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L'Apostolato marittimo e aeroportuale in Italia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/02


L’APOSTOLATO MARITTIMO E AEROPORTUALE IN ITALIA
di Giacomo Martino
Crescono le emergenzeLa marineria, collegandosi sempre più al terzo e quarto mondo, ha oggi sempre più il sapore dello sfruttamento umano come ricorda Peter Morris nel recente studio in cui afferma che fino al 15% dei marittimi imbarcati sono ridotti in schiavitù. Uno studio dell’ ITF (sindacato internazionale dei trasporti) attesta che la mortalità a bordo delle navi è di oltre 29 volte superiore a quella di qualsiasi altro lavoro.I commissari Icons affermano di aver avuto notizia di marittimi scomparsi dopo contrasti con ufficiali o della predisposizione di liste nere per chi aderisce ai sindacati. Il rapporto denuncia, infine, che una parte del mondo amatoriale tollera ed anzi si avvale di navi sub-standard a danno della gran parte di armatori che operano lecitamente con navi adeguate alla normativa internazionale. Bandiere ombra, clandestini e navi arrestate. Nel mondo sono centinaia le navi sequestrate nei porti per motivi di sicurezza o per inadempienza contrattuale dell’armatore. In parole povere parliamo di migliaia di persone lontane da casa per mesi e a volte per anni. Parliamo di famiglie intere, abbandonate, distrutte da gravi situazioni economiche e personali. Una normativa inadeguata fa sì che gli equipaggi rimangano a loro volta relegati su queste navi ; arrestati senza colpa, cittadini del porto in cui si trovano senza alcun diritto; nemmeno quello di allontanarsi troppo dalla nave. Abbandonare l’imbarcazione, senza il consenso dell’armatore inadempiente, significa perdere ogni diritto al salario maturato, diventare dei clandestini nel paese in cui la nave è sequestrata ed una sorta di disertori nel proprio paese.Esistono nell’ambito del lavoro marittimo problemi di giustizia estremamente gravi come quello della riduzione degli standard di sicurezza o dell’invecchiamento dell’età media delle navi, che aumenta il numero di naufragi e di marittimi che muoiono in mare sino alla riduzione al minimo degli equipaggi o alla frammentazione dei gruppi nazionali che accresce il senso di frustrazione e di isolamento del marittimo. La vita del marittimo è insomma lontana dall’idea romantica, che molti hanno, di una vita di piaceri ed avventure in terre lontane.
Fantasmi del mare e la ChiesaI marittimi sono lavoratori che per scelta libera, ma il più delle volte spinti dal bisogno, cercano nel lavoro a bordo uno sbocco occupazionale. Molti marittimi, in particolare, ma non esclusivamente, del terzo mondo, sono costretti dalle necessità ad accettare imbarchi capestro, con paghe inique e condizioni di vita a bordo disumane, alla mercé di armatori privi di ogni scrupolo che avvalendosi di bandiere di comodo, antepongono il proprio egoistico interesse economico al benché minimo rispetto della sicurezza della vita stessa e della dignità umana. Tali armatori affrontano la concorrenza del mercato marittimo dei trasporti tagliando brutalmente le spese sulla voce più comoda, coscienza a parte, che è quella appunto dei costi del personale di bordo: quindi equipaggi raccogliticci, paghe di fame, sfruttamento selvaggio, offesa alla basilare dignità umana.Fortunatamente, però, non tutti i marittimi sono in queste condizioni. In effetti essi potrebbero essere suddivisi in due categorie: quelli dei quali abbiamo accennato e quelli che navigano con armatori seri, che si attengono ai contratti nazionali, che considerano la nave non solo un mezzo di trasporto merci, ma un luogo dove lo spazio per l’uomo è imprescindibile.In ogni caso andare in mare come marittimi significa soffrire i più profondi disagi del migrante; comporta trascorrere anni della propria esistenza, i migliori - infatti per lo più sono i giovani che accettano questa sfida - in un ambiente innaturale, separato dalla terra ferma, lontani dagli affetti, membri di un raggruppamento molto ristretto e privo spesso di rapporti interpersonali; il che aumenta conseguentemente il senso di solitudine e di lontananza.Gli stessi operatori dell’Apostolato del Mare sono con l’uomo di mare fantasmi delle coste portuali del mondo. Negli anni ‘60 l’Apostolato del Mare in Italia contava oltre 35 sacerdoti impegnati in questa missione tanto preziosa. Oggi siamo ridotti ad un manipolo di volontari e pastori che affannosamente rincorrono questo popolo di Dio itinerante e sfruttato. Lo sforzo della Migrantes nazionale e diocesana è quello di confrontarsi con la totale ignoranza di questo problema, spesso diffusa anche fra gli stessi operatori pastorali e le chiese diocesane che hanno piccoli e grandi porti. Possiamo rimanere confinati e lamentarci oppure aprirci alle altre realtà perché anch’esse si aprano alla gente di mare.Le nostre coste, i nostri porti, le nostre città sono quasi “sfiorate” da oltre un milione di marittimi che non hanno neppure il tempo di toccare la nostra opulenza, la nostra ricchezza, le nostre belle comunità di cristiani per bene, eppure anche loro sono nostre sorelle e fratelli.Fratelli ovunque stranieri nel perenne peregrinare lontano dalle famiglie, dagli affetti più cari, dalla vita sociale ed anche dalle proprie comunità ecclesiali.Fratelli spesso dimenticati anche da una Chiesa solitamente viva ed attenta alle molteplici realtà sociali che la circondano ma che rivela un deprecabile oblio per quanti si muovono sugli altri due terzi della superficie terrestre costituiti dal mare.è proprio a queste persone, senza differenze di religione, lingua o cultura, che si rivolge l’Opera dell’Apostolato del Mare. Si deve, dunque, comprendere che o la Chiesa va incontro alla gente di mare o il marittimo rimane assolutamente solo nell’impossibilità fisica di avere qualsiasi contatto con l’istituzione, con la via sacramentale ordinaria, con la vita comunitaria così ben organizzata per tutti gli altri fedeli. La paura, infondata, di “sprecare” un sacerdote in questo ministero si deve confrontare con questa realtà. Dalla consapevolezza del problema deve nascere una scelta coraggiosa che sembra debba essere, ancora una volta, quella della persona di fronte alla massa, quella dell’accoglienza di chi non è accolto da nessuno rispetto ad altre ospitalità che danno una maggiore risonanza in termini di approvazione ufficiale e del plauso della gente.
Apostolato aeroportualeQuesto apostolato si estende a un numero vastissimo di persone che non possono beneficiare della pastorale ordinaria offerta nelle loro parrocchie, e che si possono suddividere in tre gruppi: il personale di volo, il personale aeroportuale e a terra, i passeggeri. Mentre per i passeggeri l’impossibilità è temporanea, per gli altri è prolungata e continua a causa del genere di attività a cui sono legati. In caso di necessità, o quando ritenuto utile, questa pastorale si rivolge anche a categorie particolari quali i rifugiati, nei centri di detenzione negli aeroporti, le persone in difficoltà e i senzatetto che trovano riparo nell’aerostazione. A tutte queste persone le Cappellanie aeroportuali rivolgono la loro attenzione in tre modi concreti: la presenza, la proclamazione e la testimonianza.Il punto di riferimento visibile di questa pastorale è normalmente la cappella e il cappellano con l’équipe della cappellania. Oggi, specialmente dopo i tragici avvenimenti dell’11 settembre 2001, c’è una crescente consapevolezza dell’importanza e del bisogno del ministero aeroportuale. I disastri aerei di Milano-Linate e di Zurigo, non molto tempo fa, hanno messo in evidenza il ruolo del cappellano, il cui servizio è richiesto anche in momenti di crisi occupazionale. In Italia presenze di sacerdoti e laici sono garantite negli aeroporti di: Milano Linate, Milano Malpensa, Torino, Genova, Roma Fiumicino, Palermo.Desta particolare preoccupazione il fenomeno delle centinaia di bambini abbandonati negli aeroporti d’Italia precedentemente utilizzati per il contrabbando di droga, organi, preziosi. La Chiesa levi alta la voce contro questo abuso e sfruttamento di questi piccoli.