emigrazione soffrono terribilmente per il disinteresse loro riservato e per la fatica che si prova nell’avvicinare i popoli degli immigrati, italiani emigrati all’estero compresi. Il terribile e superficiale preconcetto “ormai sono integrati”, oppure “ prima si integrano e meglio è” sembra giustificare la lentezza o peggio l’insensibilità di molte diocesi d’Europa e del mondo che hanno rimosso il problema dei propri parrocchiani espatriati, o riducono il fenomeno migratorio a problema da “assistere” come transitorio e comunque di marginalità. Eppure molte sono le opportunità offerte da una pastorale attenta alle migrazioni.L’Europa: laboratorio di pastoraleIn Europa i 18 milioni di immigrati pongono esigenze pastorali di rilievo che interpellano le Chiese di accoglienza come le Chiese di partenza.L’impegno pastorale a cui si è confrontati non è certamente lo stesso di un secolo fa, dove l’assistenza religiosa e la condivisone di situazioni sociali precarie erano paragonabili all’emergenza che le parrocchie e le caritas parrocchiali stanno vivendo oggi in Italia con gli immigrati. Oggi in Europa si respira la sensibilità della chiesa locale che si fa sempre più attenta nel gestire la presenza dei cattolici di altra lingua madre. Si è consapevoli che il fenomeno migratorio è strutturale e non certo transitorio, che la convivenza pacifica si può trasformare in incontro e dialogo costruttivo, che la pastorale non può più essere univoca o nazionale ma piuttosto colorata, multietnica e pluriculturale, diciamo pure “cattolica”, e che gli operatori pastorali saranno più efficaci se sono prossimi e buoni conoscitori della cultura propria ad ogni comunità.Italia: il bello di essere terra di migrantiIl convegno di Castelgandolfo (25-28 febbraio 2003) ha messo di nuovo in luce quanto lavoro pastorale siano chiamate a intraprendere le chiese locali. Le comunità di immigrati, cattoliche e non, non possono lasciarci insensibili. è bene lasciarci stimolare perché la pastorale ordinaria diventi missionaria, cioè aperta all’annuncio di Gesù Cristo a coloro che ci raggiungono ricercando condizioni di vita più dignitose ed umane. Gli immigrati diventano loro stessi missionari perché costringono i cristiani cattolici italiani, spesso appena vivi per tradizione, a confrontarsi con la coerenza alla propria fede che richiede di essere tradotta in scelte sociali, politiche, culturali e civili tali, da lasciar trasparire i valori base che fanno riferimento alla buona notizia dell’amore per gli ultimi.E la stessa provocazione che gli italiani insieme a portoghesi, spagnoli, croati, vietnamiti, turchi e di molte altre etnie e culture, pongono oggi alle chiese di tutta Europa.Negli ultimi 10 anni 700.000 cittadini italiani, soprattutto dal Sud Italia, hanno lasciato i loro paesi per trasferirsi all’estero. Una emigrazione diversa, non solo proletaria, cioè di gente senza titoli di studio spinta dalla mancanza di occupazione e costretta a cercare dove il lavoro c’è. Oggi si contano numerosi laureati o diplomati che si sentono maggiormente cittadini d’Europa e con molta più facilità vanno a vivere a Parigi, a Londra, a Francoforte presso la Banca Europea, come pure a Bruxelles o Strasburgo presso la Comunità Europea, o nei luoghi dove l’occupazione sembra essere migliore e comunque più attrattiva, perché si pratica la secondo o terza lingua, perché si condivide relazioni sociali più aperte e meno provinciali.Non si fa pastorale da soliSono proprio le comunità straniere che sul versante pastorale rappresentano una realtà stimolante ed una occasione provvidenziale per le chiese europee.Il bello è che non sono solo gli operatori pastorali che stimolano la chiesa locale, bensì sono proprio i battezzati con tutte le loro richieste pastorali, comprese le “uscite dalla chiesa”, che creano una presenza problematica e di pressione. Alcuni riferimenti alle situazioni concrete delle comunità italiane in Europa.Resta sempre alta l’emergenza del personale: ridotto a 10 missionari e 11 religiose impiegati in 8 Missioni Cattoliche Italiane in Inghilterra per un lavoro pastorale che potrebbe rivolgersi a 156.776 italiani, 26 missionari e 6 religiose in Francia dove 29 Missioni Cattoliche Italiane lavorano con le parrocchie locali per rispondere ai bisogni pastorali di 379.749 italiani. Le 75 Missioni Cattoliche Italiane di Germania e Scandinavia possono contare su non più di 79 missionari, 35 religiose e 35 operatori pastorali laici per seguire più di 700.000 italiani, e in Germania ogni anno arrivano attorno a 35.000 nuovi italiani. In Svizzera, per finire, si contano 66 Missioni Cattoliche Italiane con 74 missionari, 118 religiose e 15 operatori pastorali laici per 370.000 cittadini italiani.L’invecchiamento del personale pastorale pone grandi inquietudini alla Delegazione tedesca, soprattutto per la difficoltà nell’aggiustarsi ai nuovi orientamenti pastorali intrapresi dalla chiesa locale.In Inghilterra il numero esiguo degli operatori unito alla mancanza di mezzi economici ha reso drammatica la situazione pastorale. Le possibilità di un annuncio evangelico sono immense, anche per il fenomeno tipicamente inglese delle decine di migliaia di giovani che raggiungono Londra e le altre città per motivi di studio e di turismo. Sensibilità e disponibilità coraggiose di sacerdoti e operatori pastori giovani e motivati potrebbero scrivere pagine bellissime di una presenza provvidenziale e illuminata.Solo in Svizzera si è avuto un ringiovanimento del corpo missionario con l’arrivo di 35 elementi giovani che hanno preso le consegne di altrettanti missionari rientrati in Italia o “emigrati” verso la casa del Padre. In Belgio, in Olanda ed in Francia si sta sopravvivendo con disagio in una società post cristiana dove chiese e strutture vengono chiuse per mancanza di utilizzatori e di fondi, nonché per l’assenza di preti. Tuttavia questa situazione di povertà sta favorendo una messa in questione ed una inventiva nuova che sa immaginare con lucidità riflessioni teologiche e prospettive pastorali nuove ed interessanti.La situazione ecclesiale in Europa si presenta diversa e senza dubbio aperta ad una visione di chiesa interessante e conciliare.Situazioni ecclesiali nuoveLa Chiesa “comunione di comunità” sta trovando traduzioni e concretizzazioni locali positive, dove la pastorale di insieme e le equipes pastorali sembrano essere la modalità dell’azione pastorale e la struttura valida per imparare a lavorare insieme.Sempre più si prende coscienza che la chiesa locale ha bisogno delle comunità linguistiche presenti sul territorio perché componenti essenziali del proprio essere chiesa per arrivare a crescere nella comunione delle diversità.Così si sta imparando a riconoscere le diversità culturali, ci si ascolta con maggior attenzione, si annuncia ed insegna con nuove sensibilità ben consapevoli che l’evangelizzazione ha bisogno della cultura etnica per diventare comprensibile e significativa per chi accoglie la buona novella.La sensibilità ecumenica accresciuta e vissuta da molte coppie miste presenti nelle comunità italiane, favorisce il dialogo interconfessionale ed un lavoro pastorale condiviso tra sacerdoti italiani in emigrazione, parroci locali e pastori protestanti, con un beneficio reciproco importante.Da tempo, ormai, in ogni diocesi europea si è messo in moto una riflessione globale e approfondita di ristrutturazione pastorale e strutturale. A ispirare questo grande lavoro non è più la preoccupazione di arginare l’emergenza delle molte parrocchie senza parroco, ma l’obiettivo di assicurare una presenza ecclesiale nuova dove le componenti laicali, religiose e ordinate, sanno assumere e gestire in solidarietà ministeri e servizi.Non si è cattolici se non si è missionariPer molti aspetti la struttura giuridica delle “missio cum cura animarum” introdotta da Paolo VI con la lettera apostolica “Pastoralis migratorum cura” del 1969 richiede revisioni ed adeguamenti, ma lo spirito di fondo espresso dal titolo “Missione Cattolica Italiana” dice molto del lavoro pastorale che si è chiamati a compiere nella chiesa occupandoci delle comunità di altra lingua madre, all’estero.Un lavoro ed una sensibilità che hanno come obiettivo quello di rendere la chiesa in cui si vive, sempre più missionaria, aperta ad ogni persona che ricerca il volto e la presenza di Dio.L’Europa post moderna è diventata la terra missionaria per eccellenza dove l’impegno per l’annuncio assume la missione di portare uomini e strutture alla conversione dei cuori perché vengano rimosse le cause profonde dell’ingiustizia che impedisce lo sviluppo e la pace del sud del mondo. Gli operatori pastorali insieme alle comunità linguistiche di tradizione e cultura cristiana, come le comunità italiane, hanno una grande potenzialità supplementare per divenire operatori di annuncio del Signore e del suo Vangelo sempre rivoluzionario che ci presenta costantemente la novità dell’amore di Dio che dona senso alla ricerca dell’uomo e dà dignità ad ogni essere umano.La cattolicità ridiventa il paradigma del regno di Dio per un incontro al di là di ogni pregiudizio, dove le diversità sono accolte per tessere un dialogo rispettoso, amante della verità e costruttivo di laboratori di collaborazione e di comunione.I criteri del servizio per una pastorale specifica migratoriaUna pastorale di comunione che sa lavorare in un riferimento di cattolicità impone agli operatori nuovi e vecchi, alcuni criteri di azione e di stile dai quali non si può prescindere.- Apprendere la lingua del luogo il meglio possibile per permettere un dialogo fra operatori e fortificare la collaborazione, l’intesa e la comunione di intenti. è irrinunciabile potersi capire e riflettere insieme per condividere una visione teologia ed ecclesiale comune. - La capacità di collaborazione. Non si può più lavorare da soli in emigrazione. è indispensabile entrare a far parte dell’equipe pastorale locale o comunque collaborare con la struttura parrocchiale in loco. Duttilità, adattabilità, apertura di spirito diventano caratteristiche irrinunciabili.- La capacità di solidarietà. Si esprime nel partecipare pienamente alla vita collegiale del luogo: tempi di formazioni comuni, incontri decanali o di settore, rispetto e condivisione della responsabilità con agenti pastorali laici con una missio canonica, rispetto delle competenze specializzate di chi cura alcuni settori della pastorale rinunciando alla pretesa di essere tuttologi e totalizzanti, libertà di lasciare la conduzione delle strutture ai laici ai quali si deve assicurare formazione e fiducia piena.- Disponibilità alle persone per l’annuncio. In Europa, il servizio pastorale in situazione migratoria, non si regge più su ritmi e organizzazione parrocchiale di tipo italiano. Incontrare le persone diventa la modalità fondamentale e prioritaria per l’annuncio del vangelo. Il prete e l’operatore pastorale in emigrazione deve essere un esperto di relazioni interpersonali: capacità di ascolto, disposto al dialogo, facilitatore di relazioni, amante della comunione, buon mediatore, accompagnatore attento e sensibile.- La corresponsabilità tra Chiese diventa il quadro di riferimento per l’invio di un prete che lavori in pastorale migratoria. L’essere inviato presuppone un’apertura tra Conferenze Episcopali, vescovi e chiese diocesane diverse. è un aiuto reciproco riconosciuto ed un scambio solidale che incoraggia a stipulare convenzioni di sostegno in uno dono reciproco.- La temporaneità del servizio sembra diventare una modalità preziosa. Inviare un sacerdote per un servizio che dura un tempo modulare ben preciso, significa anzitutto decidere un progetto che ha un inizio ed un termine. Vuol dire esorcizzare la paura che inviare un sacerdote in emigrazione equivale a dire “perderlo” perché non rientrerà più nella chiesa di invio, vuoi perché non si trova più nessuno che lo sostituisca, vuoi perché non riuscirà più ad inserirsi in modalità pastorali diocesane che ha dimenticato.- Preparare il “rientro” prima ancora di firmare “l’invio”. In altre parole, la diocesi che invia un proprio sacerdote invia tutto il proprio presbiterio. Ha deciso di investire su una persona, perché lo incoraggia ad apprendere una lingua nuova, a conoscere e praticare una pastorale diversa, a coltivare un altro modo di celebrare ed insegnare, ad esperimentare un ecumenismo ed una vita presbiterale che potrà acquistare in valore nella diocesi una volta rientrato per assumere un servizio mirato che tenga conto delle competenze maturate.Speranze e segnali d’ottimismoL’ultimo convegno di Castelgandolfo (25-28 febbraio 2003) ha sicuramente insegnato che lo sforzo che le chiese locali in Italia stanno facendo per l’accoglienza degli immigrati non è cosa diversa dello sforzo iniziato molto tempo fa per “assistere” gli italiani che emigravano all’estero: è la stessa passione pastorale! Ma non deve scomparire l’attenzione per i figli italiani oltralpe od oltreoceano, proprio perché quanto si è appreso in un secolo di presenza pastorale fra le comunità italiane all’estero è l’eredità preziosa da trasmettere agli operatori pastorali che hanno cominciato a lavorare con attenzione agli stranieri e alle comunità immigrate accolte in Italia.La grande difficoltà di trovare diocesi italiane che inviano missionari in Europa per le comunità italiane all’estero, da una parte denuncia un certo oblio dei propri figli che sono espatriati o che sono nati all’estero, senza nulla togliere al merito di inviare dei “fidei donum” alle chiese del terzo mondo, e dall’altra rischia di vanificare l’esperienza e la competenza acquisita da molte suore, missionari e laici d’emigrazioni perché non si favoriscono le conoscenze, le collaborazioni e sinergie.Le Diocesi del Sud Italia sembrano dare segnali di un risveglio auspicato. Il 60% degli italiani all’estero sono figli del Sud, e spesso, proprio le diocesi meridionali sono in affanno per gli immigrati. Vale la pena superare la paura ed investire nelle missioni d’Europa. Visite agli emigranti, stages di formazione, borse di studio presso seminari e facoltà teologiche del Nord Europa, invio per alcuni anni di sacerdoti disponibili.Non c’è modo migliore di affrontare la pastorale degli immigrati se non inviando preti in emigrazione all’estero per apprendere il mestiere, cogliere l’apertura, affinare lo spirito con l’apprendistato nelle nostre comunità italiane e nelle unità pastorali locali.La pastorale di comunione per fortificare la cattolicità è opportuno realizzarla dapprima fra gli operatori stessi. Gli operatori pastorali nelle comunità italiane all’estero e gli operatori pastorali sensibili alle comunità immigrate in Italia è ora che si incontrino, si conoscano, imparino a farsi dono delle rispettive esperienze: diventeremo esperti di comunione per un respiro sempre più missionario di ogni chiesa locale e di tutta la chiesa finalmente cattolica.Un’apertura da fare con equilibrio e serenità senza lasciarsi mettere in ansia dalle continue emergenze pastorali.