» Chiesa Cattolica Italiana » Documenti »  Documentazione
Una diocesi che programma la pastorale degli immigrati: Bergamo


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/02


UNA DIOCESI CHE PROGRAMMA LA PASTORALE DEGLI IMMIGRATI: BERGAMO
Più di una diocesi ha elaborato un suo direttorio pastorale o linee guida sull’immigrazione in base alla particolare fisionomia che questa assume in quel particolare territorio. Qui si riporta integralmente il documento della diocesi di Bergamo, che va segnalato non solo per il valore intrinseco del documento, ma pure per il fatto che a promuoverlo e votarlo all’unanimità il 5 giugno 2002 sia stato il Consiglio Presbiterale.IMMIGRAZIONE: DOCUMENTO PASTORALE DELLA DIOCESI DI BERGAMOProposte del Consiglio presbiterale alle parrocchie in materia di pastorale dei migrantiPremessaIl nostro paese, da qualche anno, da paese fortemente segnato dall’emigrazione è diventato in misura imponente paese di immigrazione.La presenza di un’alta percentuale di immigrati, molti dei quali irregolari e clandestini, è un fenomeno al quale le nostre comunità sono del tutto impreparate, per cui corrono il rischio di farvi fronte in modi impropri e quindi deleteri. Avendo però questo fenomeno caratteristiche tutt’altro che provvisorie, è necessario che tutte le componenti della società italiana si attrezzino stabilmente ad affrontarlo e a gestirlo nel modo più adeguato per un paese civile e tradizionalmente cristiano.Anche la comunità ecclesiale è chiamata a fare la sua parte per attuare l’opera di misericordia dell’ospitalità, in modo che alla fine il Signore possa dire: “Ero forestiero e mi avete ospitato”.
1. Come sensibilizzare e formare la nostra gente1.1 E innanzi tutto importante che non si dimentichi il passato fortemente migratorio della popolazione bergamasca, come facevano gli Ebrei dietro comando del Signore per impostare i loro rapporti con i forestieri che dimoravano in Israele (“Tu amerai lo straniero come te stesso, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto” - Lv 19,34). Non è perciò fuori luogo il parafrasare a questo proposito la regola d’oro del Vangelo “Fate agli immigrati quello che i nostri emigranti desideravano che gli Svizzeri, i Francesi, gli Americani… facessero a loro” (cfr. Lc 6,31). Sarà importante perciò studiare la storia dell’accompagnamento pastorale all’emigrazione italiana, per evitare gli errori del passato e intraprendere più in fretta le strade che si sono rivelate efficaci. 1.2 E necessario inoltre richiamare in tutte le sedi a disposizione (predicazione, catechesi, direzione spirituale, mezzi di comunicazione sociale, associazioni, iniziative culturali, ecc.) il dovere imprescindibile della solidarietà e del primato della carità evangelica, pena il vanificare la fede cristiana (Cfr. Gc 2,15-17).Non facciamoci però dei complessi se con le nostre forze non riusciamo a far fronte a tutte le emergenze che ci si presentano, anche perché non è compito della Chiesa come tale risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in volta ci presenta. Il compito statutario della Chiesa è l’annuncio, unito alla celebrazione e alla carità, che non può ridursi all’attività assistenziale. 1.3 Bisogna però nello stesso tempo evitare discorsi astratti, generici e semplicistici così come il moralismo spicciolo. Il fenomeno è complesso e la realtà effettuale è dura. La sensibilizzazione delle nostre comunità pertanto non può evitare il riferimento a problemi gravi che precedono e accompagnano il fenomeno migratorio quali la questione demografica (esplosione nel terzo mondo e crescita zero o calo qui da noi); il lavoro e le sue condizioni (il fenomeno del lavoro nero); la cura dei nostri anziani affidata agli immigrati; la malavita e lo sfruttamento. Occorre inoltre sensibilizzarci all’intercultura e assumere i vari processi che caratterizzano la modernità, in particolare la democrazia che è un grosso fattore di integrazione. 1.4 E corretto e utile distinguere fra l’assistenza (ridotta nel tempo), l’accoglienza (progetti a più lungo termine) e l’integrazione (obiettivo di lungo periodo da cercare sempre). E importante inoltre cercare di conoscere e far conoscere la situazione reale e le caratteristiche vere degli immigrati e non agire in base a generalizzazioni o emozioni immediate. 1.5 I mediatori culturali (anche la Chiesa deve avere i suoi) sono chiamati ad aiutare la comunità a coniugare insieme l’esigenza legittima di ordine, legalità e sicurezza sociale con la vocazione cristiana all’accoglienza e alla carità fattiva. Sarà importante anche che aiutino tutti a rendersi conto dei vantaggi che vengono all’Italia dall’afflusso migratorio e nello stesso tempo a prendere coscienza del fatto che al nostro bisogno di braccia rispondono persone: uomini, donne, bambini, famiglie.1.6 La sensibilizzazione delle nostre comunità nei confronti degli immigrati si attua anche attraverso esperienze concrete. Accoglienza vuol dire casa, lavoro, sanità. Un fattore decisivo di sensibilizzazione sarà la testimonianza di singoli e, meglio ancora, di gruppi culturali e caritativi. Sarà un processo lungo, ma è attraverso piccoli passi insistiti e concreti che si potrà arrivare a risultati positivi. Attenzione però a muoversi non secondo la cultura del “maternage”, altamente negativa, ma piuttosto secondo il codice paterno che ha i connotati del lavoro e della fatica.1.7 Il fenomeno migratorio fa parte dell’imponente fenomeno della mobilità sociale e culturale, che chiede anche alle nostre comunità cristiane di ripensarsi e di riconfigurarsi nelle nuove condizioni sociali. E d’altra parte la mobilità sociale e culturale comporta un impegno continuo di ricontrattazione cui sono chiamate le nostre società moderne, al quale i cattolici devono dare generosamente il loro contributo.
2. Quale pastorale nei confronti degli immigrati cattolici2.1 L’atteggiamento della comunità cristiana verso gli immigrati di religione cattolica è ispirato a ciò che scrive S. Paolo agli Efesini (2,19): “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”. Questo equivale a dire che i cristiani sono tutti e sempre a casa loro dappertutto e che - di conseguenza - gli immigrati cattolici residenti in Italia formano con noi autoctoni la Chiesa che è in Italia. 2.2 L’assistenza religiosa agli immigrati cattolici finalizzata a che essi con noi “accolgano con consapevolezza, con libertà e con gratitudine l’opera perfetta di Dio realizzata in Cristo”, in base alla “Pastoralis migratorum cura” di Paolo VI (1969), cade sotto la responsabilità della Chiesa di accoglienza. 2.3 Agli immigrati cattolici, quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle, bisogna per tanto far sentire nella maniera più efficace che all’interno della Chiesa non ci sono “stranieri”: essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti e vanno accolti con schietto spirito di fraternità. Tale accoglienza non può scavalcare la fatica di accogliere la diversità culturale e di favorire la loro integrazione nella cultura occidentale democratica.2.4 Quando fossero presenti in numero rilevante e in aggregazioni omogenee, andranno sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica tradizione cattolica, che sarà oggetto di attenzione da parte di tutti. In particolare si cercherà di procurare loro tutte quelle opportunità pastorali che si sono procurate o richieste per i nostri emigranti da parte della chiesa italiana alle chiese dei paesi di accoglienza, quale, ad esempio, l’assistenza religiosa in forma organizzata da parte di sacerdoti della loro lingua e cultura nella figura giuridica che si riterrà più confacente tra quelle previste dal Codice di Diritto Canonico. A questo proposito il Consiglio presenta al Vescovo la mozione finale del presente documento: Il Consiglio Presbiterale chiede espressamente che venga eretta una missione per gli immigrati Latinoamericani o anche solo per i boliviani, con un sacerdote addetto, dotato delle facoltà di un parroco, di una casa e di una chiesa annessa nonché della possibilità, all’occorrenza, di utilizzare i luoghi di culto e le strutture parrocchiali in tutto il territorio della diocesi”.2.5 Non basterà trovare un responsabile per le celebrazioni liturgiche. Sarà di estrema importanza che chi verrà incaricato di questo servizio lo sia a tempo pieno per poter essere sempre a disposizione per incontrare le persone, per visitarle e accoglierle. 2.6 Anche quando gli immigrati cattolici fossero non in numero rilevante, le comunità parrocchiali abbiano una cura particolarmente attenta nei loro confronti, aiutandoli a superare le grosse sofferenze dello sradicamento dalla comunità di origine e le enormi difficoltà dell’integrazione nella nostra. Sacerdoti e operatori pastorali non perdano mai di vista il fatto che ormai le nostre parrocchie sono formate da una parte rilevante (spesso perfino maggioritaria) di componenti non originari e ne tengano conto quando impostano la pastorale, la liturgia, la catechesi e quando prendono le più diverse iniziative. Sarà pure importante che vengano messe in atto iniziative specifiche miranti alla conoscenza reciproca e che si sfruttino tutte le occasioni (catechesi, sacramenti, feste, scuola materna, educazione dei bambini, consiglio pastorale…) per coinvolgerli nella vita delle parrocchie.
3. Quale atteggiamento pastorale assumere di fronte agli immigrati islamici3.1 Senza dubbio, anche nei confronti degli immigrati non cristiani dovere nostro è la carità fraterna. Si tratta di accogliere l’uomo. Di fronte a un uomo in difficoltà quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza, [quindi anche nel caso che si tratti di clandestini] i discepoli di Gesù hanno l’obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità. La prima forma della carità sembra quella di offrire una sincera accoglienza e lo sforzo per la costruzione di una casa comune da trovare in una storia condivisa.3.2 Questo esige che le nostre comunità curino ancora di più la loro identità cristiana; verifichino la loro fedeltà al cristianesimo, che non è la semplice fedeltà alle tradizioni; riscoprano la missionarietà della Chiesa, e quindi si impegnino a una maggiore preparazione per essere con molta naturalezza e con tutta la sapienza possibile lieti testimoni della nostra fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo.3.3 Oltre a questo si suppone una nostra disposizione al dialogo, che dovrà essere sincero, aperto e rispettoso con tutti, ma nello stesso tempo non dovrà essere ingenuo e sprovveduto. Occorreranno pertanto alcune attenzioni.Attenzione innanzi tutto ad un atteggiamento vagamente ecumenico portato da una nostra scarsa conoscenza della cultura degli altri e dalla diffusa ignoranza della nostra fede cristiana.Attenzione al conseguente rischio di ritenere tutto sommato uguali le diverse fedi e a un malinteso senso di rispetto per la religione altrui che porta a privarci dell’evidenza dei segni della nostra. 3.4 Onde evitare inutili fraintendimenti e confusioni sempre nocive, le nostre comunità non devono mettere a disposizione, per incontri di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali. 3.5 Per quanto riguarda invece l’accesso ai nostri spazi per il tempo libero, il gioco e i momenti di socializzazione, dobbiamo essere aperti. Sarà questa un’occasione per formulare un progetto educativo aperto ai nuovi ospiti e per preparare mediatori culturali che aiutino la conoscenza reciproca e il superamento delle più svariate barriere. Il primo obiettivo non sarà la conversione, ma un’accoglienza disinteressata, senza per questo stare a nascondere il volto normale del cristianesimo, la cui conoscenza oggettiva non può che giovare agli islamici che spesso sono del tutto disinformati in materia. 3.5.1 Per quanto riguarda il matrimonio, per prima cosa possiamo dire con il Papa: “Nelle famiglie in cui ambedue i genitori sono cattolici, è più facile che essi condividano la propria fede con i figli. Pur riconoscendo con gratitudine quei matrimoni misti che hanno successo nel nutrire la fede sia degli sposi sia dei figli, la Chiesa incoraggia gli sforzi pastorali volti a promuovere matrimoni tra persone della stessa fede” (EiO 45). 3.5.2 In caso di richiesta di matrimonio misto, si proponga una preparazione particolarmente accurata nella quale i fidanzati siano portati bene a conoscere e ad assumere con consapevolezza le profonde diversità culturali e religiose in materia a cui vanno incontro sia tra di loro, sia in rapporto alle famiglie e all’ambiente di origine. 3.5.3 In caso di trascrizione del matrimonio presso un consolato islamico o nel paese di provenienza, la parte cattolica stia attenta a non pronunciare e a non firmare documenti contenenti la shahada (professione di fede islamica). 3.5.4 I matrimoni misti, specialmente i cristiano-islamici, hanno bisogno del sostegno della comunità prima e dopo il matrimonio. Uno dei servizi importanti delle associazioni italiane e dei consultori dovrà riferirsi con particolare impegno ad aiutare queste famiglie nell’educazione dei figli e, nel caso di difficoltà, a sostenere la parte debole della famiglia islamica, la donna, nel conoscere e perseguire i propri diritti in Italia. 3.6.1 Per quanto riguarda il battesimo dei figli, le norme delle due religioni sono, come si sa, fortemente in contrasto. Il problema va quindi posto con grande chiarezza durante la preparazione al matrimonio. La parte cattolica deve impegnarsi con tutte le sue forze, ma secondo le sue possibilità reali, a quanto la Chiesa domanda. Si ricordi comunque che nella visione cristiana e anche nella visione civile italiana l’educazione dei figli è compito di tutti e due i genitori. Questo non vuol dire che la parte cattolica o la di lei famiglia debbano battezzare i figli in segreto. Essa dovrà però poter pregare e testimoniare ai figli la fede cristiana. La comunità la dovrà aiutare a non cadere nell’indifferenza religiosa o peggio nell’apostasia. 3.6.2 La conversione e la richiesta di battesimo di islamici adulti richiedono una ponderata attenzione per la natura esclusiva della fede islamica e per i rischi che corre chi apòstata da essa. Si ritiene perciò di dover proporre i seguenti criteri: a) accogliere solo persone veramente convinte senza indebite pressioni; b) non accogliere domande di minorenni; c) non incentivare le conversioni con mezzi impropri; d) rispettare l’opera di Dio. Dopo una prima fase di contatti improntata al dialogo personale mirante a evidenziare le ragioni della richiesta e ad aiutare il passaggio da quelle meno valide alle più solide e più profonde, si passa ad una seconda fase con l’aggregazione del richiedente ad un gruppo di catecumenato che porterà avanti un cammino non breve né affrettato sotto la guida e il controllo dell’autorità diocesana. E bene che in questa materia nessuna parrocchia si muova da sola. Sarà invece utile che già durante la preparazione il catecumeno e la comunità di residenza stabiliscano rapporti sempre più vivi, in modo da facilitare al neofita il pieno inserimento al momento del battesimo e l’indispensabile sostegno successivo. 3.7.1 Le scuole cattoliche sono pure toccate dal fenomeno delle migrazioni e non sono infrequenti, soprattutto a livello di scuola materna, richieste di accesso da parte di alunni di famiglia islamica. A questo proposito si ritengono indispensabili alcuni punti fermi. 3.7.2 Innanzi tutto va detto e ridetto che la scuola cattolica non deve rinunciare alle sue caratteristiche peculiari e al suo progetto educativo cristianamente impostato. Di questo andranno chiaramente informati i genitori islamici che venissero ad iscrivere i loro figli alle nostre scuole. 3.7.3 Nessun bambino musulmano dev’essere obbligato a partecipare a liturgie cristiane o a compiere gesti non graditi ai genitori. 3.7.4 Le ore di religione previste dal programma, se effettuate correttamente, cioè a carattere scolastico e non catechetico, potranno servire anche agli alunni islamici per conoscere la nostra religione in modo approfondito e non distorto. In queste ore si potranno educare tutti gli alunni al rispetto delle religioni altrui. 3.7.5 Dove si facesse anche la refezione degli alunni, per gli islamici occorrerà tenere conto delle regole alimentari della loro religione, a meno che i loro genitori non dichiarino di rinunciarvi. 3.7.6 La scuola dovrà favorire i momenti di discussione di attività comune fra i genitori, ivi compresi gli appartenenti ad altre religioni.