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Riflessione sulle Migrazioni come evento missionario


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/03


Per i pre-convegni preparatori nelle regioni d’Italiain riferimento al Convegno “Tutte le genti verranno a te”Castelgandolfo, 25-28 febbraio 2003
l. L’evangelizzazione non è uno dei tanti compiti della Chiesa, ma il suo compito primario, quello che sta al vertice e fa da traguardo ad ogni altro suo obiettivo e impegno, anche nel mondo delle migrazioni: “Andate il tutto il mondo, evangelizzate ogni creatura”.2. Perciò in una visione di fede le migrazioni vanno considerate come grande occasione di evangelizzazione. Su questo punto sono molto espliciti gli “Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000” (n. 58). D’altra parte gli Orientamenti non fanno che trascrivere quasi alla lettera l’insegnamento pontificio. Leggiamo in Chiesa e mobilità umana: “L’emigrazione si traduce in favorevole occasione per dilatare il Regno di Dio” (II, II, 4).3. Così è stato fin dall’inizio per l’emigrazione di cristiani in terre non cristiane. Si legge nell’Enciclica Redemptoris Missio: “Nei primi secoli il cristianesimo si diffuse soprattutto perché i cristiani, viaggiando o stabilendosi in regioni in cui Cristo non era stato annunciato, testimoniavano con coraggio la loro fede e vi fondavano le prime comunità” (n. 82). Altrettanto nei secoli successivi fino ai tempi della grande emigrazione italiana in America, essa infatti ha esercitato “un notevole influsso nella nascita e nello sviluppo di nuove Chiese” (Chiesa e mobilità umana, I, 7).4. Oggi si verifica per lo più il fenomeno inverso dell’immigrazione di non cristiani nei Paesi di antica cristianità. E ancora la Redemptoris missio a rilevare il grande valore di questo fenomeno in ordine alla evangelizzazione: “Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo le migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti e di scambi culturali, sollecitando la Chiesa all’accoglienza, al dialogo, all’aiuto e, in una parola, alla fraternità” (n. 37), ma anche, come espressamente si dice al n. 82: “al servizio, alla condivisione, alla testimonianza e all’annuncio diretto”.5. Perciò i tanti servizi e le tante attenzioni della Chiesa per la prima e la seconda accoglienza nonché per la convivenza pacifica e il dialogo interculturale e interreligioso, ossia tutto il suo impegno di testimonianza della carità e di promozione umana sono, nelle intenzioni e nella realtà obiettiva, una forma di pre-evangelizzazione: sono un modo, non ancora completo ed esplicito, ma reale di annunciare il Cristo e di suscitare l’azione dello Spirito: anche qui, in certo senso, entra il mistero dell’azione sacramentale. Il credente fa la sua piccola parte, pone un segno esterno attraverso il quale agisce misteriosamente la grazia salvifica.6. Non tutto però è misterioso, perché tra i migranti non cristiani i casi in cui si accende esplicitamente la fede, si intraprende il cammino di catecumenato e si giunge al battesimo anche in Italia si fanno sempre più numerosi e incoraggianti.7. Siamo lontani da ogni forma di semplice propaganda e di proselitismo, tanto più di adescamento attraverso le tante opere di beneficenza. Nella logica della nostra fede, si fa la proposta e si attende la libera risposta: si esclude qualsiasi forma di costrizione anche psicologica, diretta o indiretta.8. Però al cristiano non deve mancare la franchezza e il coraggio vigilando con attenzione per cogliere il momento opportuno per l’annuncio diretto, Cosi al III Congresso mondiale della pastorale per i migranti viene riassunto il pensiero espresso dal S. Padre ai numeri 55-57 della citata enciclica: “La testimonianza della carità va completata, illuminata e giustificata con la presentazione esplicita del messaggio evangelico. Fa parte dell’impegno di rendere conto sempre e a chiunque della propria speranza (1 Pt 3, 15). La Chiesa ha sempre grande rispetto e stima delle religioni non cristiane... Ma né il rispetto né la stima possono costituire un motivo per tacere l’annuncio di Cristo ai non cristiani, i quali hanno diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo”, del quale nella loro religione possono cogliere solo alcuni Semina Verbi. Di tutto questo ampiamente si tratta in Dialogo e annuncio (1991).9. Non si deve poi trascurare il fatto che anche per tanti immigrati cattolici la formazione di base è stata così affrettata e superficiale, o col tempo si è così diradata, che anche per loro è il caso di parlare di prima o almeno di nuova evangelizzazione.10. L’attenzione dell’operatore pastorale non va in prima istanza ai migranti non cristiani, ma alle nostre diocesi e comunità cristiane varie perché prendano coscienza di questa grande novità che le impegna molto più direttamente di prima sul fronte missionario. Fuori di ogni retorica diciamo che ora la missione viene a noi: questa affermazione non rallenterà l’impegno per la “missio ad gentes” nelle terre lontane, ma darà la consapevolezza che ora la medesima “missio” si realizza su due fronti, uno lontano attraverso i missionari, le offerte e la preghiera e uno vicino a portata di mano di tutti i cristiani. L’animazione missionaria delle Chiese locali prenderà nuovo impulso; anzi prenderà una nuova vivacità tutto l’insieme della vita cristiana, se è vero che “la fede si rafforza donandola” (Redemptoris missio, n. 2).11. Sarà ormai necessario, e speriamo che il Convegno di febbraio dia su questa linea una forte spinta, bene organizzare - con precisi obiettivi, metodi e strumenti - questa “missio ad gentes” nelle nostre Chiese. Base di tutto sarà certamente l’Ordo per l’iniziazione cristiana degli adulti, adattato alla situazione italiana, dalla CEI; ma il fatto di trovarsi di fronte a catecumeni stranieri, con lingua, cultura e tradizione tanto diverse dalla nostra, esigerà ulteriori adattamenti. Sarà pure necessario mettere a disposizione bibbie e catechesi secondo le varie lingue ed etnie; qualcosa si sta già sperimentando con gli albanesi. Sarà soprattutto necessario trovare missionari, catechisti e altri operatori pastorali che abbiano già lavorato in questo campo della prima evangelizzazione e sembra che in Italia questa non debba essere un’impressa eccessivamente ardua o inutile.12. Si dovrà stare vicini in particolare ai cappellani stranieri cui è stata affidata una missione con cura d’anime o cappellania perché soprattutto essi si sentano investiti da questa spinta di andare, assieme al piccolo gregge dei loro “fedeli”, verso gli altri connazionali non cristiani. Non sempre si vede evidente questa tensione missionaria in certe cappellanie, piuttosto ripiegate su se stesse con una pastorale di conservazione.13. Un notevole ruolo in questo campo potranno prendere i “coordinatori nazionali” della pastorale etnica, soprattutto nella previsione che il loro numero aumenti (attualmente sono 9).14. Le diocesi più interessate, come pure la Migrantes, dovranno attrezzarsi per sviluppare iniziative già esistenti, quali i corsi di “formazione di formatori”, di “evangelizzatori”, di gruppi di lavoratori per l’evangelizzazione dell’ambiente di lavoro.15. E infine, se si punta così in alto, per fare degli immigrati oggetto e soggetto di evangelizzazione, è legittima la fiducia che, almeno nelle nostre comunità cristiane, venga riabilitata la figura dell’immigrato, così deformata e deprezzata da larghi strati della nostra società.N.B. - E bene approfittare dell’incontro regionale per raccomandare ai Direttori diocesani del tre settori (o a chi dei tre fa da capofila) di inviare al Coordinatore regionale la risposta a qualcuno degli “Spunti di riflessione” a suo tempo inviati in ogni diocesi. Penserà il Coordinatore a trasmetterli alla Segreteria nazionale del Convegno, possibilmente assieme a una loro sintesi.
A CURA DELLA SEGRETERIA DEL CONVEGNO