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Ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unico al mondo


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/02


NE HO FATTO IL MIO AMICO ED ORA E PER ME UNICO AL MONDO
di Pinuccia Scaramuzzetti
Meglio prevenire, ovvero: come mantenere le distanze. C’è un modo di guardare alle persone che ci stanno intorno che dipende dal nostro coinvolgimento con loro. Allora si dice: “Sì, mio figlio è un po’ fannullone, si impegna poco, però è un bravo ragazzo” e ci sembra impossibile che gli altri non se ne rendano conto, siano così duri verso chi amiamo o verso noi stessi, che in fondo siamo brava gente. Ci sono dei gruppi sociali, invece, verso i quali non si è disponibili ad alcun credito di tolleranza, anzi si mettono addirittura in pratica degli atteggiamenti di prevenzione.Entrano senza dubbio in questa categoria coloro che noi chiamiamo “zingari” dai quali non solo non ci sentiamo di sopportare azioni di matrice dubbia, ma verso i quali - “meglio pensarci in tempo” (L’Arena, 23/8/02)- mettiamo in pratica degli abusi per prevenire possibili reati. Ad esempio, quello che è stato perpetrato con questo scopo nella “operazione contro l’accattonaggio” citata nel quotidiano di Verona è un semplice abuso visto che l’accattonaggio non è un reato. “Meglio prevenire” è un modo per mantenere le distanze, un modo lontano dall’accoglienza messa in pratica da Gesù nel Vangelo e da quella che noi stessi ci aspettiamo di ricevere da coloro che ci amano.Gli incontri di Gesù, nel Vangelo a tutto sono stati improntati meno che alla prudenza: la condivisione della mensa con il ladro Zaccheo, lasciarsi tirare le vesti dalla cananea che “mendica” le briciole riservate ai cagnolini e tutte le storie di vita quotidiana, fatte di richieste umane, della polvere delle strade, di cibo condiviso.D’altra parte, il nostro incontro personale con il Cristo non è forse un lasciarsi penetrare fin nelle viscere, nelle pieghe più scure in un abbraccio che è privo di timore?
Le comunità di condivisione: vivere con i romGli operatori pastorali che sono andati a vivere nei campi nomadi giocano la loro scelta di condividere la vita proprio sulla possibilità di ritrovarsi, nella relazione con i rom e i sinti, in una situazione simile a quella descritta. Far nascere un’affinità per rendere possibile adempiere a vicenda il precetto dell’amore. è il Vangelo ad insegnarci il metodo: gli altri cominciano a diventare significativi per noi attraverso la carne, quelli che ci erano lontani diventano le persone con cui condividiamo di più. Creare una vicinanza nel quotidiano, una familiarità nel vissuto, nel tempo e nella storia, ci predispone ad accogliere, giustificare, soffrire, coinvolgerci insomma, perché accada come alla volpe del Piccolo Principe: “Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo”.Vivere con i Rom non mette in moto meccanismi particolari: l’unica differenza con molte altre situazioni è che in genere non si tratta di un’affinità spontanea, ma di una scelta: è un lontano che diventa vicino, come può accadere però anche in altri casi. Abiti una roulotte vicino a quella di un’altra famiglia, vi nascono dei bambini, li vedi crescere, condividi i fatti della vita: la scuola, le malattie, i litigi, le feste, i guai e i momenti belli, vai a pregare con loro in quel santuario che loro conoscono e loro vengono con te “alla tua chiesa”.Ad un certo punto ti accorgi che quando sali le scale della scuola per parlare con le maestre ti tremano le ginocchia, ti prepari mentalmente le giustificazioni. L’insegnante, dopo aver cercato una connivenza, alza una barriera e ricopre anche te dello stesso velo di diffidenza con cui avvolge quella famiglia che, chissà perché, non vuol essere “normale”.Se il bambino che tieni in braccio nella foto, crescendo, si metterà nei guai, consumerai le scarpe per spiegare a tutti che sì, può aver sbagliato, ma è un ragazzo di cuore, buono nell’animo, poi gridi con lui e lui abbassa la testa.è un agire che si svolge in moltissime famiglie, di ogni nazionalità: un agire così usuale da essere banale. Ed è proprio questa usualità a non essere accettata perché non vorremmo che chi ci suscita tanta ostilità a livello di pelle, ci sia così simile nell’umanità.è molto diffusa inoltre la convinzione che nella relazione con “gli zingari” vadano attivate delle dinamiche del tutto speciali. Si sente dire: “Questa gente mi è del tutto sconosciuta” per aggiungere poi: “è vero che...” e via con racconti che sembrano appartenere al regno degli elfi e degli gnomi.Un’accusa si leva spesso, da più parti, contro le singole persone di chiesa che condividono la loro vita con i Rom: “Voi gridate al razzismo, li difendete sempre, ma poi non ci raccontate chi sono: spiegateci i loro valori, dateci dei motivi per amarli.”Il motivo è nell’umanità, nel fatto che hai mangiato insieme, che ti è figlio, fratello e tu gli sei madre o sorella ed è lo stesso motivo per cui sei tollerante con gli altri uomini. Ami tuo figlio perché ti è figlio o perché ha dei valori?Il motivo è nella divinità: il fatto che in questo uomo c’è l’immagine del Dio uomo Gesù Cristo e ti sono l’uno specchio dell’altro.La rosa del piccolo principe, ovvero: essere speciali per qualcuno.“Voi li conoscete tutti? Quanti sono? Che senso ha sprecare la vita per poche famiglie?” Questa è la seconda raffica di domande. Mi piace rispondere col notissimo brano del libro di Saint Exupéry: “Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose: ‘Voi non siete per niente simili alla mia rosa ...Certamente un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messo sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi. Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi e vantarsi o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa.”Questa immagine poetica aveva già trovato espressione nella realtà del Vangelo: Gesù non si incontra mai con la folla, ma con delle persone che fanno con Lui l’esperienza di essere speciali per qualcuno.è una esperienza che non c’entra col numero, con l’estensione, ma con l’intensità della relazione e diventa un’esperienza tipo, un punto di vista, una prospettiva, uno scoprire “che bisogna essere molto pazienti... ma ogni giorno potrai sederti un po’ più vicino” a una persona con cui vuoi stabilire un rapporto speciale e questa persona diventerà unica per te e tu per lei.