» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Orientamenti per l'istituzione di strutture pastorali a servizio di cattolici immigrati in Italia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/03


ORIENTAMENTI PER L’ISTITUZIONE DI STRUTTURE PASTORALI A SERVIZIO DI CATTOLICI IMMIGRATI IN ITALIA
a cura della CEMi e Migrantes
Nota esplicativaNel documento che qui di seguito viene riportato, prende veste definitiva e ufficiale nella Chiesa italiana una bozza di lavoro che, elaborata dalla Migrantes su richiesta della Commissione Episcopale per le Migrazioni (CEMi), è stata esaminata e approvata dalla medesima Commissione nella seduta del 21 gennaio 2002.Questo elaborato, trasmesso alla Segreteria della Conferenza Episcopale Italiana, è stato ripreso in esame nella sessione di primavera del Consiglio Episcopale Permanente. Le modifiche e aggiunte apportate dal Consiglio sono state recepite in questo testo definitivo, redatto a cura della Segreteria Generale della CEI.Il testo, quanto ai contenuti, non presenta novità di rilievo essendo stato redatto in base alle direttive già in vigore ed alla prassi migliore instauratasi nelle diocesi italiane in questi ultimi anni. Ha però il pregio di sintetizzare in forma chiara ed abbastanza completa i criteri ai quali attenersi per aprire e gestire in diocesi un centro pastorale per immigrati cattolici e per individuare, fra i diversi tipi di centri pastorali, quello che sembra maggiormente corrispondere alle esigenze e alle possibilità delle singole Chiese particolari.Alcune tematiche, enunciate nel documento in modo schematico nelle linee essenziali, vengono ulteriormente sviluppate da una serie di schede allegate.Questo il filo conduttore del documento che si sviluppa in nove punti:1° Il quadro quantitativo della presenza straniera e la distribuzione degli immigrati secondo l’appartenenza religiosa all’inizio del 2002. Si tratta di dati attendibili, anche se soggetti di anno in anno a una notevole fluidità, registrando normalmente un progressivo crescendo; vanno perciò continuamente aggiornati.2° La panoramica attuale dei centri pastorali che all’inizio del 2002 erano sui 350, a distanza di un anno sono oltre i 400. La maggior parte sono gruppi abbastanza informali, sorti per iniziativa del Direttore diocesano Migrantes, del Coordinatore nazionale o della base; sono comunque conosciuti e ammessi in diocesi, anche se spesso non godono ancora di vera e propria istituzione canonica.3° In queste linee, già di fatto tracciate in “Orientamenti pastorali per l’immigrazione - Ero forestiero e mi avete ospitato” del 1993, non si fa che seguire le direttive della S. Sede, contenute in particolare nell’istruzione “De pastorali migratorum cura” e in diversi altri documenti, compreso il Codice di Diritto Canonico.4° Vengono quindi presentati i centri pastorali canonicamente eretti: la parrocchia personale, la missione con cura d’anime, le varie forme di cappellania. 5° Si parla degli altri centri non canonicamente eretti, delle loro caratteristiche e della loro importanza. Si auspica naturalmente che venga dato loro in diocesi un qualche riconoscimento, se non altro che vengano elencati negli annuari o bollettini diocesani, tuttavia l’essenziale è che non manchi un efficace servizio pastorale sul territorio. 6° Il valore da salvaguardare è duplice: il processo di integrazione nella Chiesa locale e il rispetto dell’identità dell’immigrato preso individualmente e comunitariamente.7° Duplice è anche la caratteristica interna di queste strutture: da una parte è la provvisorietà, perché sono sorte in base a uno specifico bisogno o utilità ed hanno ragione di perdurare finché perdura questa situazione; dall’altra hanno una certa stabilità dato il continuo arrivo di nuovi immigrati e il loro facile avvicendarsi.8° Con realismo si affronta anche il problema economico dato che anche in immigrazione “l’operaio è degno della sua mercede”.9° Conclusione: “il fenomeno migratorio è una sfida e insieme un segno dei tempi affidato prioritariamente al discernimento sapiente e coraggioso dei Vescovi”.1. Il dato quantitativo sull’immigrazione di cattoliciDai dati in possesso della Fondazione “Migrantes” risulta che fra la popolazione straniera presente in Italia i cattolici sono circa il 30%, pari a circa 500.000 persone su un totale approssimativo di 1.700.000 immigrati regolari. Se si calcolano anche gli irregolari sprovvisti di permesso di soggiorno si giunge intorno ai 600.000. Gli esperti prevedono che, nonostante eventuali politiche più restrittive, la crescita degli immigrati nei prossimi anni sarà persistente come lo è stato nell’ultimo decennio (cf. allegato n. 1). La “Migrantes” si prende cura di aggiornare periodicamente, regione per regione, la mappa di appartenenza religiosa degli immigrati, con particolare attenzione ai cattolici.2. Le attuali strutture pastorali per stranieri2.1. Da un sistematico rilievo condotto dalla “Migrantes” contenuto nel quaderno “Centri pastorali per i cattolici stranieri in Italia” alla fine del 2000 risultavano 315 strutture o centri pastorali di varia natura; nel mese di gennaio 2002 se ne registravano circa 350. Tale computo tuttavia è certamente inferiore alla realtà, perché nuovi centri sorgono di continuo e dalle diocesi non sempre ne viene data puntuale segnalazione. Le nazionalità interessate sono una cinquantina; altri centri per cattolici stranieri sono istituiti non secondo il criterio della nazionalità ma dell’etnia o della lingua (per cattolici anglofoni, francofoni, ispanofoni; questi ultimi, in particolare, interessano tutta l’America Latina, eccetto il Brasile).2.2. Le strutture canonicamente istituite non sono più di una cinquantina: 5 parrocchie personali, circa 25 missioni con cura d’anime e 15 cappellanie, alle quali si possono aggiungere le tradizionali comunità nazionali.2.3. Le altre strutture pastorali (circa 300) non hanno riconoscimento canonico; esse, a parte quelle che si possono ritenere succursali delle parrocchie personali o delle missioni con cura d’anime, sono sorte solitamente per spontanea iniziativa di qualche sacerdote straniero o italiano, di qualche religioso o religiosa, di qualche laico particolarmente preparato e intraprendente. Talora è il direttore diocesano della “Migrantes” a prendere una iniziativa in tal senso; egli inoltre, salvo qualche eccezione, è al corrente dell’esistenza di altri organismi con i quali ha contatti e che sostiene. Questa molteplicità di realtà pastorali non ufficialmente riconosciute è motivata dall’azione degli istituti missionari, dei sacerdoti “fidei donum” rientrati dai Paesi di missione e soprattutto dalla presenza in Italia di un consistente numero di stranieri con permesso di soggiorno ottenuto «per motivi religiosi» quantificabile in circa 55.000 persone, alle quali vanno aggiunti oltre 10.000 tra seminaristi, sacerdoti e religiosi presenti «per motivi di studio».2.4. Si deve riconoscere che è già offerto un servizio di assistenza religiosa notevolmente vasto e capillare, in ogni caso da intensificare e qualificare alla luce delle indicazioni contenute negli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000: «Ormai la nostra società si configura sempre più come multietnica e multireligiosa. Dobbiamo affrontare un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello dell’evangelizzazione di persone condotte tra noi dalle migrazioni in atto. Ci è chiesto in un certo senso di compiere la missione ad gentes qui nelle nostre terre. Seppur con molto rispetto e attenzione per le loro tradizioni e culture, dobbiamo essere capaci di testimoniare il Vangelo anche a loro e, se piace al Signore ed essi lo desiderano, annunciare loro la Parola di Dio, in modo che li raggiunga la benedizione di Dio promessa ad Abramo per tutte le genti (cf. Gen. 12,3)» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n. 58).3. Orientamenti pastorali per l’immigrazioneLa Commissione Ecclesiale per le migrazioni e il turismo nel 1982 ha emanato la nota pastorale sull’immigrazione “Stranieri dal terzo mondo. I nuovi poveri tra noi e il nostro impegno”; nel 1990 la Commissione Ecclesiale “Giustizia e pace” ha pubblicato la nota pastorale “Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà”. Si tratta di due documenti apprezzabili, che tuttavia non affrontano la dimensione specificamente religiosa del migrante cattolico e cioè la cura pastorale da offrirgli. è stata la Commissione Ecclesiale per le Migrazioni (CEMi) ad affrontare espressamente nel 1993 il problema di elaborare degli orientamenti pastorali per l’immigrazione intitolati “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Alla fine del 2000 la “Migrantes” in collaborazione con altri organismi della CEI ha editato una più articolata guida pastorale dal titolo “Nella Chiesa nessuno è straniero”.In questi documenti si ripropongono e si attualizzano, con riferimento alla situazione italiana, i principi teologico-ecclesiologici e le linee operative emanate dalla S. Sede sulla pastorale migratoria, alla luce del magistero conciliare, quale logico sviluppo della costituzione apostolica “Exsul familia” promulgata da Pio XII nel 1952.Tra i documenti pontifici recenti va ricordato anzitutto il motu proprio di Paolo VI “Pastoralis migratorum cura” (15 agosto 1969) del quale si riporta una significativa citazione: «Il Concilio ecumenico, dopo aver raccomandato una particolare sollecitudine verso i fedeli che per le condizioni in cui vivono non possono godere dell’assistenza ordinaria o ne sono privi del tutto, come avviene per moltissimi migranti, esuli e profughi, ha vivamente esortato le Conferenze Episcopali, specie quelle nazionali, a occuparsi con tutta premura delle questioni più urgenti di tali persone e a provvedere adeguatamente con opportuni mezzi e direttive, in concordia di intenti e di sforzi, alla loro assistenza spirituale (cf. “Christus Dominus”, n. 18). […] Ora si comprende facilmente che non è possibile svolgere in maniera efficace questa cura pastorale, se non si tengono in debito conto il patrimonio spirituale e la cultura propria dei migranti. A tale riguardo ha grande importanza la lingua nazionale, con la quale essi esprimono i loro pensieri, la loro mentalità, la loro stessa vita religiosa».In applicazione del motu proprio qualche giorno dopo è stata pubblicata l’Istruzione della S. Congregazione per i Vescovi “De pastorali migratorum cura” (22 agosto 1969).I medesimi concetti sono stati ripresi in prospettiva prevalentemente pastorale nel documento “Chiesa e mobilità umana” della Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo (26 maggio 1978).Di singolare concretezza, incisività e ricchezza sono infine i numerosi interventi di Giovanni Paolo II, particolarmente nei messaggi per la Giornata Mondiale delle Migrazioni dal 1985 ad oggi (cf. allegato n. 3).Va rilevato che nei documenti pontifici e nella nota pastorale della CEI “Ero forestiero e mi avete ospitato” (cf. n. 31) si richiama, oltre alla prioritaria responsabilità della Chiesa di arrivo, anche la responsabilità della Chiesa di partenza; si rileva inoltre che le migrazioni sono un campo qualificato di cooperazione missionaria tra le due Chiese. Altrettanto si dica della dimensione ecumenica, tanto più che l’immigrazione dall’Est europeo sta prendendo sempre più consistenza.Dal punto di vista normativo l’istruzione “De pastorali migratorum cura” e il Codice di diritto canonico rimangono il riferimento fondamentale. Si ha motivo di ritenere che l’istruzione pontificia potrà assumere una rinnovata rilevanza e attualità quando ne verrà completata la revisione e l’aggiornamento, ai quali sta provvedendo da qualche tempo il Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti.4. Tipologia di strutture pastorali e criteri per la loro istituzione4.1. I documenti pontifici sono la fonte diretta alla quale la Chiesa italiana fa riferimento in ordine all’istituzione di strutture pastorali in favore degli immigrati. I citati “Orientamenti pastorali per l’immigrazione” del 1993 nel raccomandare di «erigere, laddove vivono gruppi consistenti di fedeli della stessa lingua, una missione con cura d’anime o una cappellania a seconda del caso», riconoscono che «ancora utili risultano quelle indicazioni concrete che, in modo dettagliato, sono contenute nell’Istruzione della Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura del 1969» (n. 31).4.2. Queste sono le principali strutture che vengono proposte dall’Istruzione (n. 33):- la parrocchia personale da istituire «dove sono numerosi i migranti della stessa lingua, o che si sono stabiliti nella zona (stabiles incolunt) o vi si avvicendano continuamente»; chi la dirige «gode della potestà di parroco con tutte le facoltà e gli obblighi che a norma del diritto canonico competono ai parroci» (n. 38);- la missione con cura d’anime da realizzare «soprattutto in quei luoghi in cui i migranti non sono ancora stabili (nondum stabiliter incolunt)». Tale missione può essere collegata anche a una parrocchia territoriale, particolarmente quando l’una e l’altra sono affidate a membri del medesimo istituto di vita consacrata. Chi la dirige «gode di propria potestà e viene equiparato a un parroco» (n. 39). Data questa equiparazione non si ravvisano particolari motivi di preferenza per la parrocchia personale, struttura per se stessa più stabile, rispetto alla missione con cura d’anime;- la cappellania, da istituire all’interno di una parrocchia, da affidare a un «cappellano o missionario», il quale può anche essere designato come «vicario cooperatore» di una o più parrocchie. A questo cappellano il Vescovo può conferire tutte le facoltà che ritiene opportune per l’esercizio del suo peculiare mandato (cf. allegato n. 4).Nel vigente Codice di diritto canonico, con esplicito riferimento al problema della mobilità, si parla sia della parrocchia personale (cf. can. 518), che della cappellania (cf. can. 568).4.3. La CEMi e la “Migrantes” si sono avvalse e continuano ad avvalersi di ogni opportunità per sollecitare le diocesi ad applicare la normativa della Santa Sede, restando sempre inteso che spetta al Vescovo del luogo valutare se nella sua Chiesa particolare esistano i presupposti per istituire una delle strutture prima elencate, determinando altresì quale sia in concreto la soluzione più opportuna da adottare. Può essere utile peraltro tenere presente che in Europa sono istituite oltre 200 Missioni Cattoliche Italiane (missioni con cura d’anime) in favore dei nostri connazionali, nelle quali prestano servizio pastorale circa 250 sacerdoti italiani.5. Strutture pastorali non erette canonicamente5.1. Benché si auspichi l’incremento e il consolidamento, soprattutto nelle grandi città, delle citate strutture pastorali erette canonicamente, la CEMi e la Migrantes ritengono in ogni caso prioritari e urgenti per il nostro Paese la valorizzazione, la diffusione nonché un qualche riconoscimento diocesano di altre realtà pastorali, sorte, in un certo senso, per spontanea iniziativa di qualche sacerdote, religioso o laico, che non hanno perciò il crisma dell’ufficialità. Il riconoscimento solitamente viene concesso se il direttore diocesano della pastorale migratoria conosce e segue queste comunità, talora anche con l’aiuto di qualche diacono permanente.Significativa importanza assume a questo fine un appuntamento annuale con il Vescovo, specialmente se celebrato nella chiesa cattedrale, con l’insieme di gruppi etnici; appuntamento che in diverse diocesi è ormai tradizionalmente denominato “festa dei popoli”.L’eventuale inserimento di queste strutture nell’elenco delle opere pastorali della diocesi può avere peraltro un valore significativo.5.2. Il riconoscimento ufficiale, attraverso l’erezione canonica, spesso non è possibile e probabilmente nemmeno opportuno. Ciò può avvenire, ad esempio:- quando gli immigrati di una determinata nazionalità o etnia si sono stabiliti in una diocesi da poco tempo e la loro aggregazione in comunità di fede e di culto è ancora agli inizi;- quando gli stranieri cattolici sono ancora relativamente pochi e con l’intendimento di spostarsi altrove (dai piccoli centri alle città, dal sud al nord, ecc.);- quando in diocesi mancano sacerdoti idonei da dedicare stabilmente alla cura pastorale degli immigrati, ma si trovano soltanto operatori pastorali occasionali, provenienti talora da altra diocesi, che possono assicurare solo un servizio discontinuo.5.3. Nei casi in cui risulta difficoltosa o non opportuna l’erezione canonica di una struttura stabile di cura pastorale della comunità straniera, rimane intatta l’esigenza di assistere pastoralmente i cattolici immigrati attraverso modalità che, considerate le peculiarità della situazione, sono ritenute più efficaci.A tale esigenza possono rispondere, e in effetti rispondono, in modo soddisfacente, anche se non sempre in modo ottimale, i predetti centri pastorali non ufficialmente istituiti.Le ragioni di convenienza possono essere così riassunte:- i cattolici stranieri, disorientati peraltro dalla dura vicenda migratoria e dai tanti sradicamenti ai quali li ha sottoposti l’esodo più o meno forzato dalla loro terra, se non trovano prontamente un’adeguata accoglienza pastorale, in breve abbandonano la pratica religiosa, smarrendo anche il senso cristiano della vita e, a volte, la fede stessa, come conferma la lunga storia dell’emigrazione italiana;- in mancanza di un adeguato intervento pastorale della Chiesa locale, il vuoto viene riempito con insospettabile rapidità, come l’esperienza sta amaramente suffragando, da sette religiose, gruppi e altri movimenti di ispirazione religiosa a dir poco sospetti nella loro attenzione agli immigrati;- nello spirito del magistero del Concilio e dei documenti post-conciliari, va riconosciuto a questi figli della Chiesa un preciso diritto, scaturente dal battesimo, a essere aiutati a vivere la fede nel rispetto della loro identità culturale, etnica e linguistica, come si evince dai canoni del Codice di diritto canonico concernenti gli obblighi e i diritti di tutti i cristiani e in particolare dei fedeli laici (Titoli I e II del Libro II).5.4. I centri pastorali «informali e spontanei» meritano di essere promossi e riconosciuti in diocesi, a prescindere dalla consistenza numerica dei loro fruitori; infatti solo in presenza di «numerosi migranti» la Santa Sede consente l’istituzione di parrocchie personali.5.5. Le diverse iniziative devono essere attuate in piena comunione con la vita della Chiesa locale, in maniera ordinata e con chiarezza, senza lasciare spazio all’improvvisazione e a operatori isolati. Al raggiungimento di questo obiettivo mira tra l’altro il servizio di due figure tra loro convergenti e complementari:- il direttore diocesano “Migrantes”, che assicura soprattutto la comunione ecclesiale dei gruppi di stranieri. Egli favorisce il loro inserimento nelle comunità parrocchiali e negli organismi diocesani; nello stesso tempo si adopera per prevenire eventuali tendenze di chiusura e di autoemarginazione;- il coordinatore nazionale della pastorale nei confronti di una determinata etnia. Egli favorisce la salvaguardia dei valori che caratterizzano l’identità della medesima etnia; assicura il collegamento delle diverse comunità; visita periodicamente i vari centri; provvede alla razionale distribuzione sul territorio nazionale degli operatori pastorali che, a tempo parziale e particolarmente a fine settimana e nelle feste, si rendono disponibili per un servizio ai connazionali (cf. allegato n. 5/A). Un regolamento, approvato dalla CEMi, delinea in dettaglio compiti e stile di comportamento dei coordinatori (cf. allegato n. 5/B). Operano già nel Paese coordinatori nazionali per una decina di etnie.6. Integrazione nella Chiesa locale e rispetto dell’identità dello stranieroLa “Migrantes” fa insistente opera di persuasione e di mediazione perché, non solo in linea di principio ma anche nella concretezza delle scelte operative, si tenga conto e si cerchi di comporre armonicamente una duplice esigenza: promuovere il processo d’integrazione degli stranieri sul piano ecclesiale, oltre che su quello civile; rispettare, valorizzandole, le peculiarità di cultura, lingua e religiosità delle quali ogni gruppo etnico è portatore.Al riguardo un ruolo decisivo assume l’azione concorde tra la Chiesa di arrivo e la Chiesa di partenza. Questa infatti rimane in ogni caso la Chiesa - madre che non può abbandonare a se stessi i figli che partono e verso i quali deve continuare a mostrare attivamente sollecitudine e carità pastorale. Uno scambio periodico di informazioni tra la Chiesa di partenza e quella di arrivo, incontri bilaterali dei Vescovi e periodiche reciproche visite di esponenti delle Chiese consentiranno di tenere vivo il vincolo della memoria e di conoscere il patrimonio culturale e religioso degli immigrati. Così facendo si renderà concretamente manifesta l’universalità della Chiesa e si aiuteranno gli immigrati a conservare la fede e a inserirsi in modo proprio e originale nella comunità che li accoglie.Con riferimento ad aspetti peculiari della vita liturgica e della religiosità popolare occorre valorizzare le celebrazioni di feste e di santi, particolarmente sentite presso i diversi gruppi etnici. Si tratta infatti di momenti altamente espressivi e di grande forza aggregante che rafforzano i vincoli sociali all’interno del gruppo e che consolidano il dialogo e la comunione con i cattolici locali.Non si può trascurare il profilo ecumenico dell’accoglienza agli immigrati e le ricadute che essa può avere sul dialogo interreligioso. Le chiese ortodosse e le diverse confessioni protestanti, infatti, portano avanti un’azione missionaria verso gli immigrati; anche i musulmani sono attivi al riguardo. Ciò rende inevitabile il confronto e talora anche l’emulazione, ma deve far escludere, almeno da parte dei cattolici, ogni forma di strumentalizzazione dell’immigrato.Il processo di integrazione nella Chiesa locale viene gestito dai responsabili della pastorale diocesana, dai cappellani e dai coordinatori nazionali della pastorale etnica. L’esperienza dimostra quanta attenzione, fiducia, pazienza, senso di comprensione reciproca e disponibilità al dialogo esiga l’armonizzazione di questi valori, tutti di pari dignità e irrinunciabili, orientati in ogni caso all’inserimento pieno degli immigrati nella comunità territoriale (cf. allegato n. 6).7. Strutture pastorali permanenti o provvisorie?Strettamente connessa con le considerazioni su identità etnica e integrazione ecclesiale è la domanda concernente la provvisorietà o stabilità delle strutture pastorali per i migranti. Si può rispondere che esse richiedono, ovviamente sotto aspetti diversi, l’una e l’altra caratteristica, anche se, in linea di principio, inizialmente è da preferire senz’altro una corretta e temperata provvisorietà a strutture immediatamente fisse e rigide.La provvisorietà è giustificata dal fatto che la ragione d’essere di tali strutture è la vera necessità o utilità degli immigrati; una volta che queste sono venute meno non ha più senso far sopravvivere le strutture. Ciò vale in molti casi per la stessa configurazione della comunità di fedeli stranieri presa nel suo insieme. Ad esempio, le parrocchie, sorte in Brasile per milioni di emigrati italiani, hanno reso un ottimo servizio a diverse generazioni; una volta che i discendenti delle prime ondate migratorie si sono pienamente integrati nella realtà locale considerandosi brasiliani a pieno titolo, la permanenza di tali strutture come centri di pastorale specifica per gli italiani potrebbe risultare anacronistica e, forse, anche controproducente. Altrettanto si può dire delle parrocchie “nazionali” istituite negli Stati Uniti.Si può tuttavia dare il caso che tali strutture pastorali, mentre possono aver perduto significato per singole persone inserite ormai nelle comunità ecclesiali locali, potrebbero continuare a conservare il loro senso e valore per quanti non fossero ancora sufficientemente integrati, in particolare i nuovi arrivati, quelli che sono di passaggio, quelli che coltivano un progetto di migrazione temporanea, gli stagionali, gli studenti e soprattutto gli irregolari. Nei grossi centri, specialmente nelle metropoli, sono molti gli stranieri che rientrano in queste categorie e che nel loro avvicendamento riescono a trovare solamente nel centro pastorale proprio del loro gruppo etnico un punto di riferimento e una certa stabilità.8. Sostegno economico alla pastorale specifica per i migrantiIl sostegno economico alle molteplici opere e attività pastorali sopra descritte tiene conto delle diverse situazioni.8.1. I missionari e i cappellani, nominati secondo le prescrizioni canoniche, sono remunerati secondo i principi che regolano il sistema di sostentamento del clero. A loro pertanto la comunità etnica locale assicura una parte della remunerazione nella misura stabilita annualmente dal Vescovo diocesano; infatti è conveniente e significativo che essa si faccia carico, almeno in parte, del sostentamento del presbitero che le offre stabilmente il proprio servizio pastorale. L’Istituto diocesano per il sostentamento del clero integrerà la rimanente quota fino alla copertura del tetto remunerabile.8.2. I coordinatori nazionali, se non usufruiscono di altre fonti di reddito, sono remunerati direttamente dall’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero;8.3. Gli altri operatori, che prestano servizio solitamente a tempo parziale nei centri pastorali non ufficialmente eretti, anche in sedi distanti dai luoghi di abituale residenza, ricevono il rimborso delle spese sostenute per il servizio prestato; a ciò provvedono unitamente la comunità etnica e la diocesi, concordando la ripartizione dei relativi oneri. Le eventuali ulteriori spese prive di copertura vengono saldate direttamente dalla Fondazione “Migrantes” (cf. allegato n. 7).9. Considerazioni conclusiveNon mancano difficoltà e problemi nel settore della pastorale per gli immigrati; non è il caso tuttavia di enfatizzarli eccessivamente e tanto meno di trarne motivo per una valutazione complessivamente negativa nel quadro d’insieme.Si deve riconoscere nello stesso tempo che è opportuno aiutare le nostre comunità e i loro responsabili, anche con interventi autorevoli, a essere più attenti e disponibili verso queste nuove presenze.è importante tenere presente infine che il flusso migratorio sta sviluppandosi secondo modalità difficilmente controllabili e prevedibili. Predisporre tempestivamente una buona rete di strutture adeguate per mantenere e sviluppare la fede degli immigrati è certamente una scelta opportuna sotto il profilo pastorale.Per di più in Italia ciò è non solo possibile ma anche doveroso, in considerazione del numero rilevante di operatori pastorali stranieri, in gran parte sacerdoti, che possono offrire questo servizio pastorale, quanto meno a tempo determinato.Una particolare responsabilità pastorale deve essere riconosciuta ai sacerdoti, e sono qualche migliaio, che si dedicano al servizio degli immigrati nelle diocesi dove si registra una presenza talora consistente di immigrati cattolici provenienti da una medesima etnia o nazionalità. Se si dovesse rilevare in loro una certa disaffezione o apatia verso questa porzione del Popolo di Dio, occorre aiutarli a ridestare la dimensione missionaria del loro sacerdozio.Per concludere giova richiamare che le iniziative isolate non sempre apportano risultati apprezzabili e duraturi e che il fenomeno migratorio è una sfida e insieme un segno dei tempi affidato prioritariamente al discernimento sapiente e coraggioso dei Vescovi.