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Riflessioni conclusive al Convegno Nazionale sulle Migrazioni


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/03


RIFLESSIONI CONCLUSIVE AL CONVEGNO NAZIONALE SULLE MIGRAZIONIdi Francesco Lambiasi *
In queste conclusioni cercherò non di “ridire” il convegno, quanto piuttosto di riprenderne alcuni passaggi. In questi giorni, di parole ne abbiamo sentite tante. Se mi si chiedesse: “Delle tante parole dette e citate in questo convegno, qual è quella che ti porti più viva dentro, quella che ti porti a casa?”. Io mi orienterei sulla Bibbia; anche della Bibbia sono stati citati tanti passi, a cominciare dallo striscione, che riproduce il tema del convegno, formulato con le parole dell’Apocalisse: “Tutte le genti verranno a te” (Ap 15,4).‘…partirono e predicarono…’Ma se dovessi scegliere un passo della Bibbia che in questi giorni è maggiormente risuonato dentro di me, ne sceglierei uno che non mi pare sia stato citato. Sono due versetti della finale del Vangelo di Marco, una finale che gli studiosi dicono quasi certamente non autentica, che è comunque parola di Dio. Mi pare che questo passo si porti dentro un contrasto stridente: e a mio avviso sta proprio qui l’inizio della storia della migrazione nella chiesa. Dice così S. Marco: “Il Signore Gesù dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc 16,19). A questo punto potremmo dire “Amen, la storia è finita”. Invece c’è il versetto seguente dove si legge: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano” (Mc 16,20). Non so se avete avvertito il contrasto: prima si dice che Gesù, assunto in cielo, siede alla destra di Dio, subito dopo si dice che “essi partirono”. Per dire “essi partirono” si usa lo stesso verbo che nella Bibbia greca dei Settanta viene impiegato per dire di Abramo che “partì”. Dunque questa è la storia del primo migrante, del padre Abramo, padre di tutti i migranti e di tutti i credenti; è la storia di Gesù (e penso lo si possa dire senza forzature) che è “emigrato” dalla patria trinitaria per venire in mezzo a noi; è la nostra storia, la storia della chiesa. Dunque Gesù “operava con loro”, eppure sta alla destra di Dio; sta lì ed opera; ma come opera?Per vedere come Gesù opera da risorto possiamo andare ad un’altra pagina del Vangelo che mi serve come fil rouge per cucire i vari passaggi di questo convegno; è la pagina della moltiplicazione dei pani. Sempre il vangelo di Marco ci dice che Gesù sbarcando vide molta folla ed ebbe compassione di loro poiché erano come pecore senza pastore (Mc 6, 34). Possiamo ripercorrere questa pagina per vedere come ci può aiutare non a ripetere il convegno, ma a rileggerlo. Il miracolo della moltiplicazione dei pani si può riassumere in cinque passaggi, che percorro rapidamente.Gesù ‘vide…e si commosse’1) Tutto comincia con uno sguardo di compassione: “vide…e si commosse” (Mc 6, 34). Tante volte nel vangelo c’è scritto che Gesù “vide e si commosse”; per esempio quando entra a Nain, Gesù vide la madre e si commosse (cfr. Lc 7, 13); il samaritano “vide” (Lc 10, 33), e perché non passò oltre come gli altri? Perché “ne ebbe compassione” (ib.). Gesù fa così perché è come il Padre. E ancora nel Vangelo di Luca, il padre che vide il figlio da lontano, non gli corse subito incontro, ma “si commosse” e poi gli corse incontro (cfr. Lc 15, 20).Questo è lo sguardo di Gesù; e questo è il nostro sguardo: con gli occhi del cuore anche noi abbiamo guardato il fenomeno dell’emigrazione e dell’immigrazione. Marco dice che Gesù vedendo la folla ne ebbe compassione di loro, sentì compassione della folla perché già da tre giorni gli stava dietro, non aveva nulla da mangiare e alcuni di loro erano venuti da lontano (cfr. Mc 8, 2-3).Noi dunque guardiamo a questi immigrati che chiamiamo fratelli: 2.500.000, pari quasi al 5% della popolazione, di cui un terzo cattolici, altrettanti i mussulmani. Come reagiamo di fronte a loro? Li guardiamo veramente con lo sguardo del Signore? Con lo sguardo del cuore? Nella relazione del prof. Nicoli abbiamo sentito la risposta della popolazione italiana che è piuttosto complessa; prevale un atteggiamento selettivo che guarda al migrante come risorsa-lavoro; da parte specialmente degli imprenditori e in genere del mondo economico. Vi è poi una mobilitazione solidaristica; in particolare il mondo cattolico ha trovato nei migranti un’occasione per rinnovare la tradizione di opere sociali del secolo scorso. Però sembra prevalere un atteggiamento di preoccupazione, di diffidenza.Dunque lo sguardo che ci viene spontaneo non è quello della commozione del cuore, ma della paura o almeno dello “spiazzamento”; siamo rimasti spiazzati di fronte a questo fenomeno, noi come chiesa. San Giovanni Crisostomo diceva che i cristiani di Roma sanno che anche i cristiani dell’India sono loro membra. Ma circa undici secoli dopo un cristiano, Francesco Saverio, ha sentito veramente sue membra i fratelli che stanno in India e vi è andato; ha scritto una lettera datata 15 gennaio 1544 (pare arrivata a Roma il 20 ottobre successivo) in cui fa un po’ il resoconto a S. Ignazio di Loyola di come sta andando la sua missione e ripensa al suo passato, a quando era giovane professore a Parigi, alla Sorbona: e dice: “Molto spesso mi viene in mente di percorrere le università d’Europa, specialmente quella di Parigi e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime per colpa vostra viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno”. Probabilmente un missionario oggi userebbe altre parole, però Francesco Saverio parla così perché sente che quelli dell’India sono suoi fratelli; e conclude dicendo di sentirsi sicuro che qualcuno degli studenti di Parigi, ed hanno più scienza che carità, se leggesse quella sua lettera finirebbe per pregare: “Mandami, Signore, dove vuoi, magari anche in India”.Oggi ci troviamo a vivere giorni in cui coloro che erano lontani sono venuti in mezzo a noi. Nel messaggio finale del convegno ci viene detto che le migrazioni sono un problema teologico e pastorale e non solo sociale e politico. Viene spontanea una domanda provocatoria, ma di una provocazione vicendevole che in questi giorni ci siamo fatti e che dobbiamo continuare a farci: se questo è un problema teologico e pastorale, a chi tocca trattarlo sotto questa luce, se non a noi? ‘…si mise ad insegnare…’2) Secondo passaggio: dopo aver sentito che Gesù vide e si commosse, noi ci saremmo aspettati l’intervento prodigioso, il miracolo. No! mentre Matteo dice che Gesù si è commosso e guarì molti malati, per Marco il segno della commozione non è la guarigione dei malati, ma “si mise ad insegnare molte cose” (Mc 6, 34). Il primo pane che Gesù dà è la parola. Abbiamo riascoltato in questi giorni l’insistente messaggio del Papa: la Chiesa sa che l’annuncio di Gesù è il primo atto di carità verso l’uomo, al di là di qualsiasi gesto di pur generosa solidarietà; missione fondamentale della Chiesa è l’annuncio di Gesù Cristo, del suo Vangelo. E il Cardinale Ruini ha concluso la sua prolusione con l’augurio che ogni operatore di questa pastorale specifica per le migrazioni sia un missionario “nella veste del divino Evangelizzatore”.Le parole che più mi hanno fatto vibrare in questo senso sono quelle di padre Cagnasso: dobbiamo superare il “complesso della crociata”; la promessa di salvezza del Signore è per tutti, non è solo per noi che l’abbiamo ricevuta; annunciarla ad altri non è arbitrio o addirittura arroganza; gli immigrati hanno il diritto di conoscere la sua promessa. Ma, ci ricorda S. Paolo, “come potranno credere senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?” (Rm 10, 14). Sono dunque necessari gli “annunciatori” della Parola, nel rispetto pieno degli altri. Anzi - precisava P. Cagnasso - annunciatori “non solo nel rispetto dell’altro ma proprio per rispetto dell’altro”. Non è “nonostante” la mia fede ma è per la mia fede che io rispetto la fede di un mussulmano, ma resto cristiano cattolico.‘Voi stessi date loro da mangiare’3) Terzo messaggio della pagina di Marco che stiamo evocando quasi in filigrana per rileggere il convegno; gli apostoli intervengono e sembrano dire: “Basta, Maestro, la predica è stata un po’ troppo lunga; e ora che facciamo?”. Ecco le testuali parole dei discepoli: “Questo luogo è solitario ed è ormai tardi; congedali perciò, in modo che, andando per le campagne e i villaggi vicini, possano comprarsi da mangiare” (Mc, 6, 36).. Dunque il verbo dei discepoli è comprare. Ma il Maestro risponde di no: “Voi stessi date loro da mangiare” (v. 37).Dunque da una parte la logica di mercato, di proprietà, di compravendita: “se la sbroglino da soli, si salvino da soli”. Dall’altra, la logica del Maestro che i discepoli non riescono a cogliere subito. E’ sempre così difficile entrare nella logica della comunione. Il passo corrispondente di Giovanni (Gv 6, 1ss) riporta l’opinione del “ragioniere del gruppo” dei dodici; Filippo: al massimo potevano raggranellare duecento denari, una cifra considerevole a quel tempo, se un denaro era la paga giornaliera di un bracciante agricolo. Però, ragiona Filippo, con questo si potrà distribuire solo qualche briciola fra tutta quella gente. Identico il ragionamento dei discepoli, secondo il racconto di Marco: “Dobbiamo andare noi a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?” (Mc 6, 37), quasi dicessero: facciamo una colletta, loro danno i soldi; noi diamo loro da mangiare, ma con i loro soldi. Gesù non si rassegna, dice no a questa logica. No, dunque, alla logica di mercato. Padre Tassello ci ha aiutato ad escludere alcune logiche che vanno in questo senso. Brevemente le richiamo:- La logica assistenzialista, che risponde ad una visione pauperistica del migrante; questa porta a ritenere che la pastorale in ambito migratorio debba limitarsi ad una risposta di aiuto caritativo e di solidarietà nella fase di emergenza, cioè un pronto soccorso: poi però l’immigrato se la deve cavare da solo.- La logica colonialista: lo abbiamo aiutato, però egli deve adeguarsi alle regole del posto, al cattolicesimo del posto; del resto noi siamo più all’ avanguardia di lui. La nostra fede è una fede più affidabile della sua e quindi venga lui a farsi catechizzare. - Una logica garantista, che si preoccupa di dare pane e panni ma soprattutto di salvaguardare i diritti ed è giusto questo; ma in questi giorni è rimbalzata la domanda: ci sono solo i diritti dello stomaco, del tetto, del lavoro, insomma i diritti umani e civili? E non ci sono anche i diritti religiosi ? E chi si preoccupa di questi diritti? La logica che noi abbiamo scelto è la logica di comunione. Il Papa ce lo ha ricordato: “Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e in nessun luogo”. Dunque occorre passare da una Chiesa per i migranti a una Chiesa con i migranti; meglio ancora ad una Chiesa migrante.Sostenersi ‘gli uni gli altri’4) Quarto passaggio: Gesù ha dato alla gente affamata la parola, ha provocato i suoi discepoli e ora ordina loro di far sedere la gente “ad aiuole”. Il particolare è interessante, sempre dal Vangelo di Marco; Gesù comanda ai discepoli di far adagiare tutti a gruppi di commensali sull’erba verde, in forma di aiuole di cento e di cinquanta. Padre de la Potterie diceva che quella gente formava come delle aiuole, perché seduta in cerchio con i propri vestiti variopinti. Tornando al racconto evangelico, la gente da sfamare non viene invitata da Gesù ad andare all’arrembaggio ad una sorta di fast food. No, la Chiesa è bella perché è varia: accoglie le varietà e le inserisce in una sinfonia di colori, così come fanno questi commensali che sull’erba verde con i loro vestiti variopinti formano come delle aiuole fiorite. Bisogna passare da una logica funzionale che vede l’immigrato come forza lavoro e sangue giovane per rinsanguare la “terra del tramonto”, l’Occidente, la nostra vecchia Europa, e passare ad una logica relazionale, cioè ad una logica trinitaria, dove le persone sono uguali, distinte ed unite; dove le persone non sono le une senza le altre, sopra le altre, contro le altre. Non sono queste le preposizioni trinitarie: senza, sopra, contro. Le persone divine invece sono le une con le altre, per le altre, nelle altre: questa è la Chiesa.Ecco il “sogno”: fare casa alla Trinità con tutti, con i fratelli che abbiamo cercato di servire quando erano lontani ed adesso rischiamo di non servire nel momento in cui il Signore ce li manda incontro e li fa venire in mezzo a noi. Più di uno di voi starà ricordando don Tonino Bello a 10 anni dalla sua morte, che ricorre il 20 aprile prossimo, proprio il giorno di Pasqua. Ricordiamo come don Tonino parlava della convivialità delle differenze, della reciprocità. Il Kittel, il vocabolario greco del Nuovo Testamento, passa al setaccio anche i vocaboli più “piccoli”, ne omette uno: “allèlon”, che pure ricorre spessissimo nel Nuovo Testamento e significa “gli uni gli altri”, vicendevolmente, reciprocamente. Qualche esempio: “perdonatevi gli uni gli altri, amatevi gli uni gli altri, accoglietevi gli uni agli altri”. San Paolo nella lettera agli Efesini dice che il Signore Gesù ha fatto dei due popoli uno solo abbattendo il muro di divisione, il tramezzo e distruggendo in se stesso l’inimicizia (cfr. Ef 2, 14). Notiamo bene: Gesù non distrugge il nemico perché Lui non ha nemici; distrugge l’inimicizia, e non fuori di sé, ma dentro di sé. ‘rese grazie’5) Quinto passaggio: “Gesù prese i pani”. Gliene hanno messi a disposizione cinque perché, dice Giovanni, c’era un ragazzino - sempre simpatico il gesto di questo ragazzino che vede l’imbarazzo di Gesù e dei discepoli che non hanno niente da mangiare -, ha guardato nel suo sacco e ha pensato di offrire a Gesù la sua merenda. Un gesto di attenzione e di bontà che è stato moltiplicato da Gesù per 5.000. Gesù infatti prese i pani e “rese grazie”. Ma sono così pochi! Forse in questi giorni abbiamo sentito di nuovo la sproporzione tra la missione che ci attende e le forze che sono sempre così scarse: “ Come faremo? ce la faremo?”; e ci sarà venuta spontanea una preghiera di domanda. Gesù invece quando sperimenta la sproporzione tra il poco disponibile e il molto che è necessario, anzi urgente, non domanda ma rende grazie: ha sempre un atteggiamento “eucaristico”, anche quando si troverà di fronte alla tomba del suo amico Lazzaro. Lui non dice: “Padre, fammi fare questo miracolo”, ma “Padre, ti rendo grazie (in greco: eucaristò) perché tu sempre mi ascolti”. La Chiesa è povera, ma trova il suo tesoro nell’Eucarestia.Ho provato ad elencare i pochi pani.Conversione1) Il primo è il pane della conversione; occorre una conversione che sia tale, non un ritocco di facciata; deve essere una “conversione pastorale”: passare da una chiesa delle abitudini (perdonatemi l’espressione) alla chiesa dei volti. “Non una formula ci salverà, ha scritto il Papa, ma una persona e la certezza che essa ci infonde” (NMI, 30). Dobbiamo passare da un cristianesimo dei valori - come libertà, uguaglianza che sono apprezzabili, ma non sono il cuore del cristianesimo - ad una storia. Un cristianesimo che ha subito una serie di riduzioni ed è passato dall’evento alla dottrina e dalla dottrina alla morale, non piace più a nessuno. Non piace a noi, figuriamoci se può piacere agli altri, a questi fratelli che vengono da lontano. Bisogna passare da una pastorale dell’emergenza ad una pastorale ordinaria che ci aiuti a vedere gli immigrati non come un problema, ma come una risorsa. Nel messaggio finale di questo convegno si parla del fenomeno delle migrazioni come di una sfida provvidenziale, una sfida che ci viene dalla Provvidenza, e non ci deve far strappare i capelli né imprecare perché ci tocca vivere in questi tempi. Siamo anzi indotti a ringraziare perché i nostri tempi sono un’epoca che Giovanni Paolo II definisce “magnifica e drammatica”. Dunque la sfida è provvidenziale, è una grazia promettente.Testimonianza2) Il secondo pane è la testimonianza. Di fronte ad un fratello mussulmano, ma anche di fronte ad un fratello cattolico che viene da altre terre, il Vangelo non ha bisogno di avvocati, ha bisogno di testimoni. Ricordiamo il racconto rabbinico: mio nonno era paralitico; un giorno nella sinagoga il maestro gli disse di raccontare la storia del suo maestro, il grande Baal Shem. Mio nonno cominciò a raccontare come il maestro, quando pregava, si eccitava a tal punto da mettersi a danzare. E mio nonno raccontando questa storia si eccitò a tal punto che lui, paralitico, si è alzato, si è messo a danzare e a cantare. Da quel momento mio nonno fu guarito. Questo è il modo di raccontare storie. Se il Vangelo è una storia, questo è l’unico modo di raccontare la storia di Gesù.Accoglienza3) La terza parola è stata una delle parole più citate in questi giorni: “accoglienza”. Nella patrologia greca si trova il seguente testo dell’Apologia di Aristide: “Quando i cristiani vedono uno straniero lo accolgono nella loro casa; non sulla porta di casa (non - come diremmo noi oggi - all’ingresso dove si accoglie il postino che ci chiede la firma per la raccomandata), quando viene lo straniero, lo accolgono nella loro casa e gioiscono con lui come se si trattasse di un vero fratello”. Accoglienza significa conoscenza dell’altro: chi sei? Parlami di te. Accoglienza dunque come conoscenza e come convivenza: questa è ancora più difficile ma questo è il traguardo. Certo, un’accoglienza vera e completa non dipende solo da noi ma anche dallo Stato. Non potrà essere accoglienza illimitata: che senso ha accogliere immigrati senza fornire loro casa, pane, vestito e soprattutto una soggettività ed una dignità nella nostra società? Occorre riconoscere che esistono dei limiti nell’accoglienza; non dettati dall’egoismo di chi si asserraglia nel proprio benessere, ma imposti da una reale capacità di fare spazio agli altri, limiti oggettivi, anche se dilatabili con un serio impegno ed una precisa volontà. Il Cardinale Ruini ha fatto esempi concreti perché la parola accoglienza non diventi parola stonata. Li elenco rapidamente: centri di ascolto, scuola, gruppi del Vangelo, festa dei popoli (e altri).Giustizia4) Il quarto pane è la giustizia; qui possiamo saltare questo passaggio, ma ritengo opportuno rinviare a quanto appena detto sulla nuova legge. Evangelizzazione5) L’ultima parola è evangelizzazione: questa mi pare sia la parola nuova. Se da questo convegno usciremo tutti con la convinzione che, se fino ad ora ci siamo preoccupati del corpo degli immigrati, adesso dobbiamo e vogliamo preoccuparci della loro anima, questo sarà un convegno davvero riuscito. Non partiamo da zero, è stato ribadito da mons. Garsia e dagli altri relatori, ma l’impegno che ci aspetta è l’evangelizzazione. Riguardo a quanto abbiamo già ascoltato da p. Cagnasso su evangelizzazione e carità, non possiamo separarle perché offrire il Vangelo è la prima carità che siamo chiamati a fare. Il Papa, citato dal cardinal Ruini, ci ricorda che le opere sono la fede operante mentre la parola è la fede eloquente.Ovviamente, perché tutto questo diventi prassi concreta e stile vissuto dalle nostre comunità, occorre tenere presenti due cose:- Il convegno ha detto abbastanza sul compito missionario verso gli immigrati, ma la riflessione deve proseguire; la pastorale dei migranti non è un’altra nicchia che adesso apriamo nel cantiere della chiesa; è una dimensione che deve diventare pastorale ordinaria. - Si richiede però una pastorale specifica e qui richiamo quanto contenuto nel messaggio finale: “Senza schematizzare i processi con cui il Vangelo opera nei cuori e viene accolto, la pastorale verso gli immigrati potrà entrare in quella ordinaria nella misura in cui si individueranno sedi opportune e disponibili per una pastorale di insieme che educhi a questa specifica missionarietà. Saranno le circostanze concrete ad indicare le responsabilità più proprie. Ma nei lavori del congresso è anche emersa la proposta che, insieme a tanti altri soggetti, non manchino per gli immigrati una pastorale propria e vocazioni missionarie specifiche seppure inedite, che sappiano accompagnare questi fratelli e sorelle sul non facile cammino di un’occasione unica e spesso molto sofferta della loro esistenza, vivendo e scoprendo insieme a loro, fra le tante novità, anche quella di essere amati e salvati nel Signore”.A questo punto dobbiamo ritornare a quanto detto all’inizio, a quell’ultimo versetto di Marco: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i segni che l’accompagnavano” (Mc 16, 20).Ce lo auguriamo di cuore a vicenda.
---------------------------* Il testo non è stato rivisto dall’autore.