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Il senso dell'evangelizzazione nei confronti degli immigrati musulmani in Italia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/03


di Maurice Borrmans
L’Italia stessa non è più una società del tutto tradizionalmente cattolica. Si è parlato recentemente di “intese” tra Governo italiano e comunità religiose non cattoliche, quella ebraica, oppure protestante, ecc. ma l’afflusso di immigrati extracomunitari, nel corso degli ultimi decenni, ha fatto sì che la società italiana si ritrovi a vedere, a casa sua, la religione musulmana diventare la seconda dopo la cattolica, visto l’importanza relativa degli immigrati che aderiscono al Corano, tanto più che non mancano i convertiti italiani all’islam.Secondo i dati della Caritas italiana del 31/12/1997, gli immigrati stranieri erano allora 1.024.721, tra i quali i musulmani, essendo 422.186, rappresentavano il 34%. In ordine di importanza relativa, c’erano 130.091 marocchini, 58.664 albanesi, 48.664 tunisini, 33.089 senegalesi, 25.553 egiziani, 12.955 algerini e 12.050 somali, per non parlare di altri gruppi minoritari. Tali cifre sarebbero da aggiornare, perché gli ultimi censimenti in materia testimoniano un aumento di alcuni gruppi. Nel 31/12/1999, i marocchini sarebbero 146.491 (174.324 se vengono inclusi gli irregolari) e gli albanesi 115.765 (137.745 con gli irregolari), e nel totale i musulmani 36,5 % dell’insieme degli stranieri1.Ma se la religione musulmana si presenta finalmente come la “seconda” nel paese, i musulmani si rivelano molto diversi a causa della diversità stessa dei loro paesi d’origine: l’Albania ha conosciuto cinquanta anni di comunismo e il suo ateismo ufficiale sembra aver cancellato la religiosità dei musulmani, mentre i marocchini, in Italia, sono sempre fedeli a un Islam tradizionale religiosamente ricco di tanti riti. Se questi ultimi fanno volentieri venire moglie e figli, grazie al ricongiungimento famigliare, questo non è il caso dei senegalesi, spesso membri della confraternita dei Muridi, i quali non intendono rimanere definitivamente in Italia2. Tutto questo genera per la società italiana, una situazione del tutto nuova: ogni giorno si tratta di tener conto delle altre religioni nel paesaggio culturale e spirituale del paese. D’altronde, il turismo spinge tanti italiani a visitare paesi di altre tradizioni religiose e la globalizzazione dell’informazione (radio e televisione) costringe tutti a interrogarsi sulle altre religioni dell’umanità: a casa non è più possibile insegnare il catechismo, sviluppare le prediche e pubblicare bollettini senza tener conto di questa “sfida spirituale”. Ed è per questo che bisogna essere scientificamente informati su queste religioni (credo, culto e morale) e teologicamente preparati per valutare cristianamente l’esperienza spirituale dei loro seguaci.Sono dunque credenti, dato che credono nel Dio Vivente, nei Suoi Angeli, nei Suoi Libri, nei Suoi Profeti e Messaggeri, nel Giudizio Finale e nella Predestinazione. Vivono tanti valori religiosi e morali, dato che proclamano il monoteismo, pregano (cinque volte al giorno), fanno l’elemosina, digiunano (di giorno tutto il mese di Ramadan) e compiono il pellegrinaggio alla Mecca (una volta nella vita). Per loro la vita è sacra, il lavoro elogiato, i beni terreni dovrebbero essere condivisi equamente e la famiglia gode di prestigio e protezione giuridica. Però rifiutano i misteri fondamentali del cristianesimo, pur sapendo che il Vangelo esiste e che i cristiani sono vicini a loro. Dodici volte il Corano parla del Vangelo (al-Ingîl), che Dio diede a Gesù (‘Isâ). Vi è anche detto che questo Vangelo è “pieno di retta guida e di luce” (5, 46), ma lamenta che non sia messo in pratica come si dovrebbe (5, 66).Certo, tale Vangelo, secondo loro, non ha niente da fare con i nostri quattro Vangeli canonici: sarebbe un messaggio monoteistico affidato a Gesù e poi dimenticato o piuttosto falsificato dai cristiani, i quali avrebbero anche esagerato per quanto riguarda l’identità di Gesù stesso. L’Islam lo riconosce come semplice profeta e nega che sia il Figlio di Dio Padre, il Verbo incarnato e il Redentore morto sulla croce e risorto a Pasqua. Viene però detto: “Troverai che i più cordialmente vicini a coloro che credono (i musulmani) sono quelli che dicono: siamo cristiani” (5, 82).Per quale ragione viene dunque confessata tale vicinanza? “Questo avviene perché tra di loro vi sono preti e monaci ed essi non sono superbi” (5, 82). Ecco la scintilla che potrebbe illuminare il nostro discernimento; c’è una nostalgia coranica delle virtù evangeliche! Infatti lo dice un altro versetto: “E ponemmo nei cuori di coloro che seguirono Gesù mitezza e misericordia, e poi il monachesimo da loro istituito… solo per desiderio del compiacimento di Dio” (57, 27). In realtà non mancano i commentatori musulmani che elogiano le virtù raccomandate nel Vangelo ai cristiani e vissute fedelmente attraverso i secoli dai loro preti e monaci, come vi sono parecchi musulmani oggi che scoprono e sognano la totale realizzazione delle Beatitudini, soprattutto se hanno meditato a lungo la definizione coranica della vera religione: “La pietà non consiste nel volgere la faccia verso l’oriente o verso l’occidente, bensì la vera pietà è quella di chi crede in Dio, e nell’Ultimo Giorno, e negli Angeli, e nel Libro, e nei Profeti, e dà dei suoi averi, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e per riscattare prigionieri, di chi compie la Preghiera e paga la Decima, di chi mantiene le promesse proprie quando le ha fatte, di chi nei dolori e nelle avversità è paziente e nei dì di sventura: questi sono i sinceri, questi i timorati di Dio!” (2, 177).Non sono forse queste le prime dimensioni dell’emulazione spirituale alla quale cristiani e musulmani vengono chiamati oggi? I comandamenti di Dio, rivelati a Mosè nei tempi antichi (Es 20, 2-17 a Dt 6, 6-21), sono più o meno riassunti dal Corano stesso (17, 22-39), come sono stati, da Cristo in persona, trasformati in duplice comandamento d’amore (amore di Dio e amore del prossimo: Mt 22, 37-40), prima di essere rimodellati dallo spirito delle Beatitudini (Mt 5, 1-10). Ed è forse qui che si può pensare alla meraviglia del Vangelo, proposta a tutti proprio come sfida divina, e cioè questo invito finale di Gesù: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48).I cristiani si sentono così invitati dai musulmani a essere coerenti con il messaggio evangelico e imitatori delle virtù vissute da Cristo stesso. Non è un caso che alcuni musulmani contemporanei accettino di trovare nei nostri Vangeli l’insegnamento sociale e spirituale di Gesù, pur rifiutando le sue dimensioni teologiche. Anzi, molti dimostrano di essere sensibili e disponibili ai valori del Regno, come sono descritti nelle parabole. Tocca ai cristiani, allora, dato che il testo stesso dei Vangeli viene sospettato oppure rifiutato, essere “vangeli viventi” e dare la prova, in atto, che il programma di Gesù Cristo non è utopistico e che le sue promesse teologiche portano tanti frutti umani e spirituali. Più che mai dunque, presso i musulmani, si richiede la testimonianza umile e fedele di cristiani che mettano in pratica, al cento per cento, l’assolutezza del messaggio evangelico. Ed è proprio il servizio evangelico dell’uomo come persona, famiglia e società, che può rivelare a tutti la correttezza del progetto cristiano e la grandezza delle sue promesse. Fede e azione camminano sempre di pari passo: questo principio è valido sia per i musulmani sia per i cristiani. Si tratta allora di “gareggiare nelle opere di bene”, come dice il Corano (5, 48), per dimostrare finalmente, attraverso i risultati concreti dell’azione, come si definiscono o si rivelano il valore della creazione, la dignità dell’uomo e poi il mistero di Dio stesso. Il discorso di Giovanni Paolo II ai giovani musulmani di Casablanca, in Marocco, nell’agosto 1985, l’ha ricordato in tanti modi: tutti i credenti devono riprodurre nella loro vita e nella loro società gli eminenti titoli e i bei nomi che le loro tradizioni religiose riconoscono a Dio. Non è forse l’azione e dunque l’essere del credente che, finalmente, svela qualcosa dei segreti di Dio? Tocca allora ai cristiani riscoprire le motivazioni evangeliche del loro triplice impegno nella promozione materiale, intellettuale e spirituale dell’uomo moderno. Quando si tratta di garantire a tutti condizioni di vita che siano degne dell’uomo, bisogna sapere qual è la chiamata essenziale di quest’ultimo. Quando si vuole partecipare allo sviluppo della cultura, occorre non dimenticare le ragioni ultime della ricerca assetata di verità (a tutti i livelli). E quando si pensa doveroso aiutare tutti a una vera crescita della vita spirituale, ci vogliono nuove precise definizioni per quanto riguarda le vette ultime alle quali tende l’esperienza umana. Tutto questo costringe i cristiani a interrogarsi di nuovo sulla specificità del loro cristianesimo e sulla sua singolare chiamata nella storia delle religioni.Un primo impegno dei cristiani è a favore dei diritti dell’uomo, tanto più che la visione musulmana di tali diritti si dimostra essere quasi simile, pur avendo talvolta delle giustificazioni e delle applicazioni assai diverse. La via di Dio passa attraverso quella dell’uomo, e tale principio è già, di per sé, una prima rivelazione del Vangelo: Dio sta con l’uomo e la gloria di Dio risiede nell’uomo “promosso” a dignità superiore. E sarà proprio la realizzazione in pienezza di tale impegno che darà ragione a coloro (i musulmani) che si accontentano di riconoscere l’uomo come “servitore califfale” di Dio in mezzo al creato, oppure a coloro (i cristiani) che lo proclamano “figlio di Dio” per adozione, creato a Sua somiglianza e chiamato a imitarne il Figlio perfetto, Gesù Cristo.Un secondo impegno della Chiesa si propone allora di rispettare, confortare e incoraggiare ogni esperienza religiosa autentica, anche se viene chiamata a svilupparsi al di fuori dei confini visibili della Chiesa stessa. Infatti, bisogna promuovere “tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode” (Fil 4, 8). Evitando così quella forma indebita di proselitismo che presenta la fede come una merce e accumula le adesioni in forma di statistiche, l’impegno di testimonianza religiosa del cristiano significa accogliersi l’un l’altro, comprendersi e interrogarsi a vicenda, collaborare e condividere, osare e rischiare, diventando l’uno per l’altro “testimoni di Dio”, esigenti e misericordiosi come Lui.Con tale impegno si può agevolare il passaggio graduale verso una quadruplice conversione: ai valori del Regno, alle proposte di Dio Padre, al fascino di Cristo e alla comunione con la Chiesa. Non è dato a noi sapere il tempo in cui tutti possano conoscere e vivere le quattro tappe di conversione nella loro vita terrena: è il segreto di Dio! Tutti però sono chiamati alla salvezza, cioè a partecipare alla pienezza di Dio. Questa chiamata comporta l’apertura dell’uomo alla rivelazione totale che egli assume, certamente, quale esperienza religiosa fondamentale, la conversione dell’intelletto alla verità e del cuore al bene.Ma l’impegno dei cristiani deve andare oltre e farsi profetico e critico nei confronti dell’Islam proprio in nome del Vangelo, che viene a proporre una legge di libertà e un accesso ai misteri di Dio stesso. All’affermazione intransigente della trascendenza assoluta di Dio, con il rischio di rinchiudere quest’ultimo nella Sua grandezza, il Vangelo oppone - o meglio congiunge - l’affermazione esigente di una volontà d’amore a favore dell’immanenza di Dio: non è detto che Dio sia irraggiungibile per sempre! Anzi, in Cristo, Dio stesso, nel Vangelo, ci rivela che l’uomo può essere divinizzato e perciò partecipare alla vita di Dio, “figlio nel Figlio”. Ed è ancora il Vangelo che ci rivela che, per mettere l’uomo così esaltato al riparo da ogni orgoglio demiurgico, il Verbo di Dio, Gesù Cristo, ha voluto vivere questa condizione umana divinizzata nelle vie dell’umiltà e della povertà, dell’obbedienza e del servizio, del sacrificio e della morte per gli altri.Realismo davanti alla nuova situazione del paese che diventa una società dalle molte religioni, informazione scientificamente accurata e formazione teologicamente elaborata, fedeltà all’insegnamento e agli incoraggiamenti dei responsabili delle comunità cristiane, realizzazione in pienezza della propria “chiamata di donne consacrate” al servizio del Vangelo, le suore dovrebbero sentirsi all’avanguardia di un dialogo interreligioso in Italia, che permetterebbe l’integrazione degli immigrati di fede islamica nella società civile e, forse, l’accoglienza spirituale nelle comunità cattoliche del paese mediante una testimonianza evangelica autentica3.Basta riprendere, in proposito, la conclusione della lettera del Cardinale Martini, Noi e l’Islam, alla cittadinanza di Milano, nella festa di Sant’Ambrogio 1990: “La comunità di Ambrogio era una comunità religiosamente minoritaria (…). Eppure sembra che a Milano non esistesse un ministero organizzato per l’evangelizzazione dei pagani (…). La via ordinaria per la quale i pagani venivano a conoscenza del cristianesimo era la frequenza libera alla predicazione, aperta a tutti, i colloqui con il vescovo come nel caso di Agostino e specialmente il contatto con i cristiani e la loro condotta esemplare (…). Non dunque un proselitismo invadente, ma l’immagine di una comunità plasmata dal Vangelo e dall’eucaristia, zelante nella carità, libera e serena nel suo impegno civile quotidiano, coraggiosa nelle prove, sempre piena di speranza. E questa la nostra forza oggi, in un mondo secolarizzato, e questa forza è quella delle origini, quella della chiesa di sant’Ambrogio”.